Il mondo per le focene
posted by Barbara Dalla Bona | Gennaio 8, 2015 | In Home, Vita sul Pianeta | Articolo letto 10.680 volteNon è semplice comprenderne il concetto ma esiste tutto un mondo che noi umani non possiamo neanche immaginare. Non c’è nulla di trascendentale in quest’affermazione, ma solo la constatazione di un limite reale dei nostri organi sensoriali.
Proprio per la natura e l’evoluzione degli organi di senso, ciascun animale percepisce un mondo diverso, e il mondo costruito dagli organi di senso di ciascuna specie è stato chiamato dal biologo tedesco Jakob von Uexküll, Umwelt. Persino una zecca, spiega il biologo, ha una sua percezione del mondo; nonostante condivida con noi alcuni ambienti, il suo Umwelt è completamente diverso dal nostro, se non altro perché essa non possiede né occhi né orecchie.
Come sarà, però, l’Umwelt di animali, come le balene, che si sono adattati solo secondariamente all’ambiente acquatico?
L’antenato delle balene che, per primo, predilesse l’ambiente acquatico a quello terrestre potrebbe aver sperimentato lo stesso disagio che noi umani subiamo immergendoci in acqua senza maschera e bombole. Probabilmente il suo Umwelt era un ambiente con forme confuse e rumori indistinguibili, limitato nello spazio per la necessità di risalire spesso in superficie per respirare.
In ambiente marino, la modalità sensoriale più utile è quella sonora poiché il suono arriva più lontano della luce e si può sfruttare durante la notte o in acque torbide. Come si sono dovute adattare le orecchie delle balene per superare la difficoltà di sentire in acqua?
Due decenni di ricerca sulle focene (Phocoena phocoena), svolto nel Fjord&Bælt, in Danimarca, hanno rivelato molto sul loro Umwelt. Come immaginato, si basano soprattutto sull’acustica per catturare le prede e orientarsi in acqua.
La focena è la balena più piccola in assoluto e conduce vita solitaria. A causa delle sue dimensioni, per sopravvivere nelle fredde acque dell’emisfero settentrionale, ha bisogno di mangiare continuamente e le sue prede favorite sono piccoli pesci e calamari. Benché i meno esperti le confondano con delfini, esistono delle differenze significative tra queste due famiglie. La diversità fisiologica più consistente è nei denti, arrotondati per le focene e appuntiti nei delfini. Tra le altre caratteristiche, le focene hanno meno vocalizzazioni dei delfini per cui comunicano tra loro tramite gli stessi segnali usati per l’ecolocalizzazione, a differenza dei delfini, il cui repertorio di fischi e segnali e molto più ampio.
Questi animali non hanno un orecchio esterno ma il suono si propaga dall’orecchio medio a quello interno proprio come negli uomini. La differenza principale è che, negli odontoceti, l’orecchio interno è racchiuso in capsule ossee, separate dal cranio, che isolano acusticamente le due orecchie tra loro. In questo modo è più semplice per una balena che per un uomo determinare la direzione di una sorgente sonora. Inoltre, la gamma di suoni udibili dagli odontoceti è notevolmente più ampia rispetto a quella percepita dagli umani. La focena riesce a sentire frequenze da circa 100 hertz a 150 kilohertz mentre un uomo percepisce suoni che vanno dai 20 hertz ai 20 kilohertz.
Le focene emettono il loro segnale grazie ad un paio di organi speciali chiamati labbra foniche, situate appena sotto lo sfiatatoio. Il suono, però, viene emesso come uno stretto fascio, largo circa 12 gradi. L’ampiezza limitata del fascio sonoro permette alle focene di avere migliori informazioni sulle prede, rende difficile ai predatori, come le orche, identificarne la posizione ma a volte impedisce loro di evitare trappole mortali come le reti dei pescatori.
Di solito, durante la caccia, emettono segnali a intervalli lunghi, consentendo agli echi di ritorno di fornire informazioni attendibili fino ad una distanza di dieci metri dall’animale. Una volta individuata la preda, la frequenza dei segnali emessi aumenta fino a raggiungere le 500 unità al secondo.
