La pesca con le astronavi è autorizzata? Sì
Mentre i pipistrelli ci hanno messo milioni di anni a sfruttare l’effetto doppler, noi in pochi decenni abbiamo sviluppato sensori in grado di tracciare plancton, stabilire temperatura, salinità dell’acqua, rotta e consistenza dei banchi di pesce. Li abbiamo sviluppati e li abbiamo messi in orbita. Lo chiamano genericamente satellite fishing service ed è l’occhio dalla vista acutissima dal quale le specie marine più prelibate non possono nascondersi. Non avranno mai il tempo di imparare a farlo. Tonni, aringhe e maccarelli si sono evoluti di pari passo con le sule, i cormorani, i gabbiani, in un quadro lentissimo e armonizzante. Fino all’antropocene: l’era dell’uomo.
E’ stato quasi più facile per lupi, cervi, orsi e cinghiali. Nella nostra stupida guerra contro le specie selvatiche in mare non abbiamo dato il tempo alle specie di riorganizzarsi per resisterci, negando loro la possibilità di continuare a esistere e, quindi, di sostenerci. Siamo indubbiamente dei mostri di bravura nel realizzare opere mozzafiato, creature tecnologiche stupefacenti, veri e propri mostri… a nostra immagine.
Con una lunghezza fuoritutto di 115 metri la più grande di tutte è quasi uno stadio di calcio, pesca da 6 ai dieci metri a seconda del carico, ha motori che sviluppano in tutto 8600 HP, uno scafo in acciaio, stive in cui si può conservare il pescato in ghiaccio tritato composto da sale e acqua di mare congelata. Si chiama Albatun Tres e non è un’astronave, è uno dei tanti mega-pescherecci che gli inglesi chiamano factory-ship, nave fabbrica. Fa parte di quelle entità che vagano senza tregua per i mari, assistite da satelliti, se non da aerei, elicotteri e altre navi appoggio. Vagano alla ricerca di banchi di pesce grandi a sufficienza per le loro immense stive. Pensate: Albatun Tres può contenere 3000 tonnellate di pescato, il doppio di ciò che mediamente cattura in un anno, 365 giorni, una nazione pelagica del Pacifico come Fiji. O Vanuatu. Per avere l’idea delle dimensioni: la stazza lorda di Albatun Tres è un quarto del naviglio ormeggiato a Mazara del Vallo, il porto peschereccio più grande d’Italia. La flotta di Mazara consta di 224 natanti, per un totale di 16.725 tonnellate di stazza lorda. Albatun Tres, da solo, ne fa 4.400.
Di mostri del genere ce ne sono almeno venti, tutti in grado di operare in settori di mare lontani dalle famose 200 miglia da ogni costa, pronti a due mesi di viaggio, inseguendo catture che sono il prodotto interno lordo di piccole nazioni, incrociando acque dove pochi paesi hanno la forza di imporre la loro giurisdizione, far rispettare i divieti nelle loro zone esclusive di sfruttamento economico. Albatun Tres (insieme a tutti i super-pescherecci) è stata interdetta dalla zona di sfruttamento economico dell’Australia. Ma l’Australia può permettersi di imporre un divieto e di farlo rispettare. Ma modeste nazioni insulari come le Comore, le Maldive e il Madagascar stesso, come possono far valere i loro diritti? Come possono monitorare la presenza di questi mostri nelle loro acque? Tanto meno può farlo l’Oceano aperto, quello che non è di nessuno, dove banchi immensi di pesce corrono senza scampo, sotto l’occhio attento dei satelliti.
Sì, col mare l’abbiamo giocata sporca. Ma forse non ce l’aspettavamo nemmeno di poter fare così tanti danni: nel nostro immaginario il Mare è qualcosa di immenso, un infinito che diluisce tutto. Mi viene in mente un documentario inchiesta sul commercio delle pinne di squalo, a un vecchio commerciante cinese specializzato in medicina tradizionale, viene chiesto se si sente colpevole della distruzione del mare, e lui risponde che non è vero, che il mare è grande, è inesauribile. Quel vecchio cinese siamo noi. Tutti noi, in ritardo nel capire, veloci nel razziare, ma sempre più spesso consumatori inconsapevoli, confusi, bombardati da notizie vere, notizie false. Noi che leggiamo le scatolette cercando di capire se quella marca di tonno tiene conto dei delfini. Per scoprire che molte case hanno mentito sui loro metodi di pesca, che sono distruttivi nei confronti di delfini, tartarughe marine. In una guerra li chiamerebbero danni collaterali. Nella pesca industriale e non si chiama bycatch, pesca accidentale, e non riguarda solo tartarughe e delfini.
