Piante magiche: rimedi naturali per curare malattie e infezioni
Proprietà magiche di fiori e piante sono note da sempre in tutte le civiltà. Non bisogna essere stregoni o esperti di esoterismo per sapere che gli impacchi di Camomilla calmano i sintomi della congiuntivite, che il Biancospino protegge cuore e sistema nervoso e che l’Echinacea aiuta a rafforzare il sistema immunitario. In passato conoscere le piante e le loro virtù era l’unica soluzione possibile per la cura delle malattie. Dagli Egizi in poi, passando per Ippocrate e Plinio il Vecchio, manuali ed enciclopedie sul tema non si contano, dal momento che piante ed erbe sono l’elemento di base anche dei medicinali moderni.
L’Organizzazione Mondiale dalla Sanità con il termine officinali intende le piante riconosciute in elenchi ufficiali come utilizzabili per le preparazioni medicamentose, mentre le piante medicinali sono quelle piante che presentano virtù medicinali dirette, a prescindere dal fatto che siano o meno inserite in un elenco ufficiale. Nel tempo vennero chiamate officinali tutte le erbe e le piante impiegate nelle officine degli speziali, i farmacisti del Medioevo.
Ad erbe e piante venivano attribuite proprietà curative e terapeutiche, ma anche magiche. Esse costituivano infatti non solo rimedi per curare mali fisici, ma anche per influire sulla psicologia delle persone, in collegamento con forze superiori e trascendenti: non si guarivano solo le malattie fisiche ma veniva anche scacciato il demone che abitava le persone ed era la causa scatenante della malattia. Ad esempio, l’uso delle piante grasse quale rimedio per la cura di molti mali e come fonte per la celebrazione di riti propiziatori è pratica diffusa tutt’ora presso molte tribù indigene del Nuovo Mondo.
Come riportato da Nicholson ed Arzeni, il cactus peyote è usato sia come analgesico ed antireumatico sia per provocare gli stati di allucinazione che consentono di parlare con gli spiriti. Lo stesso vale per l’ayahuasca, bevanda tradizionale dalle proprietà allucinogene utilizzata da più di 2mila anni dalle popolazioni indigene amazzoniche e andine per la realizzazione di riti terapeutici e religiosi che sta spopolando tra il jet set statunitense, che oltre alle proprietà visionarie e psichedeliche sembrerebbe annoverare proprietà curative per disturbi neuropsichiatrici provocati da uno scorretto metabolismo della serotonina come la depressione, la schizofrenia e l’autismo, e per vari tipi di cancro. Ancora oggi infine si conoscono popolazioni africane che usano la fitoterapia all’interno di una concezione animistica della natura e dell’esistenza in generale.
Nelle comunità tribali gli sciamani coniugano il potere curativo delle piante con la guarigione spirituale. In alcuni casi il ruolo magico di alcune piante è sfruttato per causare sterilità, pruriti, malattie o addirittura la morte dei nemici, in altre per indurre stati alterati di coscienza usando potenti allucinogeni ricavati da cortecce, foglie, fiori e funghi. Queste condizioni consentono agli sciamani di comunicare con gli spiriti dei fenomeni naturali e determinare le cause del malessere dei loro ‘pazienti’: “Quando annusi per la prima volta la polvere dell’albero yakoanahi gli spiriti xapiripe iniziano a radunarsi intorno a te, e gradualmente si palesano” – afferma lo sciamano Yanomami Davi Kopenawa – “Quando mi portavano dei campioni da identificare, spesso mi raccomandavano di essere particolarmente cauto nel maneggiare queste piante…”, ha confermato il dottor William Milliken, etnobotanico presso i Giardini Botanici Reali di Kew, a Londra.
