Buthan, il paese che preserva le sue foreste

6Se un paese basa la propria politica e la propria economia non sul Pil ma sul FIL, l’indice di Felicità Interna Lorda, e se questo stesso paese basa il benessere collettivo della popolazione sulla conservazione ambientale e la sostenibilità, non può che essere un modello da imitare. A maggior ragione se si tratta di un paese in via di sviluppo.

Stiamo parlando del Bhutan, il piccolo Stato monarchico di 47mila Km quadrati situato alle pendici della catena dell’Himalaya, che da circa 40 anni ha virato verso un approccio di sviluppo “ambientale” (in opposizione a quello “materiale”) per conseguire il benessere dei suoi abitanti, in base a cui la prosperità collettiva si ottiene non attraverso la ricchezza finanziaria, ma attraverso lo sviluppo spirituale, fisico, sociale e la salute ambientale dei cittadini e dell’ambiente naturale.

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Negli ultimi 20 anni il Bhutan ha raddoppiato la sua aspettativa di vita, iscritto quasi il 100% dei suoi bambini alle scuole elementari e ammodernato le sue infrastrutture. Ha inoltre fatto sì che la protezione ambientale fosse sancita nella sua Costituzione. Gli abitanti vivono quasi in simbiosi con l’ambiente, le foreste coprono i tre quarti della superficie, è vietato tagliare gli alberi e uccidere qualsiasi animale, l’agricoltura è sostenibile e a dimensione familiare, e le coltivazioni e la produzione di elettricità sono alimentate dallo scioglimento estivo della neve e dei ghiacciai. Tra le misure adottate, il contrasto della cultura dell’automobile aumentando le tasse sui veicoli a motore alimentati dai combustibili fossili a favore di trasporto pubblico, mezzi elettrici e ad energia solare.

Lo scorso anno il Paese si è distinto ecologicamente avviando il progettoforeste: in un’ora gli abitanti hanno piantato la cifra record di 50mila alberi alle porte della capitale Thimphu, più di una pianta per ogni residente. Choki Dukpa, direttrice di una scuola elementare a Thimphu, afferma di aver notato enormi cambiamenti del benessere emotivo dei bambini da quando i principi FIL sono stati integrati nel sistema educativo, sette anni fa. In più, da quando l’Unicef ha istituito un programma di formazione del corpo insegnante per le scuole verdi, le cose sono migliorate. ‘L’idea di essere verdi non riguarda solamente l’ambiente, è una filosofia di vita,’ dichiara Dukpa al The Guardian. Accanto a matematica e scienze, ai bambini vengono insegnate le tecniche base della protezione agricola e ambientale. Un nuovo programma nazionale per la gestione dei rifiuti garantisce inoltre che ogni parte di materiale usato a scuola venga riciclato.

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L’influsso del FIL sull’educazione si è anche tradotto in sessioni quotidiane di meditazione e musiche tradizionali rilassanti al posto del fragore della campanella di scuola. ‘Educazione non significa solo avere buoni voti, ma anche preparare ad essere buone persone. La prossima generazione dovrà affrontare un mondo davvero spaventoso quanto i suoi cambiamenti ambientali e l’aumento delle pressioni sociali. Abbiamo bisogno di prepararli a questo’, conclude Dukpa.

Una concezione assai lontana da quella a cui siamo abituati: diametralmente opposta in effetti. Vuoi perchè basata anche su precetti buddisti, religione del Buthan; vuoi perchè frutto di politiche intelligenti e lungimiranti, ma anche tese a limitare i danni dei cambiamenti climatici che il paese sta subendo a causa della sua peculiare posizione geografica. Fatto sta che questo piccolo stato di circa 800mila anime sta fornendo al mondo un modello alternativo di politica sostenibile: lo scorso anno l’Onu ha adottato una risoluzione del Bhutan per un approcci globale allo sviluppo, approvato da 68 paesi, e un gruppo dell’Onu sta ora considerando come il modello FIL del Buthan possa essere replicato nel mondo.

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Infine, del Buthan e del suo metodo si è discusso anche nel corso del COP21, la 21esima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCC) svoltasi di recente a Parigi. Thinley Namgyel, rappresentante del Re alla Conferenza, ha annunciato che in quanto patrimonio collettivo del mondo il proprio paese si impegna a rimanere neutrale in termini di emissioni di carbonio e garantisce che almeno il 60% del suo territorio rimarrà coperto di foreste per sempre: il resto sono rocce, ghiacciai e campagne. In base ai dati del carbon comparator, strumento sviluppato dall’Energy and Climate Intelligence Unit (Eciu), il Bhutan grazie alle capacità di assorbimento delle proprie foreste è il paese che produce meno CO2 al mondo e che assorbe il triplo delle emissioni nocive prodotte dalla sua popolazione, seguito dal Paraguay, che genera il 100% dell’energia grazie a centrali idroelettriche. Il Lussemburgo invece, pur con un numero inferiore di residenti, produce il quadruplo delle sue emissioni di CO2. Secondo gli scienziati se tutto il pianeta seguisse il modello-Bhutan nel consumo energetico, la temperatura media della terra entro 20 anni tornerebbe pari a quella dei primi del Novecento, innescando risparmi miliardari. Per questo motivo, sempre second lo studio dell’Eciu, il Bhutan è uno tra i pochissimi Stati che non dovranno adottare immantinenti e ambiziose strategie green.

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Il Bhutan avverte che se lo sviluppo mondiale non diventerà subito sostenibile, a rischiare la catastrofe non sarà solo l’ambiente ma la stessa vita umana. Namgyel ha spiegato: “I ghiacciai si sono ridotti del 28%, le piogge monsoniche non arrivano in tempo o si scatenano come uragani quando non servono, distruggendo raccolti e campagne. Le sorgenti di montagna si prosciugano, mentre a valle le inondazioni aumentano. Proteggere il nostro Paese avvolgendolo di foreste non è un’utopia nostalgica ispirata dal valore della biodiversità, ma l’ultima opzione che ci resta per salvarci la vita.

L’obiettivo di contenere di 2°C l’aumento della temperatura media globale non è sufficiente per noi. Noi siamo una piccola nazione, abbiamo grandi sfide e stiamo facendo del nostro meglio, ma non possiamo salvare il nostro ambiente da soli.”

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