Aree marine protette c’è chi dice no..

 

Capo Testa, in Gallura, è candidato ad Area Marina Protetta. Ma c’è chi non  vuole.

Chi può opporsi alla creazione di un’ Area Marina Protetta? Di solito persone che potrebbero subire una perdita economica, come i palazzinari che si vedono chiudere l’opportunità di nuove licenze edilizie, magari la costruzione di porti turistici, per l’imposizione di nuove e costose regole. Potrebbero opporsi i pescatori, che si vedono tagliar via un’area più o meno vasta dalle loro opportunità. Ma anche i diportisti che temono l’introduzione di nuove norme, come per esempio il divieto di dare ancora, e obbligo di ormeggio a boe designate, il che li escluderebbe dal poter pranzare in qualsiasi caletta a piacimento. Potrebbe opporsi chi teme l’introduzione di contingenti tra visitatori e natanti. E così via.

Tuttavia il vantaggio di una AMP è tale che le voci contrarie, a meno che non siano espressione di potentissime lobby, si adeguano volentieri . Il ritorno economico generato dal turismo sostenibile è tale da assorbire i malumori e trasformarli in felicità. Riporto solo un breve paragrafo da areemarineprotette.it, ma vale la pena leggere tutta la pagina.

“L’area marina protetta, la cui funzione principale è la protezione ed il ripristino dei valori biologici, assume un ruolo centrale nell’incentivare l’uso sostenibile di tutte le risorse presenti sul territorio ed induce gli stakeholders territoriali a progettare e costruire strategie di sviluppo del settore turismo basate sulle risorse locali , autosostenibili nelle modalità di attuazione e che si avvalgono di relazioni globali.”

 

E’ inconfutabile: le Aree Marine Protette svolgono un ruolo fondamentale nell’attirare turisti, soprattutto del tipo interessato al territorio e alle economie locali, turisti che vengono sottratti a spiagge e fondali che non offrono le stesse garanzie paesaggistiche, di biodiversità, di qualità delle acque. Le aree marine protette, quindi, rendono tantissimo e vanno incentivate. Lo hanno dichiarato le Nazioni Unite attraverso vari organi come l’Organizzazione Mondiale del Turismo e l’UNESCO, l’Unione Europea, lo ha detto John Kerry, segretario di Stato americano affermando che l’emergenza oceani è un problema di sicurezza globale. problema che va contrastato con la creazione di santuari marini.

I più grandi nemici delle AMP sono più che altro i budget limitati dei governi. Se non ci si mettono grosse lobby di mezzo, come quelle della pesca e del petrolio, è molto difficile che un semplice gruppo di pressione sia in grado di bloccare una iniziativa dal sicuro riscontro economico, ambientale, paesaggistico etc. etc. etc. Più facile è che l’iniziativa si fermi per la mancanza di fondi o s’impantani nelle paludi burocratiche.

Due gruppi a dir poco inaspettati si oppongono all’istituzione dell’Area Marina Protetta di Capo Testa in Gallura. Uno è una specie di pro-loco una organizzazione locale che si oppone più per puntiglio che per altro: ‘L’istituzione è stata decisa da Roma, non siamo stati interpellati, neanche con un referendum.’ È questa la loro posizione in sostanza, posizione che entra nell’ottica di ben noti sentimenti d’indipendenza,  voglia di democrazia diretta e di riconoscimento della conoscenza del territorio. Ma il gruppo che stupisce di più è quello formato dagli apneisti attraverso diversi magazine e network specializzati che minacciano di lasciare la Gallura, proprietari e vacanzieri ospiti, se verrà costituita un’area marina protetta, in quanto verrà loro impedito di pescare. Ovviamente in apnea. Cos’è la pesca in apnea?

Un po’ di chiarezza. Il giudizio morale sulla caccia o sulla pesca è un giudizio subordinato alla sensibilità individuale, se non a posizioni ideologiche, quindi lo lascio volentieri altrui; diciamo che la pesca in apnea, se correttamente condotta, non è distruttiva e c’è chi dice che può contribuire alla selezione naturale sostituendosi alla mancanza dei predatori d’apice. E’ anche più ‘formativa’ della pesca condotta dalla superficie con ami e lenze, in quanto obbliga il pescatore ad una performance atletica di alto livello psicofisico, per di più in un ambiente estraneo. Formativa sì, ma certamente più spietata della pesca a rilascio: nessuna preda infilzata da una fiocina ha la possibilità di sopravvivere. In più le prestazioni stanno aumentando.

Pesca a strascico e altri innumerevoli abusi producono danni ben maggiori, ma il rumore di fondo sposta l’attenzione da quelli che sono i veri problemi formattandoli in un contesto morale, emozionale o ideologico/religioso. Un pescatore in apnea, al di fuori di un’area marina protetta, ha il diritto di prelevare un minimo, ma il controllo sul pescato e sull’approvvigionamento di pesce fresco presso i ristoranti locali, senza l’investimento per la tutela di una AMP è inconsistente. Difficile aspettarsi che ci siano controlli adeguati sulla provenienza del pesce esposto nelle ghiacciaie dei ristoranti. E non solo.

La visione del mare (e del pianeta) come territorio di caccia, è purtroppo ancora in auge, il mare dovrebbe essere un santuario destinato alle poche generazioni che possono ancora ammirarlo. Prima o poi diventerà davvero una distesa verdognola e untuosa come certi laghetti artificiali nei giardini privati, tiepidi e asfittici, e con tanta plastica in più rispetto ad una pozzanghera condominiale. Ciò che sconvolge in questo piccolo caso è che chi si oppone non è una Shell o una BP, né i palazzinari locali, ma per ripicca un ente locale e centinaia di pescatori in apnea che in sostanza il mare dovrebbero adorarlo, a prescindere dall’ego soddisfatto da certe catture. Sicuramente un braccio di ferro che si risolverà non appena arriverà la copertura finanziaria.

In caso contrario chi ne farà le spese sarà solo il mare. E il mare, come l’aria, sfugge sempre: è di tutti. Né dei pescatori in apnea né delle organizzazioni locali.

mare

© Frank Stahlberg

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