Blackfish, l’orca assassina

orca

Devo ammettere che, quando Vittoria mi ha chiesto di scrivere un pezzo sul documentario di Gabriela Couperthwaite, non avevo la minima idea di che tipo di racconto fosse; a dire il vero sapevo che, sin dalla sua presentazione al Sundance Festival, aveva fatto imbestialire i sostenitori pro-cattività subendo, persino, un boicottaggio. Immaginavo, però, la solita, per quanto realistica, denuncia contro un sistema, quello dello spettacolo con gli animali, che li maltratta al solo scopo di compiacere il pubblico.

Non mi aspettavo, invece, che mi fosse raccontata la storia di un individuo (e di tanti altri che hanno interagito con lui), delle sue paure, delle sue frustrazioni e di come, tutto questo, possa trasformarsi in una ferocia mortale.

Il protagonista del documentario è pressoché mio coetaneo; la sua intelligenza è forse superiore alla mia e, spiegano i neuroscienziati, è in grado di creare dei legami familiari la cui intensità io non posso nemmeno immaginare. Blackfish è la tragica storia di Tilikum, un magnifico esemplare maschio di orca e della sua vita di sofferenza.

Il bello è che la documentarista ci sbatte in faccia, come prima cosa, le estreme conseguenze cui l’animale è arrivato, uccidendo tre persone; ciò fa di lui un crudele assassino che, di certo, non merita di stare in vita ma, pian piano, Gabriela ci racconta la storia di qualcuno che, per tutta la vita, non ha conosciuto altro che sofferenza.

La forza del documentario sta proprio nel fatto che non vi è alcuna generalizzazione; il film parla proprio di Tilikum che, ancora piccolissimo, viene strappato alla madre e rinchiuso in una vasca con orche più grandi ed estranee.

Le orche, in natura, vivono in grandi famiglie in cui i figli, anche se adulti, non abbandonano mai la madre. Il legame familiare è tanto stretto che ciascun gruppo sviluppa un proprio linguaggio, unico per ogni nucleo familiare. Quando, spiegano i biologi intervistati, si obbligano individui di diverse famiglie a vivere insieme in spazi ristretti, questi non sono nemmeno in grado di comunicare tra loro e l’unica conseguenza possibile sarà una crescente irritabilità e un’aggressività reciproca.

Così inizia per Tilikum la vita in cattività; l’unico momento di sfogo, se così si può chiamare, è l’interazione con gli addestratori.

Anche la loro testimonianza è commovente. Tilikum ha avuto a che fare con molti ragazzi che hanno creduto veramente di creare un legame speciale con l’orca. Erano per lo più giovani senza nessuna preparazione; seguivano le tecniche di addestramento che gli avevano insegnato e con lui si esibivano in pericolosissime acrobazie.

Non è così difficile immaginare che, un animale con questi livelli di stress, possa facilmente reagire in maniera violenta ed essere causa di una tragedia, come purtroppo è stato.

È curioso pensare che in natura non sia stato registrato nemmeno un caso di aggressione da parte di un’orca verso un essere umano mentre nei parchi acquatici di tutto il mondo, i casi di cui si ha conoscenza sono almeno una cinquantina. Fin quando è stato possibile, gli incidenti sono stati tenuti nascosti perché, nell’economia del parco, un’orca è un’attrazione da milioni di dollari che non si può assolutamente perdere!

Tilikum, ha un valore in più; è tenuto in vita soprattutto per far riprodurre altre femmine in cattività; come una banca del seme vivente, spiega uno degli ultimi addestratori.

Dopo la terza tragica morte, è stata emessa la sentenza per cui nessun addestratore potrà più entrare in acqua a diretto contatto con un’orca ma SeaWorld, e gli altri parchi acquatici, ricorreranno sicuramente in appello.

Tilikum ora vive in una gabbia ed esce solo alla fine degli spettacoli delle altre per mostrare la sua mole e spruzzare un po’ d’acqua sugli spettatori divertiti. La sua storia, purtroppo, non è l’unica e molte altre saremo costretti a raccontarne se questi parchi non saranno definitivamente chiusi.

Il documentario si chiude proprio con le parole di colore che hanno potuto veramente interagire con Tilikum; molti di loro, adesso, viaggiano per il mondo cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica perché si agisca presto in difesa di questi animali che, è ovvio, non sono fatti per vivere in cattività. Si battono affinché questi luoghi di tortura siano presto chiusi e per riportare, per quanto possibile e con i dovuti accorgimenti, questi animali all’oceano cui appartengono.

Blackfish è la traduzione letterale del nome che i nativi americani davano alle orche; per loro l’orca è un animale con un profondo valore simbolico al quale bisogna portare rispetto. Speriamo che in un futuro prossimo Tilikum e tutte le altre orche dei parchi acquatici possano essere liberate da quelle gabbie e recuperare un po’ di quell’antica dignità che gli spetta.

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