Caffè Bird-Friendly
Quanti di noi iniziano la giornata con l’aroma del caffè o non considerano terminato un pasto senza? E quanti ancora lo usano come scusa per una chiacchierata amichevole in buona compagnia? Il caffè è ormai una bevanda internazionale apprezzata in tutto il mondo; bevuto assoluto, macchiato, schiumato, nocciolato, ristretto, lungo o nel latte, nei dolci, nel cioccolato che sia, resta sempre caffè. Ma vi siete mai chiesti da dove viene? Come si produce? Cosa contiene quella calda e tanto amata tazzina che avete tra le mani?
Ebbene per i curiosi che come me vogliono saperne di più, rispondiamo ora a un po’ di domande. Ogni chicco di caffè proviene da un singolo frutto rosso (drupa) delle piante Coffea arabica o Coffea canephora, alti arbusti dai profumati fiori bianchi, di cui la seconda specie si distingue per la maggiore concentrazione di caffeina.
È proprio questa droga, un alcaloide, a renderci così attivi e… si, anche dipendenti, tanto da renderla una delle fonti psicoattive più diffuse al mondo! Dalla penisola arabica, di cui è originaria, la pianta del caffè si è diffusa in Terre vicine e lontane a seguito della scoperta dei suoi effetti stimolanti. La data più antica in cui risulta la sua coltivazione da parte dell’uomo è sinora attestata al 575 d.C.; è quindi dai tempi della nascita di Maometto che possiamo considerarci dei drogati cronici. La documentazione più interessante, per molti di voi esilarante, però, riguarda l’origine della nostra dipendenza dal caffè. Le numerose leggende sono molto fantasiose a riguardo, ma hanno tutte in comune un dettaglio ovino: i primi pusher di caffè degli uomini arabi sono state le capre! Avete letto bene, le capre sono stati i primi animali a cibarsi delle bacche della pianta del caffè e, manifestandosi insolitamente nervose, veloci e caparbie agli occhi dei loro pastori, hanno indotto l’uomo ad imitarle.
Purtroppo una dipendenza resta una dipendenza e, come tale, implica una sempre maggior richiesta di questo prodotto. Per soddisfare il mercato mondiale gli agricoltori si sono dovuti adeguare alla dannosa tecnica di coltivazione intensiva che prevede la totale sostituzione vegetazionale e il suo inquinamento con prodotti chimici, il tutto per velocizzare, e quindi incrementare, la produzione.
Tutto questo, seppur facilmente immaginabile, resta lontano dai nostri placidi pensieri mentre sorseggiamo un caldo caffè. Sensibilizziamoci insieme pensando che per coltivare il caffè che in un solo anno arriva in Italia (1,6 milioni di ettari) è necessaria una superficie di terra superiore a quella dell’intera Calabria! Tiriamo le somme e vediamo che chi ne paga maggiormente le conseguenze sono gli uccelli poiché, a tutte le specie stanziali che normalmente abitano la foresta, dobbiamo aggiungere i numerosi migratori che durante i loro lunghi viaggi contano su soste rifocillanti più o meno lunghe in luoghi (stop-over site) ben precisi, tanto precisi da essere scritti nel loro DNA. Giungere allo stremo delle forze, dopo ore e ore di volo, in un luogo inospitale come quello delle immense piantagioni, uniformemente esposte ai pericoli, si traduce in morte certa.
Ebbene, ora vi esorto a pensare fuori dagli schemi, a guardare oltre il colosso del consumismo o della povertà come scusante… guardiamo addirittura oltre la gravissima perdita di territorio e soffermiamoci su un solo tema, quello ornitologico. Che l’uomo voglia continuare ad avvelenarsi assumendo cibi inquinati da pesticidi è un conto, ma è giusto che per un nostro capriccio debbano morire moltissimi uccelli, fino all’estinzione di alcune specie?
Il Guatemala ha risposto “NO!”.
Sin dai tempi dei Maya e degli Aztechi si è manifestato l’interesse di questo popolo alla tutela dei suoi uccelli, di cui uno in particolare: il Quetzal. Allora venerato come elemento sacro, oggi elevato a simbolo dell’intero Paese, questo coloratissimo pennuto dalla lunga coda è impresso sulla bandiera e sulla valuta guatemalteca per rappresentare la forza, la gentilezza e la libertà della Nazione.
