L’invasione aliena del Madagascar

Duttaphrynus melanostictus

E’ del mese scorso la pubblicazione di un rapporto che ha messo in allarme un intero stato: un esercito di anfibi di origine asiatica si sta rapidamente diffondendo in Madagascar, e rappresenta una seria minaccia per la biodiversità e l’economia del paese se non un rischio concreto per la salute dei suoi abitanti.

Il documento porta la firma di un team di erpetologi esperti che, constatato l’attuale stato di dispersione della specie aliena, ha proposto un piano di eradicazione che ha nella tempestività la sua unica chance di successo.

L’arrivo degli alieni
L’oggetto di tale attenzione scientifica (e mediatica) è il rospo Duttaphrynus melanostictus, nativo del continente asiatico. Il viaggio di sola andata verso quel paradiso in terra chiamato Madagascar gli fu involontariamente regalato da una dalle tante navi container che fanno la spola tra Asia e Africa. Gli studiosi hanno ipotizzato che l’introduzione del rospo possa essere avvenuta già nel 2007 ma il primo, effettivo, riconoscimento della specie è del 2014.
Così, una popolazione di 4 milioni di rospi si è stabilita nella città portuale di Tomasina e da lì ha iniziato a espandersi verso l’interno dell’isola alla velocità di 2 km l’anno. Il rospo è in grado di cavarsela più che bene in tutti gli ambienti; preferisce i classici habitat di pianura semi-naturali (cioè parzialmente disturbati dalle attività umane) ma non disdegna gli ambienti prettamente agricoli e nemmeno quelli urbanizzati. E’ una specie molto adattativa e non si conosce, ad oggi, nessun predatore che possa contenere la sua dispersione.
Con queste premesse la situazione appare critica e le possibili perdite potrebbero essere incommensurabili per un luogo, l’intero Madagascar, considerato uno dei più importanti centri di endemismi al mondo. Se, come si teme, i rospi raggiungeranno il sistema di canali di Panganales, l’eradicazione non sarà più un’opzione e dovremmo assistere, inermi, a danni irreparabili, simili a quelli causati dal rospo della canna da zucchero in Australia.

Il caso Australia
Probabilmente molti di voi ne hanno già sentito parlare. Chi ha avuto modo di vedere di persona testimonierà che l’intero continente si trova a fronteggiare una tra le peggiori invasioni animali mai documentate.

Rhinella marina

Il rospo della canna da zucchero (Rhinella marina) è nella top 100 delle specie invasive più dannose al mondo. Di origine centroamericana non entrò illegalmente in Australia, come il suo simile in Madagascar, ma fu introdotto volontariamente , nel 1935, dal governo del Queensland per limitare l’uso dei pesticidi in agricoltura. Una volta lì, però, diede il via a una dispersione su scala continentale. È stato calcolato che, dall’introduzione, la velocità migratoria è aumentata di 8 volte e, nel giro di appena dieci anni, ha conquistato il Kakadu National Park.

Oltre alla rapidità di movimento, i rospi posseggono anche una strategia riproduttiva molto aggressiva e le femmine possono deporre anche 25.000 uova alla volta.

Lo straordinario successo riproduttivo ha portato il Dipartimento Federale per l’Ambiente a dichiarare la resa perché, ammette “al momento non vi è una soluzione rapida ed efficace per arginare la piaga crescente”.

E così gli australiani contano le vittime tra quegli animali indigeni che, disgraziatamente, credono di avere a disposizione nuove prede a profusione ma si trovano a ingoiare bocconi intrisi di un potente veleno in grado di ucciderli. Particolarmente a rischio è la popolazione di quoll (piccoli predatori marsupiali) che, dall’introduzione dell’anfibio, ha subito un rapido declino che non accenna a fermarsi.

Visto il reale rischio di estinzione per questa ed altre specie, l’Università di Sidney ha messo in piedi il progetto Caring for our country. Lo scopo di questo programma è sempre di arginare l’impatto dei rospi sulle specie autoctone ma, per farlo, si è sperimentato un approccio a dir poco bizzarro. Non potendo contrastare direttamente l’invasore, i ricercatori dell’Università di Sidney, si sono messi, letteralmente, ad addestrare i predatori da proteggere (in particolare varani e quoll). Nutrendoli con piccole porzioni di rospo a una concentrazione di veleno tale da fargli venire un gran mal di pancia ma senza lasciarci le penne, i ricercatori sperano che gli animali possano riconoscere il legame tra causa ed effetto e desistere, in natura, dall’azzannarne uno vivo.

Una strategia di difesa nazionale
Non è difficile cogliere le similitudini tra le due invasioni e, con questi presupposti, il futuro per il Madagascar non è roseo. L’arrivo dell’invasore, poi, non è che l’ultimo ostacolo ad un processo di conservazione rallentato ancora da fenomeni di deforestazione e dalla diffusione di malattie sconosciute alle specie endemiche.

“Probabilmente i rospi finiranno per alterare le catene alimentari influenzando l’ecologia dell’intero paese” avverte il rapporto stilato da Pete McClelland, James T. Reardon, Fred Kraus, Christopher J. Raxworthy e Christian Randrianantoandro. Il rospo, con il suo veleno, rappresenta già una minaccia per la salute umana e lo sarebbe ancora di più se dovesse diffondersi nelle campagne dove la gente consuma rane e rospi abitualmente. Per ultimo si parla di ingenti danni economici conseguenti al calo del prezioso turismo ambientale nel caso di un degrado degli habitat naturali.

Insomma, il Madagascar non può permettersi tutto questo e l’unico modo di scongiurarlo è una completa eradicazione dei rospi dall’isola.

