La lunga migrazione di Nemo

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Quando Nemo abbandonò la sicurezza di quel piccolo angolo di barriera corallina in cui era nato, sentiva che avrebbe dovuto affrontare un viaggio lunghissimo alla conquista del mondo. La storia di Nemo ha avuto indiscutibilmente dei risvolti spettacolari, degni di una favola Disney ma, quella dei pesciolini conspecifici (ancora più piccoli di lui) non è certo meno turbolenta.

E’ risaputo che i piccoli di Amphiprion omanensis, poco dopo la nascita, abbandonano l’anemone-casa dei genitori alla ricerca di un piccolo polipo tutto per sé; negli anni passati, molti hanno ipotizzato che questi spostamenti avrebbero potuto coprire anche lunghe distanze, ma nessuno era mai stato in grado di verificarlo.

Secondo i biologi le migrazioni dei piccoli di pesce pagliaccio avvengono ancora allo stadio larvale il che rende in pratica impossibile monitorarne gli spostamenti.

Il Dott. Steve Simpson, professore di Biologia Marina presso l’Università di Exeter (Regno Unito) e i suoi colleghi dell’ARC (Centre of Excellence for Coral Reef Studies – Australia), della Sultan Qaboos University (Oman) e del Centre National de la Recherche Scientifique (Francia) hanno appena pubblicato su PLOS ONE i loro risultati sullo studio della dispersione dei piccoli pesci pagliaccio, mostrando l’efficacia di un approccio del tutto originale.

La costa meridionale dell’Oman è relativamente isolata dal resto della penisola araba e, per questo motivo, vi si trovano specie endemiche che, nel corso del tempo, si sono differenziate dai nuclei originari. Lungo quel tratto di costa, però, si trovano solo due barriere coralline, separate tra loro da 400 km di spiagge oceaniche. Nonostante le enormi distanze, le popolazioni di pesce pagliaccio che le abitano, sembrano appartenere alla stessa specie e ciò fa pensare che tra i due sistemi continui a esserci un discreto scambio genetico che impedisce all’evoluzione di dividere la specie originaria in due entità distinte tra loro.

Gli scienziati hanno dedotto che vi fosse un flusso di individui da un’estremità all’altra della costa, cosa che avviene solamente se i pesci possono sfruttare le correnti oceaniche, ossia allo stadio larvale.

Abbandonando definitivamente l’idea di tracciare i movimenti di larve specifiche all’interno del plancton oceanico, Simpson e i suoi colleghi hanno pensato bene di aggirare il problema chiedendo direttamente agli adulti che gironzolano tra gli anemoni quale fosse la loro origine.

L’unico modo trovato dagli scienziati per farsi rispondere dai pesci è stato prelevare una piccolissima frazione di pinna e, dopo l’operazione, rilasciare il pesce in acqua. Così si è proceduto per 400 individui per i quali, successivamente, è stata effettuata un’analisi del DNA.

Nonostante, come si è detto, le popolazioni appartengano ancora alla stessa specie, i DNA delle due popolazioni possiedono dei tratti distintivi che permettono di definire la loro origine così come, analizzando il DNA di un uomo, si può capire se viene dall’Asia o se si tratti di un nativo americano.

Il test del DNA ha rilevato che la maggior parte dei pesci era migrata da nord a sud, dimostrando la teoria dello spostamento delle larve tramite le correnti prevalenti guidate dal monsone invernale.

Gli scienziati sono stati anche in grado di dimostrare che questi pesci migratori si erano accoppiati e avevano dato origine a prole fertile, prova dell’avvenuto scambio genetico.

Questo studio è il primo in assoluto a dimostrare limpidamente che, in ambiente marino, anche popolazioni lontane possono essere ben collegate tra loro. “La nostra capacità di prevedere quanto lontano siano spinte le larve di alcuni pesci, aiuterà in futuro a gestire al meglio le barriere coralline” spiega Simpson. In questo modo sarà più semplice prevedere le ricadute di alcuni interventi in aree marine prossime alle barriere coralline e sarà possibile progettare e realizzare reti di aree marine protette, che si sovrappongano alle naturali autostrade del mare.

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