L’avifauna locale, che conta più di 760 specie, rischia di diminuire drasticamente per i continui sfratti, ovvero per la deforestazione messa in atto allo scopo di incrementare la produzione di caffè negli stati del centro e del sud America. Una cooperativa Guatemalteca, però, è tornata a dare valore alle cose importanti, ovvero alla vita; per farlo è stato sufficiente preferire la qualità alla quantità!
Nata nel 1999, la GUAYA’B ASOCIACIÓN CIVIL, afferente a Cafeology, società operante nel settore delle bevande prodotte in modo equo e solidale, si è distinta per la produzione di un caffè 100% arabica di altissima qualità e a bassissimo impatto ambientale.
Nella Sierra de los Cuchumatanes, regione nord occidentale del Guatemala, 299 produttori indigeni coltivano piante di caffè all’ombra di numerosi alberi tanto fitti da formare una sorta di tettoia naturale; in queste condizioni, a 1600-1800 metri di altitudine, le rosse bacche preziose hanno tutto il tempo di maturare lentamente per garantire una qualità eccellente di densi chicchi dal sapore intenso. Come può tutto questo garantire protezione alle specie di uccelli minacciate dalla diffusa deforestazione? Come è possibile che questa tecnica agricola abbia fatto guadagnare alla Guaya’b nientepopodimeno che l’unico marchio di caffè Bird-Friendly? È sufficiente qualche alberello qua e là per far breccia in questa nuova nicchia di mercato bio-ecologico? Assolutamente no!
Le tettoie naturali che abbiamo citato sono la chiave del successo di questa piccola associazione locale; in un certo senso si può parlare di omologazione naturale, ovvero attenti controlli di produttori esterni che ogni tre anni vanno a certificare il rispetto dei rigorosi standard fissati dallo Smithsonian Migratory Bird Center di Washington inerenti altezza e diversità degli alberi, densità delle chiome e struttura delle tettoie naturali. Possono sembrare dei dettagli esagerati, ma l’insieme di questi fattori critici sono invece condizioni necessarie a imitare perfettamente gli habitat forestali, indispensabili rifugi per la biodiversità stanziale e migratoria, e al tempo stesso a garantire la produttività delle piantagioni-ombra sottostanti. I fortunati uccellini che scelgono queste riparate piantagioni come casa, o anche solo come luogo dove sostare per un pò, hanno inoltre la garanzia di non rischiare avvelenamenti da pesticidi o altri prodotti industriali per i diffusi ed eccessivi trattamenti degli agricoltori con produzioni intensive. Tutti questi input utili ad aumentare il raccolto, inoltre, non fanno altro che inquinare l’ambiente e, alla lunga, impoveriscono irreparabilmente il suolo fino a renderlo definitivamente inutilizzabile.
Attualmente anche altre aziende hanno scelto di coltivare il caffè all’ombra degli alberi, ma non possono comunque vantare il prestigioso marchio Bird-Friendly poiché non hanno omologato le tettoie naturali con i requisiti arborei imposti dallo SMBC; amministrazioni simili, non solo ospitano un’avifauna tropicale migratoria e stanziale molto minore, ma immettono sul mercato anche una qualità inferiore di caffè poiché risultante da una miscela a diverse proporzioni di chicchi biologici e chicchi di produzioni intensive.
Tutti i prodotti della linea “Love Coffee, Love Nature” annoverano solo caffè 100% arabica di prima scelta, biologico e… ambientalista! Cafeology è di parola: dai proventi di ogni vendita, una quota è sempre destinata alla Royal Society for the Protection of Birds (RSPB), la più grande organizzazione nazionale per la conservazione della natura che ispira tutti a proteggerla e tutelarla. Bryan Unkles, fondatore dell’unica azienda amica degli uccelli, ci sprona a “conoscere i consumi del nostro Paese e pensare al Pianeta e alle Foreste Tropicali quando scegliamo i prodotti che acquistiamo”.
Un consumatore consapevole è un consumatore saggio.
Tanti consumatori saggi possono fare la differenza.
Molto interessante