Tradotto in scimmiesco
posted by Barbara Dalla Bona | Gennaio 2, 2015 | In Home, Vita sul Pianeta | Articolo letto 3.735 volteChe le scimmie, in cattività, siano in grado di comunicare utilizzando un linguaggio insegnato loro dagli umani, è cosa ormai nota. Washoe, femmina di scimpanzé, divenne celebre per essere tra le prime a utilizzare con una certa padronanza il linguaggio dei segni, riuscendo anche a esprimere sensazioni e pensieri articolati.
In natura, al contrario, pur essendo evidente un intenso scambio di richiami tra gli esemplari della stessa specie, è sempre stato difficile interpretarne il significato, portando, alcuni scienziati, a credere che, quelle sonorità, non appartenessero a un vero linguaggio, inteso come insieme di segnali con significati specifici.
Un articolo da poco pubblicato su Linguistics and Philosophy smentirebbe l’ultima affermazione tentando una prima interpretazione o, sarebbe meglio dire, traduzione di alcuni richiami. Tutto ciò è stato possibile perché la specie oggetto di studio, non solo pare comunicare con un linguaggio ma sembra possedere dei dialetti, cioè, forme di comunicazione diverse tra popolazioni della stessa specie.
Nel 2009 un gruppo di scienziati si recò nella foresta di Tai, in Costa d’Avorio, con una missione: terrorizzare i cercopitechi di Campbell (Cercopithecus campbelli). Studi precedenti avevano raccolto le vocalizzazioni d’allarme delle scimmie e ne avevano estrapolato un significato generico associando il richiamo a quello che avveniva in quel momento nella foresta. Durante quella campagna, i primatologi avevano associato al richiamo krak la parola leopardo e a hok la parola aquila. Il suffisso -oo, aggiunto a entrambi i richiami, stava a indicare che l’allarme aveva minore importanza e, ad esempio, il predatore si trovava a distanza maggiore.
Quando i ricercatori si sono spostati a qualche migliaio di chilometri di distanza e, precisamente, su un’isola lungo un fiume, nel cuore della Sierra Leone, trovarono una brutta sorpresa. I cercopitechi continuavano a utilizzare il richiamo krak, pur non essendoci nemmeno l’ombra di un leopardo in tutta la riserva naturale di Tiwai Island. Per di più, quel richiamo era utilizzato anche per indicare la presenza di aquile.
Fu proprio notando queste differenze che Philippe Schlenker, autore della ricerca, ebbe la sua illuminazione. Come gli umani, anche le scimmie potrebbero condividere la stessa lingua ma utilizzare delle forme di dialetti nei quali lo stesso richiamo assume significati diversi.
Per testare la nuova ipotesi, Schlenker e il suo team hanno provato ad applicare un approccio linguistico. In primo luogo, hanno ridefinito i richiami delle scimmie dando a krak il significato di allarme generico, a krak-oo un’accezione di allarme minore e a hok quello di allarme aereo.
Nel linguaggio umano si tende sempre a utilizzare la parola più specifica a disposizione, in modo da fornire il maggior numero di informazioni possibili al nostro interlocutore. E questa è forse l’origine dell’errore interpretativo.
Pare, invece, che le scimmie comunichino per esclusione; nella foresta di Tai, in Costa d’Avorio, il richiamo krak serve a indicare un pericolo non secondario (per il quale, invece si utilizza il krak-oo) e non proveniente dal cielo (per quello c’è hok), nella maggior parte dei casi associabile alla presenza di un leopardo. Sull’isola di Tiwan, invece, non esistono leopardi, quindi, nel linguaggio locale, krak torna ad assumere il significato generico di allarme, utilizzabile in ogni circostanza.
Sono molti gli scienziati che considerano questi risultati significativi “E’ la prima volta che si utilizza un approccio linguistico nello studio dei richiami delle scimmie”, ammette Robert Seyfarth.
Spesso decidiamo a priori che, poiché la comunicazione tra animali non è un vero linguaggio, è inutile applicare strumenti linguistici per tentare di comprenderlo ma, lo studio di Seyfarth, ci dimostra quanto sia errata questa convinzione.
Siamo ancora lontani dal poter tradurre in frasi il complesso sistema di richiami delle scimmie ma gli scienziati sono convinti che oggi sia stata trovata una nuova chiave interpretativa. E tutto ciò è stato possibile grazie ai cercopitechi e ai loro dialetti.
Link:
- http://www.scientificamerican.com/article/monkey-see-monkey-speak-video/
- http://www.tiwaiisland.org/Site/
- http://link.springer.com/article/10.1007/s10988-014-9155-7
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About The Author

Barbara Dalla Bona
Sono nata nel Gennaio del 1981, nel cuore della fredda pianura pontina, con sangue veneto e occhi siciliani. Da bambina Latina e' tutto il mio mondo, da esplorare e conquistare con una bici e un po' di fantasia ma, nell'adolescenza, la provincia si fa stretta. Inizio a viaggiare e mi conquista una Londra dinamica e multiculturale. All'universita' mi trasferisco a Roma; frequento la facolta' di Scienze Naturali e rimango affascinata, piu' di quanto non lo fossi gia', dalla magia nascosta in ogni fenomeno naturale. La mia voglia di conoscere il mondo, pero', e' irrefrenabile. Viaggio per Africa, India e America centrale finche' non decido di frequentare un anno accademico a Valencia, in Spagna. Dopo la mia laurea collaboro con il Centro di Ricerca Interuniversitario sulla Biodiversita'; nel frattempo vinco una borsa di studio post lauream per svolgere un progetto di ricerca sull'ecologia delle specie vegetali esotiche in una prestigiosa universita' californiana. E' li' che, per la prima volta, sento la nostalgia della mia pianura con i suoi laghi e le sue spiagge. Al ritorno da quella esperienza fantastica mi butto a capofitto in un progetto di educazione e interpretazione ambientale nel territorio del Parco Nazionale del Circeo; progetto in corso ed evoluzione gia' da un paio d'anni ma che da quel momento diventa la mia attivita' principale. La voglia di conoscere il mondo e il piacere di comunicarlo sono le due forze che alternativamente o spesso in congiunzione determinano ancora la rotta della mia vita.
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