Chi gradisce un po’ di plastica?
posted by Barbara Dalla Bona | Ottobre 26, 2015 | In Home, Vita sul Pianeta | Articolo letto 4.006 volteBisogna ammetterlo, la plastica può essere molto utile. È flessibile, economica, isolante e resistente alle corrosioni; è ampiamente utilizzata per le attrezzature mediche così come per gli strumenti che utilizziamo giornalmente in casa. Il problema, però, è che i rifiuti plastici non sono biodegradabili o impiegano un tempo quasi infinito per essere smaltiti dall’ambiente.
La maggior parte dei materiali plastici, infatti, sono realizzati tramite un processo di riscaldamento del petrolio. Durante questa fase le molecole che lo costituiscono si ricombinano per dare vita al polipropilene, un polimero caratterizzato da legami forti carbonio-carbonio. Sono proprio questi legami che la rendono così resistente, ma sono anche il motivo per cui la plastica non si degrada naturalmente. Pochi sono pure gli esseri viventi conosciuti in grado di digerire parzialmente la plastica e questo è un altro motivo per cui bottiglie e contenitori di ogni tipo si stanno accumulando nelle discariche e nei nostri oceani.
“Non esiste nulla di simile creato dalla natura – spiega Kenneth Peters, geochimico presso la Standford University – non è una sorpresa che i detritivori non sappiano che farsene.”
Se, fino a qualche anno fa, ci saremmo arresi al destino di dover convivere con ogni genere di rifiuti plastici, scenario altamente probabile pur considerando i migliori sforzi per un uso coscienzioso di questi materiali, due studi da poco pubblicati su Environmental Science and Technology suggeriscono una soluzione naturale a questo problema. Il suo nome è verme della farina e, dall’aspetto, sembrerebbe solo un innocuo vermetto.
I ricercatori, però, hanno scoperto che alimentando le larve di Tenebrio molitor (questo il nome della specie di coleottero in questione) con nient’altro che polipropilene, si sviluppano nel suo apparato digerente popolazioni di microbi in grado di rompere i famosi legami carbonio-carbonio e, di fatto, degradare le plastiche.
Prima di cantare vittoria, però, devo avvisarvi che questi vermi non sono buone forchette: le ricerche riportano che, per un totale di 100 vermi, sono biodegradati solo 40 milligrammi di plastica al giorno, una frazione millesimale di quella che finisce ogni giorno in un cassonetto!
I risultati della digestione di Tenebrio molitor sono anidride carbonica e particolari micropellet che, affermano i ricercatori, sono sufficientemente sicuri da poter essere usati come substrato per le piante.
Già nel 2011 alcuni ricercatori della Yale University avevano pubblicato un articolo su Applied and Environmental Microbiology in cui descrivevano alcune straordinarie caratteristiche di un fungo nativo delle foreste pluviali, Microspora Pestalotiopsis. Secondo Russell e colleghi, il fungo sarebbe in grado di sopravvivere nutrendosi esclusivamente di poliuretano, altra famiglia di plastiche fin ora considerate indigeribili.
Nell’articolo i ricercatori considerano realistica l’ipotesi per cui, in ambienti ancora così poco studiati come le foreste pluviali, possano esistere altre specie di fungo capaci di degradare la plastica e facilitare il suo processo di smaltimento.
Purtroppo, però, non sono stati ancora scoperti e, con la rapidità con cui stiamo distruggendo questi ambienti, le possibilità di portarli all’estinzione prima ancora di conoscerli è molto alta.
Negli ultimi dieci anni l’MIT ha dato vita a una competizione per incoraggiare gli studenti universitari a progettare una “cellula vivente” e nel 2013 un gruppo di studenti ha creato un batterio in grado di digerire la plastica delle nostre discariche.
L’ingegneria genetica, però, è un campo ancora scarsamente esplorato. Cosa succederebbe se immettessimo nell’ambiente batteri geneticamente modificati in grado di nutrirsi dei nostri rifiuti? Come potremmo controllarli se diventassero invasivi? D’altro canto nemmeno l’uso di batteri o funghi naturali ma provenienti da altri ambienti, dovrebbe essere preso alla leggera. Sarebbe necessario studiare dettagliatamente tutte le possibili conseguenze prima di cospargere i nostri rifiuti di milioni di spore di funghi in grado di causare una grande varietà di malattie sconosciute ai nostri ecosistemi.
Fin quando non avremmo trovato la soluzione perfetta per liberarci degli ingombranti rifiuti plastici l’unica cosa fattibile è la vecchia strategia: limitarne l’acquisto e l’utilizzo, riutilizzare fin quando possibile e, chiaramente, riciclare diligentemente.
Per approfondire:
- http://pubs.acs.org/action/doSearch?text1=mealworm&=&field1=AllField&type=within&publication=40025991
- http://phys.org/news/2015-09-plastic-eating-worms-solution-mounting.html
- http://phys.org/news/2014-12-gut-bacteria-worm-degrade-plastic.html
- http://www.livescience.com/33085-petroleum-derived-plastic-non-biodegradable.html
- http://aem.asm.org/content/77/17/6076
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About The Author

Barbara Dalla Bona
Sono nata nel Gennaio del 1981, nel cuore della fredda pianura pontina, con sangue veneto e occhi siciliani. Da bambina Latina e' tutto il mio mondo, da esplorare e conquistare con una bici e un po' di fantasia ma, nell'adolescenza, la provincia si fa stretta. Inizio a viaggiare e mi conquista una Londra dinamica e multiculturale. All'universita' mi trasferisco a Roma; frequento la facolta' di Scienze Naturali e rimango affascinata, piu' di quanto non lo fossi gia', dalla magia nascosta in ogni fenomeno naturale. La mia voglia di conoscere il mondo, pero', e' irrefrenabile. Viaggio per Africa, India e America centrale finche' non decido di frequentare un anno accademico a Valencia, in Spagna. Dopo la mia laurea collaboro con il Centro di Ricerca Interuniversitario sulla Biodiversita'; nel frattempo vinco una borsa di studio post lauream per svolgere un progetto di ricerca sull'ecologia delle specie vegetali esotiche in una prestigiosa universita' californiana. E' li' che, per la prima volta, sento la nostalgia della mia pianura con i suoi laghi e le sue spiagge. Al ritorno da quella esperienza fantastica mi butto a capofitto in un progetto di educazione e interpretazione ambientale nel territorio del Parco Nazionale del Circeo; progetto in corso ed evoluzione gia' da un paio d'anni ma che da quel momento diventa la mia attivita' principale. La voglia di conoscere il mondo e il piacere di comunicarlo sono le due forze che alternativamente o spesso in congiunzione determinano ancora la rotta della mia vita.
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