La caccia può salvare i leoni?

Sembra assurdo ma, ultimamente, un certo numero di scienziati e amministratori di paesi africani se lo sta chiedendo e la risposta non è così semplice.

Vero è che il numero di leoni sta diminuendo ovunque in Africa; negli ultimi 100 anni le loro popolazioni si sono ridotte dell’85% e oggi, in tutto il continente se ne possono contare solo 30000 esemplari. I motivi di questo declino sono moltissimi ma il contrasto con le comunità di pastori rimane la causa principale. L’allevamento di mucche, capre e cammelli è, ancora, la fonte primaria di sussistenza per milioni di africani; è normale che il tentativo dei leoni di predare le loro bestie scateni una reazione violenta da parte dell’uomo.

Non è sempre stato così; un tempo, l’Africa era vasta, i leoni erano tanti ma le popolazioni umane erano molto meno diffuse. Oggi la popolazione è aumentata e di conseguenza lo spazio per i leoni si sta progressivamente riducendo.

Laurence Frank è un biologo che, da più di trenta anni, monitora diversi programmi di conservazione per predatori in Kenia; ha lavorato per anni con le comunità di pastori dell’africa orientale per trovare una soluzione al problema. Ha collaborato, ad esempio, all’introduzione di norme che impediscano la vendita del Furadan, un potente insetticida spesso usato per uccidere i leoni e ha dato il via a un progetto per l’impiego di guerrieri Masai in piani di conservazione naturale.

Sa bene che per i pastori locali, i leoni, non hanno alcun valore economico per cui è considerato ragionevole ucciderli e permettere alla propria mandria di vivere in pace. Sarebbe diverso se i pastori potessero avere dei benefici nel condividere le proprie terre con gli animali selvatici e la proposta di Laurence esplode come un colpo di fucile nella savana: bisogna reintrodurre la caccia grossa! Non si tratterebbe, ovviamente, di liberalizzare la caccia di frodo, presente ovunque in Africa, ma di permettere la caccia cosiddetta sportiva di un numero limitato di esemplari da parte di ricchi turisti che vogliano tornare a casa con un souvenir alquanto particolare.

La cattura di un leone con una grande e bella criniera potrebbe portare decine di migliaia di dollari alle comunità locali, diventando un potente incentivo per la loro conservazione. Come lui la pensano molti amministratori locali ma i recenti tentativi di allentare le restrizioni esistenti sulla caccia hanno trovato la forte resistenza di importanti gruppi animalisti. Se le cose non cambieranno in fretta, dichiara Laurence, i leoni continueranno a morire, ma illegalmente e le popolazioni locali saranno sempre più povere.

Un paese in cui questo strumento ha funzionato è la Namibia; qui la fauna selvatica è fiorente grazie alle politiche conservazionistiche che permettono la caccia per la sussistenza e quella sportiva entro quote rigidamente definite.

Non è ovunque così, purtroppo. Uno studio appena pubblicato su PLoS ONE ha dimostrato che, in alcuni paesi in cui è legale, la caccia sportiva sta avendo un impatto molto negativo sulle popolazioni di leoni. Lo studio, però, porta alla luce nel dettaglio quello che abbiamo fin ora solo immaginato; la caccia sportiva di elefanti, rinoceronti e, soprattutto leoni, rappresenta un’entrata considerevole nell’economia dei paesi che la pongono in atto per cui un divieto totale potrebbe avere un effetto negativo e non positivo sulla fauna selvatica locale!

In quel caso, infatti, i territori fino a quel momento tutelati sarebbero velocemente riconvertiti in attività più redditizie. Bisogna sperare, concludono gli autori, che ciò non accada e che si permetta la caccia sportiva entro i limiti minimi possibili.

Non tutti, però, sono d’accordo o almeno non pensano che questo fragile equilibrio si possa raggiungere in tutti i paesi africani. Il Kenia, ad esempio, è molto più piccolo della Namibia ed è molto più densamente abitato. Da tempo, poi, le amministrazioni locali attribuiscono al leone, quale componente fondamentale della fauna selvatica, un grande valore ambientale culturale ed economico grazie ad un turismo rispettoso che crea un reddito annuo di milioni di euro e che preferisce ammirare la natura in un album fotografico piuttosto che imbalsamata sopra il camino.

Links:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *