Plastica, l’alimento indesiderato

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Si legge sull’Ocean Portal dell’Istituto Smithsonian “Gli albatri di Laysan (Phoebastria immutabilis) sono uccelli incredibili. Hanno aperture alari di quasi due metri e si librano in aria per lunghe distanze senza nemmeno batter le ali. Possono sopravvivere per anni senza toccar terra, vivere per quasi mezzo secolo e rimanere legati a un solo compagno per tutta la vita. Ma hanno un grande problema: mangiano la plastica che noi umani abbandoniamo nel mare”.

Con queste parole si introduce la toccante collezione di Chris Jordan, un fotografo che ha immortalato le carcasse in decomposizione di quegli albatri morti nell’Atollo di Midway, nella parte occidentale dell’arcipelago delle Hawaii.

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Per avere l’esatta percezione di quanto i nostri oceani siano invasi dalle materie plastiche non è necessario leggere complessi studi scientifici sulle dinamiche dei rifiuti negli oceani o interpretare minuziose analisi chimiche, è sufficiente fare una passeggiata lungo la spiaggia dopo una mareggiata. L’immagine desolante che, di solito, ci si trova di fronte è quella di una battigia, a volte, completamente ricoperta da materiali non biodegradabili, dalle comunissime bottiglie, alle reti o altri contenitori, rigorosamente in plastica.

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Foto scattate nel 2005 in una spiaggia a sud di Marsa Alam, Egitto

Come raccontiamo ai bambini, prima di approdare sulle spiagge, quei rifiuti sono stati trasportati dalle acque dei fiumi e dalle correnti marine. Quello che ci dimentichiamo di dire è che, in alcuni casi, questi strani oggetti galleggianti, vengono scambiati per cibo e ingeriti da uccelli marini come le berte o i gabbiani.

Agli inizi degli anni sessanta dello scorso secolo, periodo a cui risalgono i primi studi a riguardo, solo una piccola percentuale di uccelli dissezionati, custodiva nel proprio stomaco alcuni frammenti di plastica. Già nel 2010, la percentuale degli animali saliva all’80%. Oggi circa il 90% degli uccelli ha incluso involontariamente nella propria alimentazione, rifiuti plastici di varia origine e, analizzando i dati più recenti, se le cose non dovessero cambiare, nel 2050, quasi ogni uccello marino porterà nel suo stomaco un fardello indigeribile.

La presenza di plastica nell’apparato digerente di un uccello ha una lista infinita di effetti negativi; quando l’animale non muore avvelenato dalle sostanze tossiche rilasciate dalla plastica, i frammenti ne ostruiscono l’apparato digerente, causando la cattiva assimilazione del cibo e, quindi, un progressivo mortale deperimento. Un rapporto stilato da alcuni scienziati sui pulcini di albatri di Laysan, ha rivelato che quasi la metà dei nuovi nati trova la morte prima di imparare a volare e, all’autopsia dei corpicini, nei loro stomaci sono spesso rinvenuti preoccupanti quantitativi di materie plastiche.

È stata da poco pubblicata su PNAS (Proceedings of the National Academy of Science), un ricerca che, oltre a quantificare la percentuale di uccelli soggetti all’ingerimento accidentale della plastica, traccia una mappa globale dei diversi livelli di rischio. Da questa mappa emerge, ad esempio che, l’impatto della disponibilità di plastica sulla fauna selvatica che vive nell’Oceano Antartico, è molto forte, nonostante la moderata pressione antropica. Segno, questo, della necessità di affrontare a livello globale le principali problematiche relative al benessere del mare.

D’altro canto la questione riguarda tutte le specie di uccelli marini del mondo e non è circoscritta a quelle zone degli oceani in cui si formano le famose isole di rifiuti. In quel caso il pericolo è un altro ed è legato alla micro-frammentazione delle plastiche che, pian piano, entrano a far parte dei tessuti dei pesci di cui ci nutriamo e di cui abbiamo parlato nel pezzo “Coriandoli di plastica nella pancia del pesce”.
Uno studio che aveva lo scopo di stabilire le fonti d’inquinamento da materie plastiche nei mari ha evidenziato che, delle 275 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, prodotti dalle nazioni costiere, una decina sono finite in mare solo a causa di una scorretta gestione della raccolta dei rifiuti. Un punto importante per capire da dove partire per ottenere dei miglioramenti misurabili!!

Il rapporto del 2012 della dalla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica ci ricorda, purtroppo, che gli uccelli non sono le uniche vittime: più di 600 specie organismi marini entrano in contatto con i rifiuti di plastica, spesso per ingestione ma, a volte, semplicemente impigliandocisi come spesso accade con i frammenti delle vecchie reti da pesca.

Quali informazioni abbiamo oggi?

Sappiamo che le bottiglie di plastica impiegano 450 anni per decomporsi; che le reti da pesca ce ne possono mettere anche 600 e che i sacchetti di plastica o i palloncini in mare possono essere pericolosamente scambiati per meduse e ingeriti.

Cosa possiamo fare per contribuire a migliorare la salute del mare?

Per prima cosa possiamo ridurre l’uso di prodotti di plastica, in particolar modo di quelli usa e getta; possiamo comprare sacchetti riutilizzabili e ridurre l’uso dei sacchetti di plastica. Possiamo raccontare agli altri le pericolose conseguenze di comportamenti sbagliati e, nel caso, raccogliere la spazzatura lasciata sulle spiagge, anche se non è la nostra.

Ridurre le concentrazioni di rifiuti plastici di dimensioni medio-grandi non è un obiettivo impossibile. In Europa, ad esempio, gli sforzi attuati per ridurre le perdite di materie plastiche nell’ambiente hanno portato, in meno di un decennio, a cambiamenti misurabili della plastica presente nello stomaco degli uccelli marini locali.

Almeno in questo caso, un incisivo miglioramento nella loro gestione sarebbe in grado di ridurre la quantità di rifiuti nell’ambiente in un tempo sorprendentemente breve.

Per approfondire:

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