L’Odore del Mare

Scozia

© John Haslam

Il cielo è un tappeto rovesciato e le mani sui binocoli proteggono le lenti dalla salsedine. Con la bassa marea l’odore è più forte. Allora chiudo gli occhi e cerco l’attimo in cui l’odore del mare diventò memoria, evocazione pura, scintilla che precede la parola.

Vedo una caletta luminosa, la sabbia dorata, l’acqua cristallina. Le onde spiaggiano stelle marine. Un giorno, quando inizierò a parlare, mi diranno che quello, proprio quello è il mare di Ulisse.

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© NOAA’s National Ocean Service

Fine del sogno. Solo in Scozia i gabbiani sono così rumorosi. Riescono ad essere rumorosi anche in centro città. Il mare di fronte a noi è il mare del Nord e non ha nulla di amichevole. E’ un mare che ha che fare con tempeste, relitti e morti per ipotermia. Un mare che insegna molto, oltre a evocare.

Solo i mari ricchi di vita vegetale hanno un odore così deciso. La posidonia del Mediterraneo è una pianta acquatica dall’odore vellutato e speziato. Ma forse sono io a sentirla così, io ci sono cresciuto con quell’odore. La kelp, invece, la lunghissima alga bruna che vive nei mari freddi-temperati ha una fragranza più amara, da limone bruciato. Ci sono mari che non hanno quasi odore. Sono i mari senza posidonia o senza alga bruna, mari dove il corallo prevale sull’alga, sulle piante. Di quei mari ricordi più facilmente il lime, il tamarindo, l’odore delle piante sulla costa. Il Mar Rosso senza piante sulle sue sponde e sul fondo, non sa quasi di niente.

Dicono che proprio le alghe potrebbero salvare il mondo dalla fame. Soprattutto il mare, dalla fame nel mondo. Pare siano il più grande serbatoio di Omega-3 del pianeta come di altri nutrienti che, di solito, strappiamo allo stock ittico. Lo stiamo facendo fino ad esaurimento. In posti come Bali e Zanzibar, per citarne di rinomati, le alghe si coltivano. Si coltivano in acqua bassa e in filari. Sono vigne all’interno del reef o delle lagune. Su piccoli scafi di legno o su imbarcazioni raffazzonate, poco più di zattere, i vignaioli del mare raccolgono un’alga che non consumano. E’ destinata ai mercati orientali come cibo. In loco, al massimo, la usano come fertilizzante. Altre alghe, delle quali però possono nutrirsi sì e no i pesci pappagallo, stanno prendendo il sopravvento sui coralli portando intere barriere a morte certa. Non è colpa dell’alga, ma di fenomeno come l’ eutrofizzazione dei mari, cioè: troppi nutrienti. Quando in mare arrivano troppi nitrati o fosfati, ovvero fertilizzanti, allora alghe fitoplancton e piante marine esplodono. Demograficamente. Sta succedendo ormai da anni e lentamente nel nord del Golfo di Aqaba, per esempio. Proprio nel porto di Aqaba in Giordania, guarda caso, fa capolinea uno dei più grandi terminali del mondo di fosfati. Per fortuna le alghe non sono soltanto infestanti invasori, ci sono anche le alghe simbionti indispensabili dei coralli. C’è alga e alga.

© commons.wikimedia.org

Ma se tutta la faccenda, come spesso accade girasse intorno a ciò che gli odori riescono a evocare, i mari tropicali non avrebbero mai raggiunto la fama né il successo che ormai tutti riconoscono. Tra alghe, piante e simbionti, tra acque eutrofiche o meno, i mari tropicali ci offrono colori, biodiversità e trasparenze difficili da scovare in acque più fredde. Questi mari sostanzialmente visivi ci stordiscono con creature esotiche, con colori e luci tali da destare sentimenti che Conrad, più di cento anni fa, osò descrivere così:

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“…sotto l’intensità luminosa di un cielo mai soffuso, mai velato, che riversa sulla terra l’eterna solarità dei tropici; quella solarità che, nel suo ininterrotto splendore, opprime l’animo di una malinconia indicibile, più intima, più penetrante, più profonda del triste grigiore delle brume nordiche.”

Alla faccia degli odori. Alghe, fitoplancton e piante acquatiche sono organismi dissimili e, l’ammetto, solo pochi anni fa ho capito –credo–  cosa li rende così diversi tra loro. Le piante, come la posidonia,  hanno radici con le quali assorbono nutrienti, le alghe si ancorano e basta con i rizoidi, il fitoplancton vaga. Rimasi affascinato quando me lo spiegò in barca una biologa marina. Tutti producono ossigeno per fotosintesi, sì l’elemento chimico che serve a noi terrestri per vivere. Il 46% circa. Sicuramente non possiamo immaginare, tantomeno ricordare l’odore del mare del terziario, chissà se percepiamo in questo forte odore l’origine delle vita sul pianeta, la nostra origine.

La roccia alla nostra destra è screziata di guano. Le urie sono lo spettacolo che sto seguendo, mentre Franz sta cercando di capire se la coppia di falchi è viva, dopo la tempesta. Un’ondata di gelo s’è abbattuta sulla Scozia, con una moria senza precedenti di uccelli marini, compresi i pulcinella di mare, notoriamente robusti.

“Lo sai che proprio qui sotto ho imparato a diventare un subacqueo professionista?” Dico. “E va a finire che proprio io ti riporto qua.” Mi fa ed aggiunge: “Non vedo i falchi. Quel riparo lì nella roccia è il loro nido.”

Franz ha adottato alcune coppie di falchi per conto del Governo, ed  inizia a scrivere. Seduto sull’erba scivolosa e con le gambe sul bordo del precipizio, si cala nei suoi appunti. E’ il suo modo di fare. Sempre totalmente concentrato. Poi si gira.

“Non ti sei scelto un posto facile per iniziare.” Sorride. “Alla fine un mare vale l’altro. Ero qui, m’andava, l’ho fatto.”

La marea sale e le ondate si fanno più potenti, gli spruzzi più forti. E noi non ci diciamo altro. Continuiamo a guardare e annusare. E’ un odore forte, magnifico. Mi ricorda il mio mare d’Ulisse da bambino e, forse non è una distorsione nostalgica. Noi umani ci sforziamo spesso di classificare, catalogare e così facendo evidenziamo le differenze, erigiamo muri, scomparti. Muri il mare non ne ha, solo un paio di punte difficili da navigare, come il Capo d Buona Speranza e Capo Horn.

Odore o meno,

Omero o meno

il mare, dai Caraibi allo stretto di Lombok  è sostanzilmente

uno.


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