Pappagalli in bottiglia e leggi inefficaci
posted by Barbara Dalla Bona | Maggio 10, 2015 | In Home, Vita sul Pianeta | Articolo letto 5.801 volteE’ di poche ore fa la notizia del salvataggio di 24 esemplari di Cacatua galerita (cacatua dal ciuffo giallo) sequestrati a una organizzazione criminale indonesiana dedita al bracconaggio e al commercio internazionale di fauna selvatica.
La notizia in sé, purtroppo, non avrebbe fatto il giro del mondo se i pappagalli non fossero stati ritrovati strizzati e immobilizzati in comuni bottiglie di plastica da mezzo litro.
Cerco sempre di non interpretare le emozioni degli animali secondo il codice degli umani ma, in quei grandi occhi sbarrati che osservavano attraverso il collo della bottiglia, non si può leggere altro che immensa e incontrollabile paura. E la paura, più della felicità, è un’emozione che appartiene a tutti gli esseri viventi.
Le informazioni riguardo questo carico illegale sono poche ma brutali: gli animali avrebbero viaggiato così, senza acqua né cibo, con un rischio di mortalità durante il tragitto del 40%.
La regolarizzazione del commercio della fauna selvatica è uno dei temi più sentiti dalla comunità internazionale dal 1975 quando, con la Convenzione di Washington, venne stilato un elenco di tutte le specie il cui commercio è severamente vietato e quelle per cui è possibile solo a particolari condizioni e per motivi scientifici.
Gli Stati firmatari, come ad esempio l’Italia, hanno poi sviluppato una propria legislazione nazionale con pene anche molto severe.
Nonostante questo, però, il traffico illegale di animali vivi (o di parte di essi) non sembra fermarsi e un recentissimo studio dell’Università di Oxford ne propone una possibile spiegazione.
In un articolo appena pubblicato sulla rivista Oryx, il Dott. Paul Jepson, afferma che leggi estremamente severe potrebbero avere l’effetto non voluto di rendere le specie proibite sempre più popolari, soprattutto tra i rappresentanti di quella élite disposta a spendere molto denaro per possederne un solo esemplare.
Jepson è giunto a questa conclusione dopo aver analizzato tre diversi piani di protezione, messi a punto in Indonesia per proteggere lo Storno di Bali (Leucopsar rothschildi), uno storno bianco di medie dimensioni, simbolo dell’isola.
Nel suo studio si legge che, l’inasprimento delle leggi avvenuto tra gli anni 1980 e 1990 non ha fatto altro che rendere il volatile ancora più desiderato tra i rappresentanti dell’alta società indonesiana. Il possesso di uno o più esemplari di questa specie è divenuto nel tempo il simbolo della loro posizione, al di sopra di ogni legge. Le nuove norme, quindi, non hanno fatto altro che accelerarne il processo di estinzione, avvenuta infine nel 2006.
Alla conferenza di Londra per il commercio illegale della fauna selvatica, contrariamente alle proposte dei maggiori gruppi ambientalisti, Jepson ha descritto due iniziative alternative all’ulteriore inasprimento delle leggi che, a Bali e a Java, hanno portato ottimi risultati.
I progetti, partendo da un rilassamento dell’applicazione delle leggi in materia, avevano come scopo la conversione dei proprietari illegali di storni in allevatori. La legalizzazione della rete di allevatori ha reso lo storno una specie di facile reperimento e con un prezzo noto. Il risultato è stato quello di far diminuire la sua redditività nel mercato nero e persino il fascino suscitato nell’alta società balinese. Condizione necessaria perché gli allevatori potessero continuare a possedere la licenza è stata la donazione di un certo numero di esemplari al Bali Barat National Park, cosa che ha permesso la sua reintroduzione in natura nel 2008.
Certamente si tratta solo di un caso di studio e nessuno di noi ha voglia di sminuire il valore di normative severe per la protezione delle specie selvatiche. Appare però evidente che un approccio più sfumato sia a volte necessario per adattarsi alle realtà sociali e politiche locali e che le soluzioni debbano essere pensate ed elaborate caso per caso.
Per chi è insensibile al terrore in quel grande occhio che fissa l’obiettivo dall’interno di una bottiglia, è necessario agire in altro modo, privando del valore monetario il commercio illegale e, ancor meglio, offrendo un’alternativa virtuosa per vivere degnamente nel rispetto della natura.
Per approfondire:
- http://www.sciencedaily.com/releases/2015/05/150503095827.htm
- https://www.gov.uk/government/topical-events/illegal-wildlife-trade-2014
- http://www.ilgiornale.it/gallery/cos-esportano-i-pappagalli-dallindonesia-1124383/2.html
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About The Author

Barbara Dalla Bona
Sono nata nel Gennaio del 1981, nel cuore della fredda pianura pontina, con sangue veneto e occhi siciliani. Da bambina Latina e' tutto il mio mondo, da esplorare e conquistare con una bici e un po' di fantasia ma, nell'adolescenza, la provincia si fa stretta. Inizio a viaggiare e mi conquista una Londra dinamica e multiculturale. All'universita' mi trasferisco a Roma; frequento la facolta' di Scienze Naturali e rimango affascinata, piu' di quanto non lo fossi gia', dalla magia nascosta in ogni fenomeno naturale. La mia voglia di conoscere il mondo, pero', e' irrefrenabile. Viaggio per Africa, India e America centrale finche' non decido di frequentare un anno accademico a Valencia, in Spagna. Dopo la mia laurea collaboro con il Centro di Ricerca Interuniversitario sulla Biodiversita'; nel frattempo vinco una borsa di studio post lauream per svolgere un progetto di ricerca sull'ecologia delle specie vegetali esotiche in una prestigiosa universita' californiana. E' li' che, per la prima volta, sento la nostalgia della mia pianura con i suoi laghi e le sue spiagge. Al ritorno da quella esperienza fantastica mi butto a capofitto in un progetto di educazione e interpretazione ambientale nel territorio del Parco Nazionale del Circeo; progetto in corso ed evoluzione gia' da un paio d'anni ma che da quel momento diventa la mia attivita' principale. La voglia di conoscere il mondo e il piacere di comunicarlo sono le due forze che alternativamente o spesso in congiunzione determinano ancora la rotta della mia vita.
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