Bello e salvabile

rana

La scorsa settimana discutevo con un’amica dell’articolo di Ferdinando Boero sull’Internazionale, nel quale lo zoologo segnalava che, gli animali protagonisti dei programmi d’informazione scientifica, sono sempre gli stessi. Leoni, delfini, elefanti e scimmie sono le star indiscusse e, per quanto naturalisti, biologi e conservazionisti muoiano dalla voglia di raccontarci come vivono tante altre specie (animali e vegetali) di cui quasi ignoriamo l’esistenza, sanno bene che questi nuovi attori non troveranno mai un posto nei documentari prime-time della nostra tv. Il tutto perché, afferma Boero, a noi non interessa veramente come funzioni l’ambiente ma siamo solo attratti dagli animali “carismatici”, cioè quegli animali che ormai, culturalmente, abbiamo elevato a simbolo della naturalità.

Ingenuamente ho risposto alla mia amica che, benché i panda e gli altri animali simbolo, siano perfetti per suscitare empatia in chi ascolta (o legge) le loro storie, si può parlare in maniera divertente e istruttiva anche di insetti e funghi perché, sostenevo, tutta la natura è bella e bisogna solo trovare le parole giuste per descriverla.

Quando, però, ho letto l’articolo del National Geographic su come si scelgono le specie da salvare, ho capito che la questione è molto più complessa e urgente di quanto mi aspettassi. Spesso la scelta delle specie si basa su semplici criteri empatici e poco viene considerata la sua reale importanza nell’ecosistema cui appartiene.

Sono più di 20.000 le specie di piante e animali che rischiano di scomparire e, tra queste, purtroppo, bisogna scegliere quali salvare. Per prendere questa importante decisione, scienziati ed economisti utilizzano dei modelli che si basano sull’importanza ecologica ed economica della specie ma, soprattutto, sul ritorno mediatico che questo investimento avrà sull’opinione pubblica. Alcune volte la sola emotività può bastare per decidere se una particolare specie ha il diritto di essere sostenuta o può essere abbandonata al suo destino.

Scegliere in questo modo è molto dannoso e toglie risorse ad animali veramente importanti per destinarli a quelli “carini e coccolosi” che ci propinano in continuazione i documentari.

Ad esempio, spiega l’etologo Mark Bekoff, benché le formiche siano ecologicamente più importanti dei panda, non ricevono neanche lontanamente la quantità di attenzioni che continua a ricevere l’orso. Purtroppo per loro, non sono molto popolari e, per questo motivo, i fondi che potrebbero essere loro destinati sono calamitati da specie più affascinanti come, appunto, i panda.

Un altro esempio tipico è il caso degli elefanti i cui programmi di conservazione, nonostante ve ne sia ancora mezzo milione, ricevono una quantità di denaro che potrebbe salvare diverse specie di pesci o rane che si trovano a un passo dalla completa estinzione, spiega Jean-Cristophe Vie, vice-direttore dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN)’s Global Species Programme.

Nel 2011 Murray Rudd, economista ambientale della Britain’s University of York, chiese a 600 conservazionisti di diverse nazionalità, come avrebbero loro gestito le politiche e definito le priorità per salvare le specie a rischio. Nello studio, pubblicato su Conservation Biology, si evince che più della metà degli intervistati crede necessario stabilire dei criteri di precedenza ed essere onesti con se stessi e con l’opinione pubblica, affermando apertamente che alcune specie non potranno essere salvate, non importa quanto denaro si investirà a tale scopo.

Esiste un protocollo, il Project Prioritization Protocol (PPP), che riuscirebbe ad assegnare un valore di priorità a ciascuna specie, considerando le minacce cui sono sottoposte e stimando il costo delle pratiche di conservazione e la probabilità che queste abbiano successo. Il modello è già in vigore in Nuova Zelanda e, presto, sarà adottato anche dall’Australia, che vuole applicare un approccio matematico alle politiche di conservazione.

Il rischio, a questo punto, è di demonizzare tutti quegli animali affascinanti, ormai simbolo della Conservazione della Natura nel mondo. Il WWF, ha tenuto a replicare che, le loro politiche di protezione di animali come il panda o la tigre, sono utili anche per la salvaguardia delle altre specie che vivono nei loro stessi habitat.

E’ difficile spiegare ai finanziatori che si deve stilare una lista e che, purtroppo, da questa lista, rimarranno fuori alcune specie per le quali, ormai, il destino è segnato; più semplice sarebbe spostare l’attenzione dalla salvaguardia della specie alla salvaguardia dell’habitat, considerando tutte le specie da cui è composto.

Se per attirare l’attenzione su un particolare habitat c’è bisogno di un animale “carino e coccoloso”, ben vengano tutti i panda e leoni del mondo; impareremo a considerarle le star, testimonial della Natura!

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