Le tartarughe di Yakushima
La spiaggia di Inakahama, è il luogo del Giappone più frequentato dalle tartarughe marine. Su questa spiaggia, la più lunga dell’isola di Yakushima, ogni anno tra maggio e agosto più di cinquecento femmine di varie specie arrivano a deporre le uova.
Yakushima è un’isola vulcanica del sud, un cono fitto di foreste a circa due ore d’aliscafo da Kagoshima ed è patrimonio mondiale dell’UNESCO. La vediamo spuntare dal mare in un giorno piovoso e incolore di giugno. Il lodge è proprio su quella spiaggia che la pioggia e la foresta scura alle spalle fanno sembrare più remota di quello che è in realtà. Lungo la strada innumerevoli cartelli, punti di ristoro e d’osservazione informano in due lingue il turista della presenza delle tartarughe, degli orari in cui si può accedere alla la spiaggia. Proprio all’estremità opposta della lunga distesa di sabbia c’è un altro lodge ed altro punto di osservazione, con una grande mappa ed una ricarica gratuita per le auto elettriche. Passeggiare sulla spiaggia non è facile. A Yakushima fiumi e torrenti, come del resto in tutto il Giappone, sono stati irreggimentati da argini di pietra. Con le piogge intense l’acqua irrompe in spiaggia scavando dei canali a serpentina. Al tramonto l’isola di fronte, con un cappello di nuvole intorno alla cima, ricorda la conradiana Malata. Torniamo al nostro lodge, tra poco la spiaggia sarà interdetta. Non si può accedervi dalle 19:30 alle 05:00. Le tartarughe sono particolarmente sensibili alla luce, e non si possono usare lampade, torce, nemmeno i cellulari che devono essere spenti. Figuriamoci i flash.
Ci sediamo ed aspettiamo. Il mare è calmo, il cielo nuvoloso. La luna all’ultimo quarto si affaccia tra una nuvola e l’altra. Il modo migliore per avvistarle è scorrere col binocolo la linea bianca della battigia. Lì le sagome scure delle tartarughe si stagliano contro la schiuma del mare. Ma sulla sabbia è facile confonderle con le ombre, con le alghe, con i relitti. Allora, per distinguerle, cerchiamo le tracce. Sulla sabbia umida le tartarughe lasciano sempre una scia scura e consistente.Ed ecco le prime sagome spuntare dalle onde. Le tartarughe vengono vicine, le sentiamo sibilare dalla fatica sopra la risacca. La sabbia, composta di frammenti di conchiglie, produce un rumore pastoso.
Chissà quanti chilometri hanno percorso. Forse migliaia. Decine di migliaia per chi è la prima deposizione. Difficilissimo vedere tartarughe molto giovani in mare, e questo è il loro più grande mistero, solo parzialmente svelato. Si pensa che durante i primi anni di vita si radunino in qualche vortice di sargasso, dove trovano cibo e facile protezione dai predatori. Raggiungono la maturità sessuale all’età di circa trenta anni, e tornano tutte a deporre le uova sulla spiaggia dove sono nate. Sempre che nel frattempo non ci abbiano costruito un albergo, un porto o una discoteca. Se disturbate potrebbero tornarsene in acqua. O mancare il loro appuntamento con la spiaggia natia. A Yakushima su tutta la distesa di sabbia, chiara sotto la luna intermittente, solo le lucine rosse delle torce dei ranger.
In un attimo la spiaggia intera è tutta uno strisciare di carapaci, che arrancano sulla sabbia come enormi coleotteri. In acqua le tartarughe non hanno peso e a terra i loro centocinquanta chili o anche di più si sentono tutti. È uno sforzo pazzesco per chi può affidarsi solo alla forza delle pinne pettorali.
