Il tifone Haiyan e l’accordo sui cambiamenti climatici
La scorsa settimana, a distanza di 16 anni dall’istituzione del Protocollo di Kyoto, si è dato il via a COP19, la diciannovesima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC).
A dir la verità, i risultati sin ora raggiunti non sono quelli attesi; ci sono ancora da definire politiche concrete per la limitazione delle emissioni di gas serra per non parlare dell’assenza degli Stati Uniti, il cui impegno potrebbe veramente fare la differenza e di Cina, India e Brasile che, essendo considerate nazioni emergenti, non devono sottostare ad alcun vincolo di questo tipo.
L’obiettivo è di stabilizzare le emissioni di gas serra dell’intero pianeta tanto da contenere di 2°C l’aumento della temperatura media globale. Sin ora la conferenza è riuscita a quantificare percentualmente gli obiettivi dei paesi firmatari: nel caso dell’Unione Europea, la riduzione delle emissioni sarà del 20% rispetto ai livelli del 1990.
Purtroppo, però, si procede molto lentamente e a volte si fanno anche dei passi indietro; è il caso, ad esempio del Canada che si è ritirato dal Protocollo e di Giappone e Russia che non accettano nessun impegno vincolante. Pare proprio che a sottoscrivere Kyoto, ormai, vi siano solo quelle nazioni che insieme incidono solo del 15% sulle emissioni di gas serra globali.
Il mondo scientifico, dal canto suo, si è fatto sentire con un articolo apparso proprio in questi giorni su Science in cui sono raccolti i nuovi principi guida per la salvaguardia del clima.
Oltre a contrastare il lento e progressivo riscaldamento, spiegano gli scienziati, è importante pensare a un “adattamento”, non nel senso di abbandonarsi passivamente alle conseguenze del cambiamento climatico, ma di prevenirne le possibili conseguenze e adottare delle strategie per affrontarle e mitigarne gli effetti.
Anche se, in linea generale, non sarebbe corretto imputare un singolo fenomeno meteorologico a un evento di portata globale, diversi scienziati sono concordi nel sostenere che l’aumento delle temperature abbia contribuito ad amplificare la forza del tifone che ha recentemente colpito le Filippine.
Will Steffen, docente all’Australian National University, in un’intervista di qualche giorno fa al quotidiano Guardian, rileva come l’aumento della temperatura dei mari contribuisca a rafforzare le tempeste tropicali: è proprio la differenza di temperatura tra la superficie del mare e la parte più alta della perturbazione il motore che alimenta la formazione di uragani e tifoni. Non si tratta, forse, della causa scatenante delle tempeste, ma i cambiamenti climatici le rafforzano e le rendono distruttive.
Se, da un lato, non esistono prove che mettano in relazione l’aumento delle temperature con una maggiore probabilità di formazione di tifoni, dall’altra il numero delle tempeste molto violente è in aumento.
La teoria è stata recentemente confermata da Kerry Emmanuel del MIT, secondo il quale le zone più colpite da tifoni violenti sarebbero proprio quelle del Pacifico Settentrionale e una ricerca del 2011 presentata dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) conclude che le velocità medie dei venti durante i tifoni, nei prossimi anni, sono destinate ad aumentare, così come l’incidenza delle piogge torrenziali.
Secondo un recente studio, negli ultimi 10 anni le acque superficiali del mar delle Filippine hanno subito un notevole riscaldamento, a causa di un cambiamento nella circolazione atmosferica e delle correnti oceaniche. Questi cambiamenti avrebbero avuto inizio nei primi anni 1990, per intensificarsi notevolmente nell’ultimo decennio. Il riscaldamento delle acque potrebbe essere associato a un’intensificazione del flusso dei venti che avrebbe accumulato verso le coste orientali delle Filippine masse d’acqua molto calde. Queste acque avrebbero generato anche un notevole innalzamento del livello medio del mare, più del triplo rispetto alla media globale!
Come detto sopra, i cicloni tropicali acquistano energia dal calore sprigionato dal mare, sotto forma di vapore acqueo. I grandi cicloni tropicali si formano solo quando transitano sopra vasti tratti di acque molto calde, con valori oltre i +29°C +30°C.
Non è un caso, quindi, se il mar delle Filippine è considerato il luogo nel mondo con la maggior frequenza di cicloni tropicali; il tratto di mare a est delle Filippine presenta la più grande area di acque calde mai vista e Haiyan ha raggiunto la sua straordinaria potenza perché, per tre giorni, si è alimentato dell’energia proveniente da questa vastissima piscina.
Neppure di fronte ad un disastro come questo, però, la comunità internazionale è riuscita a trovare un accordo sulle politiche da intraprendere per evitare il ripetersi di questi eventi anzi, la conferenza è stata solo l’occasione di uno scambio di accuse su chi ha maggiore responsabilità sul mutamento climatico. Le nazioni in via di sviluppo sostengono che devono essere i grandi paesi industrializzati, USA, Cina, Europa, Giappone a dover contribuire maggiormente, essendo i paesi maggiormente responsabili delle emissioni di carbonio, mentre, dal canto loro, i grandi paesi sostengono che la catastrofe del tifone Haiyan è solo in parte causata del riscaldamento del clima, ma è sopratutto una tragedia legata alle strutture fatiscenti di questi paesi che non sono in grado di proteggere davvero la popolazione.
Come spesso accade, sono soprattutto i paesi più poveri a dover affrontare le maggiori difficoltà di fronte ai cambiamenti che il riscaldamento climatico sta provocando e le Filippine sono considerate il terzo paese più vulnerabile al mondo.
Sebbene il paese debba effettivamente aggiornare i propri piani per le emergenze naturali, la comunità internazionale non può non vedere che è in atto un innalzamento del livello del mare e che anche la potenza dei fenomeni naturali disastrosi aumenta di anno in anno.
La mancanza di un accordo, però, fa riflettere molto sulla partecipazione dei governi internazionali. Poco tempo fa è stato consegnato nelle mani di Ban Ki-moon, segretario generale dell‘ONU, Il quinto rapporto dell’Ipcc-Intergoverntal Panel for Climate Change, il quale riporta nero su bianco che il 95% delle cause del riscaldamento climatico è da attribuire all’azione dell’uomo sull’ambiente e che se entro il 2100 non si dovesse registrare un cambio di rotta, il livello del mare crescerà in media di 81 cm e la temperatura delle acque di circa 4,8 C° con ricadute imprevedibile su tutti i fenomeni naturali.
Link:
- http://unfccc.int/meetings/warsaw_nov_2013/meeting/7649.php
- http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/wp/2013/11/12/what-the-deadly-typhoon-in-the-philippines-tells-us-about-climate-adaptation/
- http://www.lescienze.it/news/2013/11/11/news/cop19_conferenza_varsavia_cambiamento_climaticounfccc-1879711/
- http://www.lescienze.it/news/2013/09/21/news/mappa_ecoregioni_vulnerabili_cambiamento_climatico-1817528/
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