Indipendenza negata

Dal giorno in cui Darwin pubblicò la sua tesi sull’origine delle specie l’uomo è tornato ad avere un posto all’interno della natura. Eppure il narcisismo umano è tale da considerarsi all’apice di una scala naturale come il più evoluto tra gli esseri viventi. Non è difficile capire quanto disagio provochi nell’animale auto-proclamatosi superiore ogni ulteriore scoperta che lo ancori al mondo naturale come, ad esempio, la recente conferma che ciò che differenzia noi dagli scimpanzè non è altro che una manciata di geni sui 25.000 totali; una percentuale talmente bassa da portare alcuni genetisti a chiedersi se non fosse più corretto includere le due specie nello stesso genere.

Come può un essere dotato di inparagonabile ingegno, in grado di costruire mezzi per esplorare l’universo, strumenti per osservare l’immensamente piccolo, comporre musica e poesia essere così simile a quella scimmia che ciondola da un ramo?

Uomini tutti, dobbiamo rassegnarci: siamo animali e con il resto del mondo animato condividiamo ancora molte caratteristiche sociali. Thomas Suddendorf, professore e psicologo alla University of Queensland, afferma che non è un caso se le fasi più importanti della nostra crescita, quelle che più ci ricordano la nostra natura animale (come la nascita o lo sviluppo sessuale), costituiscono i maggiori tabù della nostra società. Eppure, è proprio in questo paragrafo dell’esistenza che ci rendiamo conto di quanto il viaggio evolutivo ci abbia allontanati dalla nostra natura e di come il mondo artificiale che ci siamo creati abbia mandato in tilt l’istinto dell’uomo di crescere come individuo e trovare dentro di se e nell’ambiente tutte le risorse necessarie per sopravvivere ai propri genitori.

Nei mammiferi è lo svezzamento il momento in cui i piccoli diventano indipendenti dai genitori. Nei primati non umani, ad esempio, oltre a imparare a nutrirsi autonomamente, i giovani devono raggiungere rapidamente il loro pieno sviluppo fisico. Ciò è fondamentale perchè, nella giungla, è necessario sapersi difendere dagli attacchi di altri animali e all’occorrenza, scappare da un nemico ritenuto più forte. Negli animali più simili a noi, il distacco dai genitori è sì ritardato fino al pieno sviluppo delle potenzialità fisiche perchè un giovane maschio incapace di farsi valere, finisce inesorabilmente ai margini del gruppo, ma il tutto si risolve entro e non oltre il raggiungimento dello sviluppo fisico.

L’ambiente e la posizione nella catena alimentare giocano un ruolo fondamentale nella durata delle cure parentali e nella velocità con cui un cucciolo diventa indipendente.

Tra gli erbivori, ad esempio, i neonati devono essere in grado di correre già dopo pochi minuti dalla nascita. A pochi secondi dal parto hanno occhi e orecchie ben aperti e la madre li sprona immediatamente a mettersi sulle quattro zampe traballanti. In questo modo impartisce il più grande insegnamento: prima di imparare a nutrirsi, un piccolo di giraffa, cavallo o gazzella deve imparare a correre perchè quella sarà l’unica arma a sua disposizione per il resto della vita.

giraffa

I cuccioli di carnivori, invece, subiscono uno svezzamento più lento. In genere nascono privi di pelo, ciechi e senza denti. La loro sopravvivenza presuppone l’esistenza di una tana che li protegga per un primo periodo e, successivamente, un lungo periodo di allenamento con la madre per imparare le tecniche di caccia. In molti casi ai giovani adulti è persino consentito condividere con la madre lo stesso territorio di caccia.

I piccoli dei primati presentano una strategia intermedia. I nostri bambini, ad esempio, nascono con abilità sensoriali già ben sviluppate ma hanno bisogno di un tempo piuttosto lungo per raggiungere un’abilità locomotoria tale da permettergli di seguire autonomamente gli spostamenti compiuti dagli adulti. Nei primati organizzati in gruppi sociali, poi, le cure parentali lasciano il posto a nuove relazioni tra i componenti del gruppo. Non a caso le femmine di scimpanzè rimangono sempre nel gruppo e ereditano il rango della mamma.

Qualcosa di simile lo ritroviamo ancora nelle tribù che, impropriamente definiamo primitive. I giovani assumono il ruolo di adulti all’interno del gruppo al raggiungimento della maturità sessuale e dopo riti simbolici che ne abbiano dimostrato coraggio e abilità.