Una tartaruga cade nel canale. Ci mette un po’ a capire cosa le è successo e che quello non è un assolutamente un buon posto per nidificare. Non si depongono le uova nel letto d’un fiume. La tartaruga lotta contro i massi levigati che il canale ha portato allo scoperto. Il percorso a ritroso verso il mare è fitto di ostacoli e ci viene voglia di avvicinarci ed aiutarla. Non potremmo mai alzarla, ma potremmo rimuovere le rocce. Ecco una lucina rossa. Un ranger si avvicina. Cerca le tracce fresche per marcare i nidi, vede la tartaruga in difficoltà. Con la luce rossa esamina la tartaruga in cerca di tag, o di trasmettitori satellitari. Poi siede, posa la torcia e con calma estrae un faldone plasticato e inizia a compilare un formulario. Quando lui ha finito di scrivere la tartaruga è tornata al mare. Ma non si arrenderà.
L’unico momento buono per fotografarle è l’attimo in cui depongono le uova. In quel momento le tartarughe sono completamente concentrate nella loro missione e non c’è rischio di disturbarle o distoglierle. Incrociarle mentre vanno e vengono dal mare potrebbe mettere a rischio le loro già faticose traiettorie, o farle desistere dal deporre su quella spiaggia. Non possiamo usare il flash, quindi decidiamo di fotografarle poco prima dell’alba, quando la luce potrebbe essere sufficiente per una foto dalla lunga esposizione.
Con la luce tenue scopriamo che una ha nidificato esattamente sotto la terrazza del lodge. E’ il nido più lontano dal mare di tutti gli altri. La tartaruga ha scavato quasi poggiando la testa sul primo gradino che porta su al terrazzo, proprio accanto al cesto del bucato che la proprietaria usa per raccogliere i relitti e le plastiche portate dal mare.
Poco distante una figura in tuta azzurra osserva la lunga fila di bandiere piantate dai ranger. E’ un uomo anziano, probabilmente un ex pescatore. Inizia a verificare i nidi e a scavarli usa la tecnica nota ai ricercatori quanto ai bracconieri: infila una lunga asta nella sabbia fino in fondo e poi la sfila. Ripete l’operazione più volte. Se sotto c’è un nido prima o poi un uovo rotto farà appiccicare la sabbia all’asta.
Scava con le mani, come se avesse fatto questo lavoro da sempre. E probabilmente è così. Anche lui ha il suo faldone di plastica contenente un bel mazzetto di fogli formato A4 e dei cartellini. Sorride. Prende delle uova di tartaruga e me le mette in mano: sembrano palline da golf. Accanto a lui delle piccole piramidi di uova. Segna sulla sabbia col dito il numero, 157. Le uova sono probabilmente di una Caretta caretta, una tartaruga marina comune anche nel mediterraneo. Lo aiuto a scavare, fare buche profonde quanto il braccio nella sabbia è un lavoro molto faticoso, c’è bisogno di spostare moltissima sabbia, di allontanarla dai bordi del buco. Lavoriamo insieme per qualche minuto.
Poi prende le uova, e dopo averle contate le mette in un sacchetto di plastica. In un punto recintato della spiaggia, lontano dalle onde e a ridosso delle dune erbose, l’uomo ha già preparato un altro buco. Ci svuota dentro l’intero sacchetto e ricopre di sabbia. Poi marca il nido. Un’altra tartaruga ha nidificato troppo vicino al canale. E anche il suo nido è stato rimosso, le uova trasferite nella zona sicura. Per quaranta milioni di anni le Caretta caretta non hanno mai avuto bisogno di qualcuno che dicesse loro dove deporre, o che spostasse le loro uova, le mettesse in incubatrici. Va da sé pensare che forse siamo l’ultima generazione a vedere le tartarughe in mare. Forse tutto questo affetto è solo il nostro modo di chiedere loro scusa per la folle distruzione.
Per saperne di più:
- https://it.wikipedia.org/wiki/Yakushima
- http://loveyakushima.com/yakushima-sea-turtle-2/
- http://www.yesyakushima.com/night-turtle-viewing/
- https://tsubakuro.wordpress.com/2013/10/17/on-location-yakushima-day-four-sea-turtles/
- http://www.yakumonkey.com/2014/05/yakushima-turtles.html
- https://www.insidejapantours.com/experience-japan/i-ne05-3/loggerhead-turtles/
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