Per raggiungere questo difficile obiettivo gli scienziati hanno lavorato con tecnici, studenti e rappresentanti delle comunità per sperimentare il metodo di eradicazione più efficace. Quelli che hanno avuto maggior successo includono l’utilizzo di trappole per rospi e girini, delle loro stesse tossine come esca e dell’acido citrico per ucciderli.

Il successo dell’operazione dipende solo da tre fattori: l’efficienza del metodo di individuazione e cattura; la velocità di cattura che deve essere maggiore del loro tasso di riproduzione e un controllo maniacale dei mezzi tramite i quali i rospi sono entrati nel paese, per evitare ogni ulteriore introduzione.

Anche se parliamo di tecniche semplici, l’attuazione su vasta scala e in tempi rapidi impone un ingente impiego di fondi pubblici e un numero enorme di persone coinvolte. È, però, un sacrificio che deve esser fatto. Gli abitanti dell’isola sanno che l’impresa è disperata ma in gioco c’è il futuro di un’intera nazione e, prima di arrendersi al disastro, ci deve essere la voglia di combattere con tutte le forze a loro disposizione.

Gli alieni nel mondo
Uno degli effetti meno conosciuti ma più preoccupanti della globalizzazione delle economie è proprio la crescita delle introduzioni di specie animali e vegetali in aree che non rientrano nei loro areali naturali. Spesso ciò avviene accidentalmente, come nel caso del punteruolo rosso in Italia e altre volte, invece, le introduzioni sono volute come per le specie animali introdotte a scopi venatori (un esempio nostrano è il daino) o per le tante specie vegetali introdotte a scopo ornamentale.

Quando, durante la tesi di laurea, iniziai a studiare le invasioni biologiche rimasi colpita dall’enorme impatto che l’introduzione di una specie aliena può avere in un ambiente naturale. Chi l’avrebbe mai detto che le invasioni biologiche sono una tra le maggiori cause di estinzione delle specie autoctone, seconda solo alla perdita dell’habitat stesso?

Sono passati più di dieci anni da allora e, se da un lato le nostre conoscenze sono aumentate e abbiamo dato il via all’elaborazione di approcci condivisi per il monitoraggio delle invasioni, dall’altro il numero delle specie introdotte continua ad aumentare.

In Europa, ad esempio, il numero di specie alloctone è cresciuto del 76% negli ultimi 30 anni. Un’indagine realizzata da un consorzio di istituti di ricerca con un finanziamento dell’Unione Europea, cui diedi, a suo tempo, un piccolissimo contributo, ha verificato la presenza di 10.677 specie aliene in Europa, con oltre 45.000 casi di introduzione avvenuti negli ultimi 500 anni. Specie alloctone invasive si registrano non solo tra i vertebrati e le piante superiori, ma anche tra i funghi, gli invertebrati ed i microorganismi. E le invasioni avvengono sia negli ecosistemi terrestri e marini, che nelle acque interne, che sono anzi gli ambienti più vulnerabili a questa minaccia.

Oltre a minacciare la biodiversità, le specie alloctone invasive possono alterare le catene trofiche, cambiando le dinamiche dei corsi d’acqua, o favorendo la desertificazione.

Ambrosia artemisiifolia

Ambrosia artemisiifolia

Le invasioni biologiche possono anche colpire la salute stessa dell’uomo, come nel caso dell’Ambrosia artemisiifolia, pianta fortemente allergogena, o della zanzara tigre, all’origine dell’esplosione della febbre da Chikungunya, che nel 2007 ha colpito quasi 200 persone in Emilia Romagna.

zanzara tigre

Zanzara tigre

Le crescenti informazioni sugli effetti delle invasioni biologiche hanno portato la comunità globale a comprendere la necessità di sviluppare politiche più efficaci per contenerne gli effetti. La strategia dell’UE per la biodiversità prevede espressamente come obiettivo per il 2020 l’individuazione e la classificazione in ordine di priorità delle specie esotiche invasive e dei loro vettori (vale a dire come hanno raggiunto la nuova regione). Tra queste, l’Unione Europea si impone la necessità di eradicare o, quantomeno, contenere le specie più pericolose prendendo il controllo della gestione dei vettori per impedire l’introduzione e l’insediamento di nuove specie. Per raggiungere questi obiettivi il Consiglio ha evidenziato la necessità di creare un sistema informativo Europeo dedicato alle invasioni biologiche, ideato in modo da fornire tempestivamente alle autorità competenti le informazioni necessarie ad attuare le opportune misure di risposta.

Anche a livello nazionale occorre sviluppare politiche più efficaci per affrontare questa minaccia ma è soprattutto a livello locale che occorrerà attuare le misure di gestione degli impatti causati dalle specie alloctone invasive.

Molte delle azioni che occorre mettere in campo non richiedono nuove leggi o regolamenti, ma comportamenti più attenti da parte di tutti i settori della società. Agricoltori, pescatori, orticoltori e cacciatori possono fin da ora cambiare il corso delle cose, applicando semplici codici di buona pratica nei diversi ambiti di attività. Affrontare la sfida delle invasioni biologiche richiede insomma un impegno di tutta la società.

Ci tengo a precisare, però, che il controllo dell’espansione delle specie alloctone invasive non è finalizzato a conservare un irreale stato di flora e fauna pura da ogni contaminazione. I fenomeni di estinzione sono sempre esistiti, la dispersione degli organismi è un processo naturale e l’immigrazione di nuove entità è una componente stessa dell’evoluzione e una preziosa fonte di biodiversità. Proprio per conservare la ricchezza insita nella diversità biologica è tuttavia necessario contrastare il processo indotto dall’uomo che è in costante aumento e associato alle altre trasformazioni dell’ambiente che, inesorabilmente, stanno promuovendo la propagazione di poche entità aggressive e resistenti a scapito di numerosissime specie in declino.

Per approfondire:

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