UK il leone bifronte: miliardi per l’eolico ma minacce per chi boicotta il fossile

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© arabiangazette.com

Intorno alle coste britanniche sorgono i più grandi parchi eolici ‘off shore’, del mondo. Si chiamano London Array, Gwynt y Môr e Greater Gabbard, e producono energia al largo del Kent del Galles e della Scozia rispettivamente. Dall’eolico in totale il Regno Unito ricava ben 19,6 Terawatt/ora, cioè il doppio del consumo di una città come Milano. Sempre nei dintorni di Londra, e sempre in acqua, che non la reclama nessuno solo i governi, si sta costruendo il più grande parco fotovoltaico galleggiante d’Europa. Insomma, i Brit sembrano serissimi quando si tratta di energia alternativa.

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© Martin Godwin for the Guardian

Ma se da un lato il governo britannico è disposto ad investire decine di miliardi di sterline in mulini a vento e pannelli solari, dall’altro minaccia chi invece vorrebbe disinvestire dal fossile su base locale. No, non si tratta di sanzionare un piccolo comune in vena di gettare alle ortiche una nuovissima centrale a carbone, qui il governo ha deciso di punire gli enti che boicottano, liquidandoli o sbarrandone l’accesso, i titoli legati al fossile nei fondi investimento e fondi pensione da loro gestiti.

La scusa per questa presa di posizione quantomeno bizzarra non è la difesa del fossile, ovviamente, ma la sacrosanta difesa del cittadino. Una direttiva governativa, infatti, impone agli enti locali gestioni mirate solo ed unicamente al profitto e alla performance finanziaria. Ma nell’eccesso di zelo i governanti hanno agito dimenticando che nella stessa direttiva comuni e enti locali sono tenuti a seguire la politica del governo, quando fattori ‘non puramente finanziari’ ma etici, come sostenibilità, ambiente e sociale vengono presi in considerazione.

E davanti a segnali forti di investimento nelle energie alternative, i parchi eolici costano miliardi e miliardi di sterline, le minacce del governo a chi disinveste dal fossile non sembrano solo strane, sembrano assolutamente folli. Anche perché sembrano non tener conto di una caratteristica di quel tipo di titoli in portafoglio: la loro pericolosità. In una situazione geopolitica come quella attuale chiunque definirebbe volatili, o al massimo puramente speculativi, i titoli dell’industria fossile, roba che non vuoi nei fondi pensione quanto non vuoi vederci i derivati. Quindi, una decisione perfettamente in linea con i dettami etici e finanziari. O forse Londra non c’era anche alla conferenza sul clima di Parigi, quando i capi di tutti i governi furono chiamati a mettere un freno al disastro del riscaldamento globale? Una farsa, dunque. Ma quale delle tre lo è? Il vertice di Parigi? L’investimento nell’eolico e nel fotovoltaico? Il cazziatone governativo agli enti locali?

Probabilmente non lo sa neanche il governo britannico, che come gli altri governi mondiali non va preso come un blocco univoco. Nessun esecutivo, oggi, neanche quello britannico può definirsi un asso di coerenza interiore, ogni esecutivo ha al suo interno il solito coacervo di teste, idee, visioni e interessi spesso contrastanti, sotterranei. E nella storia infinita delle fonti d’energia, storia che vide il massimo sussulto di coscienza popolare con i referendum contro il nucleare, hanno fatto di più le case automobilistiche, decimando i consumi e introducendo le ibride, che i governi mondiali. L’energia è sempre stata vista dal potere come uno strumento per definire assetti oppure come un’opportunità nell’esercizio di se stesso. L’impero romano, secondo alcune recenti analisi, crollò per mancanza di schiavi: fu la prima crisi energetica globale. E in realtà fu l’industrializzazione, con l’energia meccanica, che liberò gli ultimi schiavi nelle colonie (o ex colonie) solo un secolo e mezzo fa. La questione energetica oggi è vista come un esercizio elevatissimo, qualcosa che non può riguardare il popolino, come non lo riguardano certe Legion d’Onore assegnate in segreto e le misteriose sfaccettature dei conflitti dell’area mediorientale. Nelle faccende energetiche l’interesse pubblico viene preso in considerazione solo quando un paese produttore o una grossa multinazionale ricattano uno o più governi alzando i prezzi, minacciando chiusure e licenziamenti. Questo quando non auspicano interventi militari. Cedere alla visione complottista in uno scenario complicato come questo è facile ed il terreno è fertile, pardon trappolato, ma per avere una visione chiara sulle presunte crisi d’identità dei governi europei, basta valutare solo un piccolo dettaglio che è ogni giorno sotto gli occhi di tutti per e riversarlo su una scala minimamente plausibile: le tasse sulla benzina.

Il prezzo del petrolio non è mai stato così basso come in questi mesi. Mai, se paragonato al potere d’acquisto delle varie valute negli ultimi decenni; con divise svalutate al minimo in questa guerra dei saldi monetari il petrolio viene acquistato al prezzo storico più basso. Ma per chi mette benzina nei serbatoi delle Panda a Taranto o delle Mini a Leeds il prezzo non è cambiato: la differenza, aumentata, va ai rispettivi governi sotto forma di tasse. E in questo Italia e Regno Unito non differiscono molto: sono tra i dieci paesi con la benzina più cara al mondo. Un gettito fiscale gigantesco al quale nessun governo vuole rinunciare. Alcuni, come per esempio Italia, Grecia e Portogallo, neanche possono. Indebitati come sono non possono sottrarsi alle accise sulle benzine, non possono sottrarsi ai diktat delle banche centrali che per avere indietro i soldi ti dicono come fare per restituirli. Un doppio ricatto a tutti gli effetti. I governanti si dibattono è, quella col fossile, una relazione maledetta, impossibile da abbandonare.

E così anche nel Regno Unito, che batte moneta propria e che sta cercando di uscire completamente anche dal quadro europeo, la faccenda dei fossili e del petrolio continua ad imporre siparietti tra l’agghiacciante e il surreale, a metà tra il teatrino delle maschere, dove ogni personaggio ha le sue piccole mire da difendere e da nascondere, e l’accento cockney di Jihadi John.

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