I popoli indigeni che continuano a far uso esclusivo di questi rimedi naturali hanno sviluppato nel tempo sistemi olistici sofisticati e la loro farmacopea, vitale sia per l’alimentazione sia per la loro salute, ha fatto sì che molti dei farmaci utilizzati oggi dalla medicina occidentale provengano dalle loro scoperte, salvando la vita di milioni di persone, come sottolineato da Survival International, l’organizzazione che si batte per i diritti dei popoli tribali.
L’OMS stima che in alcuni paesi asiatici ed africani ad oggi fino all’80% della popolazione si affida ancora primariamente alle piante per la sua salute. I popoli indigeni hanno scoperto circa i tre quarti delle piante usate oggi in medicina e conoscono l’uso di circa 1300 specie vegetali: se non fosse stato per la loro conoscenza botanica, molti composti medicinali per noi vitali sarebbero ancora sconosciuti. L’antidolorifico Aspirina, ad esempio, è stato sviluppato a partire dalla corteccia del salice bianco, che i nativi americani bollivano per curare il mal di testa e i reumatismi. Il farmaco Taxolo, un estratto della corteccia e degli aghi del Tasso del Pacifico cui gli indiani d’America riconoscevano i poteri di rinforzo delle difese immunitarie, è oggi usato per il trattamento dei tumori alle ovaie e al seno.
Il chinino, estratto da particolari cortecce dagli sciamani peruviani per curare la febbre, è stato il farmaco principalmente usato per la cura e la profilassi della malaria. Per non parlare del curaro, veleno usato per millenni dalle popolazioni sudamericane per catturare gli animali paralizzandone i muscoli, che è stato trasformato in rilassante muscolare rendendo possibili procedure come la chirurgia a cuore aperto. Nell’Africa meridionale la pianta del Buchu, utilizzata dai Boscimani per trattare piccole ferite, è divenuta oggi una cura per i disturbi renali e delle vie urinarie.
La U.S. Dispensatory indica l’uso del sovracitato peyote come rimedio per alcuni disturbi nervosi come l’isteria ed anche per i casi di asma. Dagli estratti delle piante intere è stato ottenuto un preparato impiegato per attività antimicrobica, al cui principio è stato dato il nome di Peyocactin. La comunità scientifica ha iniziato anche a studiare l’efficacia farmacologica dell’ayahuasca per il trattamento delle dipendenze da sostanze (tossiche, farmacologiche, alcolismo e tabagismo).
Nonostante più di 50mila specie di piante siano usate in tutto il mondo a scopi medici si ritiene che il valore terapeutico di molte altre sia ancora sconosciuto agli scienziati occidentali. Per sopravvivere i 150 milioni di popoli tribali stimati nel mondo hanno studiato la flora dei loro rispettivi ecosistemi per generazioni, quindi ha senso dare molto peso alle loro conoscenze ed esperienze affinate da millenni di tentativi ed errori, afferma Stephen Corry, Direttore di Survival International. Anni di sperimentazione con le loro piante hanno fatto scoprire agli Yanomami del Brasile e del Venezuela che il succo di una vite tropicale conosciuta come artiglio di gatto cura la diarrea (alcuni studi compiuti in Europa hanno rivelato la sua efficacia anche nel trattamento dell’artrite reumatoide) e che la corteccia dell’albero del Copale cura le infezioni dell’occhio.
La medicina occidentale ha riscoperto il valore terapeutico del mondo naturale e del ruolo dell’uomo in esso proprio mentre le foreste pluviali e altri ecosistemi vengono distrutti. La sola Amazzonia ospita 33mila specie di piante, e si stima che la perdita dell’habitat e i raccolti intensivi minacciano oltre 50 mila specie di piante medicinali a noi attualmente note, come la pianta Hoodia, conosciuta dai Boscimani del Sudafrica come soppressore naturale dell’appetito, che è stata raccolta eccessivamente dalle case farmaceutiche per creare farmaci per perdere peso.
