Ritratto dal vero di un Calamaro Gigante
All’inizio c’era il Kraken, un essere mostruoso responsabile di innumerevoli affondamenti di battelli ed equipaggi, praticamente tutti quelli che sparivano e non se lo spiegavano. Abitatore di mari nebbiosi e di leggende norrene del XVI secolo, era descritto come una piovra gigante o un immenso calamaro. Per lui si scomoda addirittura il grande Linneo che tenta di compilare una scheda per classificare la creatura basandosi su una consistente rete di testimonianze. Poi, però, non pubblica nulla ed il Kraken torna nel suo mondo fumoso, fatto di nebbie e di mari freddi e ostili. E’ il XVIII secolo. Il Kraken, improvvisamente, diviene creatura buona e giusta: cattura e trascina negli abissi solo le navi degli empi – come quelle dei pirati, per esempio – e risparmia i legni degli onesti. Ma sull’aspetto della ‘bestia’ c’è ancora confusione, qualcuno riferisce che può essere grande come un’isola, altri affermano che i suoi spruzzi si levano alti nel cielo.
Lo diceva Melville che in mare c’erano un sacco di bestiacce grosse e dal brutto carattere, ed i vecchi marinai mescolando i racconti con ampie dosi di rhum finirono con l’appioppare le caratteristiche di un mammifero, quali sono balene e capodogli, a un cefalopode.
Arriviamo a Verne e il Kraken é l’unica creatura in grado di affondare il Nautilus. Ovviamente, il mostro, ci prova. Dopo un feroce corpo a corpo i marinai del Capitano Nemo sconfiggono il mostro tentacolare. Una lotta incessante, quella dei marinai contro i mostri marini. Siano essi famelici squali o innocenti balene, la lotta non si ferma mai. E’ come se il mare da solo non bastasse a descrivere il disagio che un uomo può provare su rotte d’altura. E’, come già suggerito, una lotta tutta interiore dell’uomo che si confronta con la vastità del blu, il colore dell’inconscio.
Ed è così che il calamaro gigante, grazie a Verne – ma soprattutto a Disney, torna in auge come soggetto da letteratura fantasy. Al pari di gnomi, folletti e berserker entra nell’inconscio collettivo come creatura fantastica da antiche incisioni o come gadget da sacchetto delle patatine. Soltanto che la sua esistenza non è esattamente una balla. I primi esemplari furono misurati e classificati già nel 1857, dopo che il povero Carlo Linneo rinunciò, ma continuano a spuntare dagli abissi, sulle spiagge e nei soliti by catch, le tristi catture per caso, o nelle fotografie prese accidentalmente dai ROV, i sottomarini subacquei telecomandati. E’ una creatura abissale, che vive oltre i mille metri. I complottisti diranno che la ‘scienza ufficiale’ vuole lasciarci sereni quando andiamo in acqua, ma c’è da osservare che finora (a ameno che non siano intervenuti gli ‘uomini in nero’ a coprire) di calamari giganti che sguazzano dalle parti di Paraggi o in una delle solite Playa chiquita del modo… non se ne sono visti.
Ah, no, scusate: se n’è spiaggiato uno gigantesco poco fa in California. Ma era una bufala, un Photoshop fatto anche male.
C’entra il complotto? Non l’ho tirato fuori a caso. Fino all’anno scorso erano pochissime e praticamente inutili ai fini scientifici le immagini di questa creatura nel suo ambiente naturale: l’abisso. Un bel sogno, fotografarlo. Ci voleva una buona idea per riuscirci. Ce l’ha avuta Edith Widder, oceanografa CEO di ORCA, Ocean Research & Conservation Association.
L’intuizione è semplice: la maggior parte dei ROV, o sottomarini telecomandati, fanno un sacco di rumore, e le luci bianche spaventano gli animali terrestri di notte come le creature abissali. Si è scelto un tipo di ROV in grado di produrre pochissimo rumore. In più, si sono utilizzate delle luci rosse per localizzare e fotografare. Sì, esattamente come quando vai nella savana di notte: per vedere gli animali selvatici senza spaventarli devi usare luci rosse. Ma le attenzioni da sole non bastano. Ci vuole un’esca.
Gli scienziati di ORCA decidono di usare un’esca. Viva neanche per sogno. Riproducono la luminescenza di una medusa. Occhio, che l’Architeuthis (ma che bel nome scientifico ha questo calamaro gigante!) non si nutre di meduse. E allora a che serve questa messa in scena?
Quando la medusa viene attaccata da un grosso predatore scatta la bioluminescenza.
WOW!
Ed ecco che il mostro marino per antonomasia viene immortalato mentre si muove nel suo ambiente naturale. E’ bianchissimo e in caccia, i suoi tentacoli si spalmano su tutto lo schermo, ma intuisce la truffa e rifiuta l’esca. Si ritira. Poi torna. Inizia a danzare.
WOW!
“Oh my God!” urla Edith Widder.
Verne è di due secoli fa, così Melville e Coleridge e a loro riconosciamo l’esplorazione dell’animo umano e dei suoi sogni, ma oggi è altra storia. Oggi non ci sono più mostri aggressivi, ci sono creature da studiare. E il calamaro gigante ha tutto della creatura spaziale.
“Abbiamo esplorato solo il 5% dei nostri oceani – dice Edith Widder – e il bello deve ancora arrivare, creature fantastiche rappresentano milioni di anni di evoluzione e dal loro studio potremmo avere dei vantaggi che noi non possiamo, ora, neanche immaginare. Ciò che spendiamo per l’esplorazione degli oceani è solo un a piccola frazione dei soldi che spendiamo per esplorare lo spazio. Invece abbiamo bisogno di esplorare il mare, il più grande contributo alla vita sul pianeta. L’esplorazione è sinonimo di innovazione e quindi di crescita economica. Esploriamo gli oceani, ma facciamolo in un modo che non spaventi i suoi abitanti.”
Poi conclude:
“Se vuoi vedere qualcosa che nessuno ha mai visto prima… entra in un batiscafo.”
Ma chissà, forse nello spazio non c’è vita. Ed i mostri spaziali sembrano così remoti… Sì, forse lo spazio è così asettico da essere, rispetto al mare, rassicurante.
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