“Ogni anno, almeno 7,3 milioni di tonnellate di creature marine vengono catturate accidentalmente. In alcuni tipi di pesca la percentuale di catture accessorie supera di gran lunga la quantità del target fissato. Ad esempio nella pesca ai gamberetti con le reti a strascico nel Golfo del Messico le catture accidentali superano di quattro volte il peso della specie bersaglio. La casistica è gigantesca…” afferma bycatch.org, l’organo mediatico di un consorzio di pesca che ha deciso di dire basta alla distruzione ‘per sbaglio’
Mentre scrivo quella meraviglia di tecnologia che è Albatun Tres è alle Seychelles. Sembra sia ormeggiata a Victoria. Chiunque oggi può seguire una nave dal sito marinetraffic.com, con quella tecnologia che ci consente di conoscere su Facebook il percorso e quanti chilometri e quante calorie ha bruciato la creatura dei nostri sogni. Quanto di scovare gli ultimi merluzzi rimasti nel mare. Un satellite, forse, ha individuato un banco consistente di tonni Albacore tra l’Australia e le Maldive e allerta la flotta. In pochi giorni quello che una nazione pelagica pesca in un anno per sfamare i suoi cittadini sparirà nelle viscere dell’astronave. Una delle tante astronavi.
Greenpeace e quasi tutte le organizzazioni ambientaliste chiedono a gran voce di sospendere gli aiuti dei governi e della comunità europea alle flotte pescherecce che continuano a costruire mostri, chiedono di dirottare gli investimenti verso la creazione e la difesa di Aree Marine Protette. Paradossalmente (anche se ormai ci stiamo abituando a queste aberrazioni), il genocidio delle specie marine costa più di quanto riesca a produrre: l’industria della pesca non ce la farebbe mai senza l’intervento dei governi che finanziano le flotte. E’ una industria insostenibile a prescindere dalla rinnovabilità delle risorse catturate. Un sistema che purtroppo però deve fare i conti con un dato inconfutabile: miliardi di individui, circa il trenta per cento degli esseri umani, fanno affidamento sul pesce e sulla pesca come unica risorsa di sostentamento.
No, non siamo noi europei a dipendere dal pesce, noi europei abbiamo a disposizione un ventaglio di opzioni alimentari che altri popoli non hanno. Ma i nostri magazine ed i media ci parlano insistentemente dei vantaggi di una dieta a base di pesce, continuano a proporre una visione del mare antica e pericolosa: il mare come risorsa alimentare infinita. Molti di noi ricorderanno la magia di quelle luci dei pescherecci che uscivano (o rientravano) di notte al porto. Oppure gli odori e i suoni di quelle passeggiate sulla banchina, magari in un pomeriggio d’inverno, l’aria frizzante e salina, tra pescatori che spicciano le reti e bancarelle col pesce nel ghiaccio tritato, il buon odore che veniva dai ristoranti lungo la darsena, i gabbiani che si ritiravano al tramonto. GAME OVER.
Per approfondire:
- http://www.greenpeace.org/international/en/multimedia/slideshows/Defending-the-Pacific/Albatun-Tres-Tuna-Fishing-Vessel/
- http://www.greenpeace.org/international/global/international/publications/oceans/2014/monster_boats_report.pdf
- http://www.marinetraffic.com/ais/home/zoom:9/olddate:lastknown/oldshipid:167820/oldmmsi:224680000
- http://www.shipspotting.com/gallery/photo.php?lid=313899
- http://www.catsat.com/
- http://www.pewtrusts.org/en/about/news-room/press-releases/2014/04/29/satellite-technology-to-keep-tabs-on-tuna-fishing
- http://www.wwf.it/news/notizie/?18581
- http://www.wwf.it/news/notizie/?7920
Ma c’è anche chi sviluppa tecnologie satellitari a basso impatto ambientale e bassa quota per sostenere la pesca eco sostenibile e i grandi banchi li traccia solo per proteggerli. In questo senso un progetto che verrà presentato al Simposio di Space Economy nella International Astronautical Conference a Brema (Germania) il prossimo ottobre