Laura

SpellingEgiziano

Era una giornata da Mission Impossible: la barca piena di studentelli israeliani tutti sotto i vent’anni che ruzzolavano da poppa a prua schiamazzando felici.

SPLASH..  uno che non aveva mai visto un’attrezzatura subacquea fino a quel momento si schianta in acqua per conto suo, Laura s’infila le pinne e urla “Non sei brevettato! Non puoi entrare in acqua senza un istruttore! Io sono il tuo istruttoreeee!” e si lancia all’inseguimento del fai da te ma in un attimo l’acqua si richiude sopra una chioma ricciuta. Nel frattempo io aiuto altri due rimasti a bordo a indossare le attrezzature, terrorizzato all’idea che mi potessero scappare da un momento all’altro. Intanto tre snorkelisti s’erano buttati in mare dal sun-deck proprio mentre un’altra barca s’avvicinava a tutto gas per ormeggiare a fianco a noi. Io urlo alla barca di rallentare e agli incoscienti di allontanarsi. Laura, dall’ acqua mi guarda e fa:

“Just another day in Paradise…”  Lei aveva appena acciuffato il fuggiasco in due metri d’acqua, io ero appena arrivato a Sharm el Sheikh.

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L’avventura di Laura Coppa per il mondo inizia alla tenera età di diciannove anni con una copia di Donna Moderna comprata all’edicola della stazione di Varese mentre aspettava il treno. “Dovevo andare a iscrivermi all’Università di lingue a Milano, ma l’articolo diceva: ‘Frequenta una Università all’estero’. Io avevo voglia di visitare il mondo e l’articolo riportava un indirizzo di Milano.” Così Laura disfa completamente il suo piano per quel giorno, e per il suo futuro, e non va all’Università ma si presenta in un ufficio a Milano dove vede una grande mappa d’Europa con alcune città marcate da grossi spilli colorati.

“Norimberga” dice Laura all’impiegata mostrando la sua scelta. Aveva conosciuto un tipo di Praga che le andava a genio e pensò che Norimberga era abbastanza vicina. Il papà, pur rispettando la sua scelta, non avrebbe elargito un centesimo. Laura ci andò lo stesso. Alla prima pausa estiva iniziò a cercare lavoro. Volevano animatori per un villaggio a Sharm el Sheikh, un posto al caldo. Le mappe non riportavano ancora Sharm el Sheikh, e la faccenda la intrigò talmente che poco dopo era in aereo e guardavo giù dai finestrini. Deserto, deserto, deserto. L’aereo atterra in una striscia asfaltata in mezzo alla sabbia. Tanta sabbia.

“Ma dove cazzo sono finita?”

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L’aeroporto era un hangar e i pochissimi resort distavano parecchi chilometri l’uno dall’altro. In mezzo c’era solo il deserto. Laura lavora lì per quattro mesi, poi torna a studiare in Germania. Ma l’aver resistito, una donna, a Sharm el Sheikh così a lungo, per qualcuno è un magnifico curriculum. L’anno dopo, durante la seguente pausa estiva, la rispediscono al Ghazala, a Sharm. Le cose non vanno bene, in breve le offrono di andare in Grecia. In Grecia? Laura prende sì le sue valige, ma  non si presenta all’aeroporto si presenta invece al Bus Stop, allora l’unica discoteca, – dove oggi c’è il Pacha – cercando di trovare una soluzione per restare. La soluzione arriva.

“Mi offrirono di trasferirmi a bordo di una barca, una barca per safari subacquei. Io ero appena un Open Water  e mi fecero il corso Advanced di corsa. Portavamo avanti e indietro gruppi, per fortuna avevano tutti le loro guide, i loro istruttori brevettati… allora non c’erano troppe regole e più che guidare mi toccavano i soliti compiti di merda: scendere da sola per ormeggiare la barca sul relitto del Thistlegorm o nella zona di Alternatives, magari di notte e con la corrente forte. Sei mesi così. Ma a me andava bene.”