Traslare un simile comportamento nella società occidentale sembra un’assurdità. Riuscireste mai a considerare adulto un ragazzino di tredici anni? Ovviamente no….

La società complessa che ci siamo costruiti negli ultimi due millenni, la stessa che permette a ciascuno di noi di condividere le conoscenze e vivere più a lungo, ha la grande pecca di averci allontanato dalla nostra natura.

Nelle nostre giungle di cemento armato, la crescita del piccolo d’uomo è scandita da tempi e modi imposti dalla società. Le alternative, qualora ci fossero, non sono accettate. Aver raggiunto il pieno sviluppo delle proprie capacità psico-motorie non è che l’inizio di un faticoso processo di indipendenza che sembra sempre più lungo e articolato. Essere capaci di arrampicarsi su un albero per cogliere un frutto non è più importante; il giovane uomo deve acquisire professionalità sempre più complesse per guadagnare il denaro necessario e comprare quella mela in un supermercato. Per non parlare della possibilità di costruirsi una casa. Quella che i nostri antenati creavano con le loro mani oggi non sarebbe realizzabile senza l’intervento di banche e istituti di credito pronti a specularci.

genitori-animali

Gli animali, anche quando nascono del tutto incapaci di badare a se stessi, non continueranno a dipendere dalla propria madre per tutta la vita. Normalmente, prima di raggiungere l’età riproduttiva, sono in grado di trovare nell’ambiente circostante tutto il necessario per sopravvivere, in termini di cibo e di relazioni intraspecifiche. In Europa, invece, l’età media in cui un giovane uomo va via di casa è 27 anni e in Italia si lascia la casa del genitore solo intorno ai 30 anni. Le motivazioni possono essere culturali o economiche ma, soprattutto, legate alla carenza di un sistema di welfare che non prevede alcuna forma di assistenza alla costruzione dell’autonomia dei giovani.

Tutte le società occidentali, più o meno apertamente, hanno mancato in pieno l’obiettivo (o non l’hanno nemmeno considerato) di fornire alla generazione che dovrebbe guidare il mondo nei prossimi anni le risorse necessarie per emanciparsi e diventare adulte.

Quelli, tra i pochi fortunati, in grado di fare il passo verso la piena indipendenza sono i giovani nati in famiglie benestanti. Avendo la fortuna di attingere a risorse private, sono anche avvantaggiati dallo stato di affanno degli altri. Si tratta, però, di poco più dell’1% della popolazione, una percentuale trascurabile per contrastare i tragici effetti generali.

Il risultato è una società sempre più povera, senza bambini e senza futuro in cui la generazione che dovrebbe aver già preso il comando sta annegando tra la reale incapacità di aprirsi una proprio percorso di crescita nella società e la sensazione di non esserne all’altezza.

La società che ci siamo creati per vivere meglio si è rivelata più spietata del mondo naturale dal quale ci siamo evoluti. La popolazione umana è cresciuta troppo e troppo in fretta in un sistema in cui non esiste una reale ridistribuzione delle risorse. Un recente studio dell’Oxfam ha dichiarato, ad esempio, che 85 persone al mondo possiedono 65 volte la ricchezza posseduta dalla metà più povera del pianeta e il loro patrimonio aumenta di anno in anno.

Nelle società naturali gli esemplari più deboli sono lasciati indietro e sacrificati per il bene del gruppo; la mostruosa società in cui viviamo ha bisogno che la grande disparità persista. Fino a qualche decennio fa, le vittime erano quei milioni di persone che avevano avuto la sfortuna di nascere nei paesi meno sviluppati. Cinicamente e ciecamente abbiamo goduto dell’immeritato vantaggio. Negli ultimi anni, però, il sistema che ci ha nutriti non è più in grado di distribuire ricchezze in tutto l’occidente e, di conseguenza, ha iniziato a mietere vittime anche tra di noi.

I giovani di tutto il mondo hanno bisogno urgente di un cambio di rotta. Se nei paesi in via di sviluppo una soluzione potrebbe essere legata alla ridistribuzione delle terre e a una massiccia alfabetizzazione per uscire dall’estrema povertà, nell’occidente post-industriale è necessario cambiare la mentalità di una classe dirigente e attuare quelle politiche sociali necessarie per garantire a tutti un futuro dignitoso.

L’ecologia ci insegna che nessun gruppo animale, nemmeno l’uomo, può permettersi di perdere il contributo di un’intera generazione. Le conseguenze sarebbero disastrose per l’intera specie.

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