Ostriche col giubbotto antiproiettile

ostrica

Non è la priva volta che la natura ci offre degli spunti preziosi per sviluppare nuovi materiali e tecnologie. In questo blog ci siamo già occupati di come lo studio degli animali e dei loro adattamenti fisici e fisiologici rappresenti una risorsa preziosissima per i nostri scienziati (ricordate la peculiarità dei gechi in “Supergeco cammina sull’acqua“?).

Questa volta lo spunto ci viene da un mollusco, anche abbastanza insignificante, chiamato Placuna placenta. Si tratta di un’ostrica diffusa in tutto l’Oceano indiano e in parte coltivata per la lucentezza e la trasparenza delle sue valve.

Sono molte le specie di molluschi che possiedono un’efficiente corazza contro gli attacchi dei predatori. Negli ultimi anni, i biologi hanno guardato con sempre maggiore interesse alle valve di alcune specie di ostriche, nella speranza di capire quale sia il segreto della loro straordinaria resistenza e leggerezza.

La ricerca di materiali con tali caratteristiche interessa in particolar modo quegli scienziati che, in ambito militare, sono impegnati nella creazione di materiali resistenti ai proiettili. I tessuti sin ora utilizzati, riescono ad attutire molto bene l’impatto di un singolo proiettile ma, a seguito del primo urto, il materiale si mostra gravemente danneggiato e la protezione del malcapitato che lo indossa, seriamente compromessa.

I ricercatori Ling Li e Christine Ortiz del MIT hanno testato la robustezza delle valve di P. placenta e hanno rilevato una resistenza agli urti mai misurata prima. Per capire il perché di questa straordinaria capacità, Ling e Christine, hanno svolto delle analisi molto dettagliate su cosa avviene a livello microscopico al momento dell’urto. Le informazioni che ne hanno ricavato potrebbero essere la chiave per la realizzazione dei materiali ultraresistenti del futuro.

Il bivalve si è probabilmente evoluto in un ambiente in cui gli urti erano piuttosto frequenti. La necessità di resistere agli attacchi dei predatori ha favorito lo sviluppo di alcune caratteristiche strutture, all’interno dell’esoscheletro, che lo rendono molto resistente ma leggero. L’analisi microscopica ha evidenziato che, all’interno della valva, sono presenti tanti materiali di natura diversa, distribuiti in un gran numero di strati. Durante i test in laboratorio è stato possibile notare che la struttura cristallina, se colpita, subiva delle modificazioni tali da limitare le fratture a piccole sezioni; contemporaneamente l’energia dell’urto veniva dissipata grazie allo stiramento del materiale organico compreso tra i cristalli.

In poche parole, P. placenta è in grado di creare una barriera antiurto, riuscendo a dissiparne l’energia, deformando solo una superficie piccolissima della sua valva.

Lo studio, da poco pubblicato su Nature, non è l’unico esempio attuale di ricerca di nuovi materiali partendo da tessuti naturali.

In Italia, all’Istituto di neuroscienze Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino, un team di ricercatori, si è ispirato al guscio dei crostacei per sviluppare un biomateriale con cui riparare le lesioni nervose. I ricercatori sono stati in grado di realizzare protesi nervose in chitosano, materiale a base di chitina, sostanza di cui è composto il guscio dei crostacei.

Grazie alle potenzialità di rigenerazione nervosa, il chitosano potrà essere usato per creare dei ponti in grado di unire due estremità di un nervo lacerato e, una volta che la connessione sia stata ristabilita, non sarà più necessario un intervento per estrarre il materiale estraneo perché, il chitosano, è biodegradabile.

La conoscenza approfondita della natura continua a regalarci tesori inattesi. Nel rispetto di questi insegnamenti cerchiamo almeno di metterli in pratica per migliorare la vita di tutti su questo pianeta!

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