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Poi Laura sbarca e si concede il lusso e la privacy del Pigeon House. Sorgeva dove adesso c’è il McDonald, ed era un piccolo resort popolato da instabili bungalow dalle pareti in bambù, ostello degli innumerevoli vagabondi fai da te, quelli che non telefonano e non mandano fax, ma si presentano con dieci dollari e un curriculum in mano.

“Se passi troppo tempo in mare poi sulla terraferma ti senti strana: troppa gente intorno, i rumori, le voci umane… mi disturbavano. Ero abituata al mare, ai suoi silenzi, ai suoi grandi spazi. Capii subito che se non avessi trovato immediatamente un lavoro a terra sarei tornata in barca e sarei diventata una sorta di asociale, un’irrecuperabile. Ne trovai uno: counter, cioè desk dei centri subacquei. Il mare era la mia strada.”

E che mare. Laura diventa istruttrice subacquea, una delle più toste della baia. Una che quando torna dal suo boss e le chiedono come sono andato nel mio giorno di prova dice: “Penso sia un masochista, era una giornata terrificante e quello s’é divertito” Da quell’incontro, una pietra miliare nella mi storia, passò del tempo. Laura era sempre meno in barca e più spesso al counter. Una volta mi chiamò. Era nella scuola del Camel, quella che oggi s’affaccia sul ristorante indiano. Mi fa: “Se non hai molto da fare adesso, vieni qui.” C’era una cliente in bikini che aveva indossato le pinne per provarle ed aveva iniziato a ballare, e gli altri clienti che avevano provato le pinne ballavano anche loro.  La scena era magnifica. Ma lì capii che per togliere Laura definitivamente dalle acque del Mar Rosso e tenerla al counter ci voleva  qualcosa di più forte del Mar Rosso. Ci voleva Thomas.

“Thomas nasce nel novembre del ’99. Ma non è l’unico che arriva quell’anno in quel diving centre, il Camel. Quell’anno lì eravamo tutte rimaste incinte, tanto che il tuo caro amico Steve scrisse la canzone: è’ la piscina, è la piscina… ricordi?” Per quanto riguarda Thomas il padre è sicuramente Terry, quotatissimo istruttore sharmese e ora pezzo grosso della PADI, la più grande organizzazione didattica subacquea. Nel 2004 Laura, Terry e Thomas, per motivi che le sono ancora oggi oscuri, si trasferiscono in Inghilterra.

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“Ti dirò, mi sentivo più a mio agio in Egitto malgrado le difficoltà: in Egitto anche nel deserto c’è sempre qualcuno che spunta, per chiacchierare e forse darti una mano…”

“E’ che non riescono a farsi gli affari loro, è tipico dei sud del mondo… ma poi ti sbirciano dalle finestre” dico io.

“E’ vero, ma il rovescio della medaglia è che lassù ti lasciano morire…. per rispetto della tua privacy, probabilmente. E’ questa la mia impressione.”

Laura in quel momento era uno degli autori di Go.Red.Sea.com,  il più bel portale, magazine etc. che si sia mai visto sul Mar Rosso: in quegli anni Sharm era la New York del turismo e della subacquea; tutto ferveva, tutto era pronto a esplodere – bombe del cazzo escluse – e a rendere quel posto e i dintorni egiziani epicentri di bellezze naturali, di getaway, di stili di vita alternativi.

“C’era da fare tutto, dalle fotografia delle spiagge ai testi, mettere insieme le notizie e trovare autori e eventi: tutto con lo scopo preciso di promuovere il Mar Rosso ed io facevo tutto. Sì ho avuto cariche come marketing & sales whatsoever, in realtà ero un jolly. Era una vera avventura. Off the beaten track era la nostra rubrica più sentita, quella che doveva spiegare ai turisti, potenziali o già in loco, cosa c’era da fare nel deserto, ciò che i tour operator non dicevano ai loro pollastri, chi faceva cosa. Dai rally in moto alle ONLUS, alla cultura beduina. E’ stata un’ avventura splendida,  tradotta in cinque lingue, con milioni di visitatori.

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Laura, nel 2007, torna alla sua Sharm. Ma Go.Red.Sea.com per motivi tuttora incomprensibili alle masse di utenti, si dissolve e Laura passa alla CDWS, Chamber of Diving and Water Sports, l’organismo associativo che funzionava come normatore per le attività marine di Sharm.