Per comprenderne il meccanismo, immaginiamo di muoverci di notte in una foresta con una luce stroboscopica. A ogni flash otterremo un’istantanea visiva dell’ambiente in cui ci muoviamo e, finché gli alberi sono distanti, saremo in grado di camminare con una velocità del flash bassa, per risparmiare le batterie. Se, invece, volessimo cogliere una mela da un ramo, avremmo bisogno di aumentare la frequenza dei flash, per localizzare con accuratezza la mela.
Una differenza sostanziale da non dimenticare è che la luce permette la percezione di uno spazio in tre dimensioni mentre l’immagine sonora è mono o, al massimo, bi-dimensionale e, di conseguenza l’Umwelt delle focene è molto più limitato rispetto a quello umano.
Un’ulteriore caratteristica interessante sta nella capacità, da parte della focena di capire la natura dell’oggetto che determina l’eco. Mark Johnson della St. Andrews University, ha studiato il comportamento di focene nate in cattività addestrate a catturare sfere di un particolare materiale. Anche tra due oggetti identici nella forma, dimensione e colore, gli animali erano in grado di individuare la sfera richiesta portando gli scienziati a dedurre che materiali diversi riflettono echi diversi, chiaramente distinguibili dalle focene.
Comprendere la percezione del mondo in animali a noi abbastanza simili è molto più articolato di ciò che immaginavamo; non dobbiamo dimenticare che, nelle focene, gli stessi segnali utilizzati per l’ecolocalizzazione servono per comunicare e che una frequenza elevata potrebbe indicare anche un atteggiamento aggressivo e, una frequenza bassa, potrebbe essere interpretata come una chiamata di contatto.
Tutte queste caratteristiche rendono l’Umwelt delle focene molto complesso e non abbiamo ancora la minima idea di quali potrebbero essere gli effetti derivanti della percezione passiva di suoni potenzialmente molesti come la costruzione di una centrale eolica, esplosioni per esplorazioni sottomarine o un fitto passaggio di imbarcazioni.
Sono molti i centri di ricerca impegnati nello studio della percezione delle focene; comprendere l’Umwelt di queste piccole balene solitarie è un passaggio fondamentale per proteggere efficacemente l’ambiente in cui vivono.
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About The Author

Barbara Dalla Bona
Sono nata nel Gennaio del 1981, nel cuore della fredda pianura pontina, con sangue veneto e occhi siciliani. Da bambina Latina e' tutto il mio mondo, da esplorare e conquistare con una bici e un po' di fantasia ma, nell'adolescenza, la provincia si fa stretta. Inizio a viaggiare e mi conquista una Londra dinamica e multiculturale. All'universita' mi trasferisco a Roma; frequento la facolta' di Scienze Naturali e rimango affascinata, piu' di quanto non lo fossi gia', dalla magia nascosta in ogni fenomeno naturale. La mia voglia di conoscere il mondo, pero', e' irrefrenabile. Viaggio per Africa, India e America centrale finche' non decido di frequentare un anno accademico a Valencia, in Spagna. Dopo la mia laurea collaboro con il Centro di Ricerca Interuniversitario sulla Biodiversita'; nel frattempo vinco una borsa di studio post lauream per svolgere un progetto di ricerca sull'ecologia delle specie vegetali esotiche in una prestigiosa universita' californiana. E' li' che, per la prima volta, sento la nostalgia della mia pianura con i suoi laghi e le sue spiagge. Al ritorno da quella esperienza fantastica mi butto a capofitto in un progetto di educazione e interpretazione ambientale nel territorio del Parco Nazionale del Circeo; progetto in corso ed evoluzione gia' da un paio d'anni ma che da quel momento diventa la mia attivita' principale. La voglia di conoscere il mondo e il piacere di comunicarlo sono le due forze che alternativamente o spesso in congiunzione determinano ancora la rotta della mia vita.
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