Come un dio inatteso – James Cook, il terzo viaggio
“Per tutta la nave seguì un silenzio totale che durò quasi mezz’ora. Tutto ci sembrò come un sogno, o un qualcosa con cui non ci saremmo più riconciliati per molto tempo. L’afflizione era visibile su ogni fisionomia. Alcuni la esprimevano con le lacrime, altri con una sorta di tetro sconforto più facile da capire che a descriversi. Tutte le nostre speranze erano concentrate in lui; la perdita era irreparabile e quella sensazione rimase così profondamente impressa nella nostra mente che non l’avremmo mai più dimenticata.”
Così il marinaio George Gilbert descrisse la perdita del suo comandante, accasciatosi sulla spiaggia di Kealakekua, nell’isola di Hawaii. Era il 14 Febbraio del 1779 e su quella spiaggia finiva il terzo viaggio di James Cook.
Era stato un viaggio senza scienziati, stavolta. La Discovery e la Resolution, due vascelli di Sua Maestà Britannica, facevano parte della spedizione. La scusa dell’Ammiragliato per rispedire Cook, già in età pensionabile, fino alla fine del mondo era di riportare a casa ‘Omai’, un altro giovane pilota originario dell’isola di Raiatea, in Polinesia. Ma la vera ragione di quella missione era un’altra: esplorare una rotta in grado di congiungere il Pacifico del nord al nord Atlantico attraverso lo stretto di Bering. Cook fu inviato alla ricerca del famigerato ‘passaggio a nord-ovest’. Durante il tragitto verso nord, verso l’Alaska e poi le isole Aleutine Cook , nel mese di Gennaio del 1778, s’era imbattuto nell’ isola di Hawaii. Anche in quel caso era la prima volta che gli abitanti di un’isola del Pacifico vedevano le facce bianche, e le navi, degli europei. Accadde nella baia di Kealakekua, nell’isola di Hawaii, la maggiore dell’arcipelago. La stessa baia dove un anno dopo trovò la morte.
L’isola di Hawaii, con i suoi 4200 metri sul livello del mare, era una vera montagna in mezzo all’oceano, verde e imponente davanti gli occhi degli equipaggi. Nel cercare un approdo sicuro le navi avevano circumnavigato l’isola nello stesso senso che seguivano gli indigeni durante la processione del Makahiki, la cerimonia del raccolto. Gli isolani videro le navi da lontano. Assomigliavano, con le loro vele candide alte sul mare, al feticcio di Lono, divinità delle nuvole, ma immensamente più grandi.
“Si avvicinano con canoe e piroghe, portandoci dei doni. Non hanno paura di salire a bordo.” Era il primo contatto con gli Hawaiani, e Cook battezzò quel nuovo arcipelago Isole Sandwich, in onore di Lord Sandwich, armatore e patrono di varie spedizioni. A terra Cook viene accolto come un semidio, condotto davanti al re, ai saggi, ai sacerdoti. Scrive Johann Einrich Zimmermann, autore di ‘Viaggio intorno al Mondo con il Capitano Cook’:
“Era nato per trattare con i selvaggi, ed era felicissimo di socializzare con loro. Li amava, comprendeva i differenti linguaggi parlati nelle isole, e possedeva l’arte di accattivarseli con le sue belle maniere. Era questo, probabilmente, il motivo per cui lo onoravano e, a volte, lo veneravano. E forse questa era la medesima ragione per cui se smettevano di adorarlo, o peggio lo ridicolizzavano, lui bruciava di rabbia.”
Forse lo amavano più gli indigeni che i suoi marinai. Aveva scritto degli aborigeni Australiani: “Sono mediamente più felici di un europeo medio.” In Nuova Zelanda s’era rifiutato di giustiziare un capo Maori che precedentemente avevano ucciso e mangiato tre dei suoi uomini, a Tahiti aveva cercato insistentemente di prevenire le violenze e le infezioni veneree che i suoi marinai spargevano. Non era quello un equipaggio composto da scienziati e disegnatori con serventi al seguito, come nei viaggi precedenti; quelli che stavolta aveva a bordo erano soprattutto soldati, royal marines, e marinai reclutati a forza nelle bettole e nelle galere di Sua Maestà. James Cook aveva a che fare con il tessuto sociale che fu l’artefice degli imperi moderni: reietti, gente in fuga. L’America si era ribellata all’Inghilterra, e da lì a poco il popolo di Francia avrebbe rovesciato i suoi reali. Non erano, quelli, tempi facili per i comandanti. Tra i suoi ufficiali c’era un certo William Bligh, che dieci anni dopo subì il più famoso ammutinamento della storia, quello del Bounty. C’era chi descriveva Cook come un comandante irascibile, chi invece ne dipingeva un ritratto agli antipodi. Come David Samwell, che aveva affrontato con lui il terzo viaggio:
“Era un uomo modesto e piuttosto schivo; di conversazione briosa e piacevole, sensibile e intelligente. Di temperamento un po’ sbrigativo, ma di disposizione più che amichevole, benevola e umana. La sua persona era di oltre il metro e ottanta di altezza e oltre che un uomo di bell’aspetto era semplice, sia nel vestire che nelle sembianze.”