“Anche quella è stata una bellissima avventura, gestivamo cose di interesse comune: dalla conservazione marina al coordinamento tra i centri di attività, fino alla stesura di standard di sicurezza. Eravamo un bel team e nonostante fossi una donna ormai mi sapevo gestire bene in mezzo a quella profusione di maschi alfa baffuti, e sapevo come guadagnarmi il loro rispetto” Poi, a gennaio del 2011, la rivoluzione. Un giorno di quell’anno vedo ballonzolare l’icona di skype.

“Non potresti mai immaginare dove sono adesso.”

E’ Laura. E’ in Norvegia, mi descrive i ghiacci e i fiordi e l’assoluta mancanza di nostalgia per Sharm. Non in quel frangente. La rivoluzione ha tagliato i fondi a organizzazioni governative tipo la CDWS.

“Ho un figlio ancora piccolo e io ed Erik, il mio nuovo compagno anche lui (ma va?) istruttore sub, eravamo rimasti senza lavoro. Internet andava e veniva, come le derrate alimentari e la benzina. Abbiamo detto basta e ora siamo qui, tra i ghiacci e un tramonto che tu non immagineresti mai. I colori! Non sai che colori!”

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Sento un vento freddo e poi Laura sparisce per un po’. Come tutti gli amici veri so che riapparirà anche se non frequento feisbuc. Un troglodita come me agli amici ‘veri’ manda ancora le email. E Laura continua a rispondere a quelle mie forme vetuste di comunicazione.

“Mi manca l’Egitto, ma dobbiamo ammetterlo, il periodo che abbiamo vissuto laggiù è irripetibile, una età d’oro. In quegli anni eravamo tutti felici, ci divertivamo tutti come matti. Forse eravamo tutti matti e Sharm era un esperimento, un manicomio a cielo aperto, un laboratorio protetto… comunque eravamo tutti felici e riuscivamo anche a renderci utili, eravamo una società multietnica, multiculturale, intellettualmente vivace. E quei tramonti… te li ricordi?”

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Lo so, lo so, lo so… non ho mai conosciuto un tipo migliore di società come quella vissuta in quegli anni. Taglio corto e le chiedo qual è stato, se c’è stato, il suo shock culturale in Norvegia.

“Un giorno trovo un messaggio nella cassetta delle poste che dice: domani veniamo a posare il cavo TV. Se non siete in casa lasciate la chiave nella cassetta. Sì, in Norvegia le cassette della posta sono aperte e non ci sono barriere a delimitare le proprietà. Il messaggio è scritto a penna. Io mi fido, ma solo per non fare la troglodita che viene dal sud del mondo. Poi, però nel dubbio finisco prima di lavorare e mi precipito a casa. Trovo il tipo: non solo ha posato il cavo, ma ha fatto un giro con l’aspirapolvere! E si scusa anche, nel dubbio di aver lasciato qualche traccia di sporco.” Ride.Negozioesternoestate2

Mi viene in mente che in Egitto è possibile, ma che passino l’aspirapolvere… te lo dimentichi. In Italia sarebbe autorizzare il furto, con l’aggravante della dabbenaggine. Quindi è colpa tua che sei uno che si fida, mica del ladro che invece è furbo. Poi la gente si chiede perché Laura, Yannez, e altri che verranno in questa rubrica,  non vivono in Italia.

“E’ il contrari dell’Egitto, e dell’Italia, se vuoi. Qui la gente vive senza tende, senza scuri, senza paure, mentre in Italia e in Egitto devi proteggerti dalla gente che ti guarda dentro casa: questa è la nuova avventura.”

In Norvegia Laura gestisce un negozio di specialità italiane. No, di più: distribuisce specialità italiane nella Norvegia. Insomma, da Sharm arriva gente che non si arrende mai e che non si spaventa di cambiare completamente aria. Fredda o calda che sia.

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Nella foto: Laura è quella che pensate sia Laura,

l’altro tipo figo è Erik Thommessen, complice dello shock culturale

occorso alla Norvegia.

il sito di Laura

 https://www.kvinnelist.no/

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  1. Marco
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