Dato che cultura e tradizioni millenarie rischiano l’estinzione, gli ultimi sciamani rimasti della tribù Matsés si sono riuniti in una missione per salvare la conoscenza ancestrale della loro medicina tradizionale. Da un incontro tenutosi nel maggio scorso in un remoto villaggio di frontiera tra Perù e Brasile è nata la prima Enciclopedia di Medicina Tradizionale di 500 pagine mai scritta da una tribù amazzonica. Ogni sciamano è stato affiancato da un giovane Matsés che nel corso di più di due anni ha trascritto la conoscenza del più anziano e fotografato ogni pianta, grazie anche al sostegno del gruppo Acaté Amazon Conservation.
Lo scopo dell’Enciclopedia però non è meramente conservativo per la tribù. Essa infatti è scritta solo in lingua Matsés e non sarà tradotta, così che nessuna corporazione o ricercatore possa avvalersi di queste conoscenze mediche per sfruttarle a scopi personali, appropriandosene indebitamente. In passato infatti è accaduto che alcune aziende farmaceutiche, dopo aver appreso da resoconti che i Matsés usavano nei rituali di caccia le secrezioni della Phyllomedusa bicolor, hanno avviato alcune ricerche di laboratorio sulle secrezioni di questa rana scoprendo il complesso cocktail di peptidi con potenti proprietà vasodilatatrici, narcotiche e antibatteriche in esse contenuti.
Anche se questo anfibio si trova in tutta l’Amazzonia settentrionale solo i Matsés e un esiguo numero di vicine tribù Panoan usano le sue potenti secrezioni. Queste compagnie farmaceutiche e alcune università hanno successivamente presentato dei brevetti sui peptidi guadagnando miliardi di dollari, senza nessun riconoscimento alla tribù amazzonica che li ha scoperti. Un peptide antimicotico della rana è stato persino impiantato transgeneticamente dentro una patata.
Christopher Herndon, presidente e cofondatore di Acaté, ha dichiarato in un’intervista a Mongabay: “La paura della pirateria biologica è sfortunatamente una porta che si è aperta in entrambi i sensi. Molti gruppi ambientalisti e scienziati in Amazzonia hanno portato avanti dei progetti per documentare la conoscenza indigena della fauna locale, ma in generale non si sono mai spinti oltre quando si arrivava alle piante medicinali, per paura di essere accusati di facilitare la bio-pirateria. Eppure, con la conoscenza delle piante officinali che sparisce in fretta tra la maggior parte dei gruppi indigeni e senza nessuno che la trascriva, i veri perdenti alla fine sono tragicamente coloro che vogliono tutelare gli interessi degli indigeni. La metodologia sviluppata dai Matsés e da Acaté può essere un esempio perché altre culture indigene salvaguardino il loro sapere ancestrale. Intraprendere iniziative di apprendimento dai guaritori tradizionali, a causa del clima politico e della paura internazionale di pirateria biologica, è una sfida persino per le compagnie farmaceutiche ben intenzionate, che si impegnano in accordi di compartecipazione agli utili in modo eguale. La metodologia di cui i Matsés si sono fatti pionieri per proteggere con successo e salvaguardare il loro sapere possono servire come modello replicabile per altre comunità indigene che stanno affrontando un’erosione culturale di pari entità. L’enciclopedia è intesa come una guida per formare nuovi e giovani sciamani secondo la tradizione, e sarà usata a fin di bene e per chi ne ha davvero bisogno.”
Ora, pur constatando le innegabili differenze tra il nostro sistema immunitario e quello delle popolazioni indigene (dovuto anche ai diversi ambienti), e tenendo conto del fatto che la fitoterapia moderna non può dirsi priva di rischi e di effetti collaterali (ad esempio dovuti a sovradosaggio), sarebbe un peccato perdere la possibilità di attingere alle conoscenze di questi popoli così importanti anche per la medicina occidentale a causa dell’avidità delle case farmaceutiche e della distruzione dei loro ecosistemi. Perciò proteggerli e tutelarli equivale a preservare anche noi stessi.
Molto interessante !!