Perché Cook era ritornato su quella spiaggia?
Tutto il viaggio era stato faticoso sin dall’inizio. Le navi erano state messe spesso in secca per continui calafataggi, le impermeabilizzazioni del fasciame. Le sentine marcivano, l’acqua entrava di continuo dal ponte superiore del Discovery, dalle murate. E quella volta avevano rotto un albero, costringendo le due navi a riparare in un approdo al sicuro dai venti e dalle mareggiate. Così avevano fatto di nuovo vela verso la baia di Kealakekua, dove Cook era stato accolto come una divinità. Ma stavolta gli indigeni non sembravano contenti di vederlo. Le piroghe non arrivavano a salutare la sua nave, nessuno gli aveva inviato omaggi.
Forse capirono che non c’era nulla di divino in quell’uomo bianco, ma molto più probabilmente Cook aveva violato un protocollo che non conosceva, uno di quei protocolli con in quali le società tribali pretendono di riscrivere il futuro compiendo atti scaramantici. Per quanto li amasse e conoscesse la loro lingua, Cook questo non poteva capirlo. Cook aveva l’impronta dell’uomo di scienza, più che del capo militare, men che mai del religioso. E furono proprio i religiosi americani del secolo successivo a gettare ombre sulla figura di James Cook e su ciò che accadde quel 14 Febbraio su quella spiaggia. Gli indigeni avevano rubato una lancia. Non era la prima volta che subivano un furto, di solito si trattava di oggetti di metallo, e la questione era sempre stata risolta trattando con il capo villaggio. Ma stavolta avevano rubato la lancia più grande, quella che serviva al trasbordo delle provviste.
Si presentò a terra con alcuni marines verso il villaggio e chiese al loro capo di seguirlo a bordo. Alcuni uomini iniziarono a protestare e il capo villaggio si rifiutò. Vi fu uno scambio d’insulti. Forse ai loro occhi aveva cessato d’essere un’entità per cui provare del riguardo. Forse il ritorno della divinità per quella gente significava la sovversione dell’ordine celeste, una minaccia al regno. James Cook avanzò verso di loro furioso, altri isolani affluivano da tutte le parti. I resoconti sono discordanti, ma di sicuro qualcuno perse la testa. Partirono i primi colpi di fucile, ma gli indigeni benché armati solo di lance e clave non fuggiorono, si lanciarono addosso ai soldati, che scapparono disordinatamente, in preda al panico. James Cook fu lasciato solo su quella spiaggia dai suoi soldati. Allora un uomo gli si avvicinò alle spalle e lo colpì alla testa.
Non si seppe mai con certezza se Cook fu ucciso in quanto divinità o per aver cessato di esserlo. Certo è che alla alla base c’era un malinteso col capo villaggio. Altrettanto certo è che le sue spoglie furono manipolate dagli isolani per una sepoltura onorifica, d’altissimo rango. L’equipaggio del Discovery dovette trattare a lungo per riottenerle. Una volta restituite, le ossa vennero sepolte in fondo a quella baia dell’oceano Pacifico, il mare cui James Cook apparteneva.
Benjamin Franklin, in piena Guerra d’Indipendenza contro gli Inglesi aveva emanato queste disposizioni:
“ … non considerarlo un nemico, né fare oggetto di bottino alcun suo effetto personale, né ostacolare il suo immediato ritorno in Inghilterra con una sua detenzione o mandandolo in una qualsiasi altra parte d’Europa o in America; ma il suddetto Capitano Cook e la sua gente siano trattati con la massima civiltà e gentilezza, come comuni amici dell’umanità.”
Franklin non lo sapeva: nella data in cui stilava il dispaccio il Capitano James Cook era già morto da un mese. Oggi in quella baia è la casa di una colonia di stenelle.
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