La vita segreta degli alberi

alberoCosì si intitola il libro dello sconosciuto Peter Wohlleben, già best-seller in Germania e da settembre disponibile anche in Italia. Un lungo racconto che ci svela i dettagli più intimi sulla vita e le relazioni tra gli alberi per imparare a conoscerli meglio e, magari, a proteggerli. Il linguaggio semplice e coinvolgente ha fatto si che conquistasse i lettori tedeschi ma, la sua traduzione in più di 20 lingue lo candida, definitivamente, a diventare un fenomeno mondiale.

Ma chi è Peter Wohlleben e da dove parte il suo viaggio? Lo racconta lui stesso, con un po’ di ironia nella prefazione del libro.

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“Quando ho iniziato la mia carriera come guardia forestale – dice Wohlleben – le mie conoscenze sulla vita segreta degli alberi erano grossomodo pari a quelle di un macellaio sulle emozioni degli animali”.

La silvicoltura ha tra i suoi scopi principali la produzione del legname e i forestali sono spesso portati a pensare che il bene degli alberi sia di nostro interesse solo perché un bosco sano produce di più. Così la pensava anche Peter che, per lavoro, doveva ogni giorno valutare centinaia di abeti, faggi, querce e pini per il solo fine commerciale. Il suo rapporto col bosco è cambiato, inaspettatamente, da quando è stato incaricato di accompagnare gruppi di turisti ai rifugi o in escursioni nelle riserve naturali integrali. Le domande dei visitatori hanno riacceso in lui la curiosità e l’amore per la natura.

Un giorno di molti anni fa Wohlleben si è imbattuto in una grossa pietra ricoperta di muschio. Osservandola da vicino si rese conto che si trattava dei resti ancora vivi di un faggio abbattuto, forse, centinaia di anni fa. Come può un ceppo così vecchio essere ancora vitale dopo tutto questo tempo? L’unica risposta possibile è anche la più sorprendente: i faggi circostanti lo nutrono, pompando zucchero verso le sue radici per tenerlo in vita!

La condivisione del cibo è una caratteristica diffusa nelle comunità animali evolute ma cosa dovrebbe spingere un albero a privarsi di una parte del suo nutrimento e cederlo a un altro della sua stessa specie? Il motivo, per Wohlleben, va ricercato nella necessità di non rimanere isolati. Un albero da solo è in balia delle intemperie ma tanti alberi insieme sono in grado di mitigare gli eventi atmosferici estremi e creare e mantenere il microclima a loro più favorevole (per umidità, temperatura e esposizione alla luce del sole). Perché ciò sia possibile, però, la comunità deve rimanere intatta e ogni esemplare ha il suo valore.

La teoria di Wohlleben sul senso di comunità non è affatto infondata. Circa quarant’anni fa, alcuni scienziati avevano notato e riportato un comportamento davvero sorprendente nelle acacie spinose della savana. Quando una di loro riceve le fastidiose attenzioni di una giraffa, per evitare che l’animale la privi di tutte le sue giovani foglie, trasferisce verso i rami più alti sostanze tossiche. Contemporaneamente, però, rilascia nell’aria una sostanza volatile (in genere etilene) che funge da avvertimento per le acacie nelle vicinanze affinché corrano ai ripari e producano le sostanze repellenti ancor prima di essere aggredite.

Processi molto simili sono riscontrabili anche nei nostri boschi. Le querce, per esempio, inviano alla corteccia e alle foglie tannini amari e velenosi che uccidono gli insetti parassiti o cambiano il sapore delle foglie; i salici, per difendersi, sintetizzano la salicina che ha effetti simili.

Il caso di tre querce centenarie identiche, cresciute una in prossimità dell’altra è il pretesto usato nel libro per introdurre l’idea che anche gli alberi abbiano un proprio carattere. La volontà, o se vogliamo, l’intraprendenza di un individuo rispetto agli altri, secondo l’autore, si rivela durante l’autunno. A un certo punto della stagione le querce devono necessariamente perdere le foglie. É importante, però, scegliere il momento giusto. Se troppo presto, rischiano di non accumulare sufficienti nutrienti per l’inverno ma, se si attende troppo, la probabilità di apportare gravi danni al sistema linfatico è alta. Tra le tre querce dell’autore ce n’è una che si spoglia sempre un paio di settimane prima delle altre. Come spiegare questo comportamento, ammette Wohlleben, se non attribuendo alla prima un carattere più prudente di quello delle altre due?

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Gli alberi, però, non solo sono in grado di decidere cosa sia meglio per loro ma, pare, anche cosa sia meglio per la loro prole. I giovani alberi di faggio, in condizioni di piena luce, sarebbero in grado di crescere molto rapidamente. In natura, invece, le madri, con la loro chioma permettono solo al 3% dei raggi solari di raggiungere le foglie della giovane pianta, una quantità di luce appena sufficiente per sopravvivere. Perché questa apparente crudeltà verso i propri eredi? La risposta, visto che sarebbe difficile chiederlo a un faggio, ce la da la scienza dimostrando che una crescita lenta durante le prime fasi della vita è necessaria affinché l’albero sopravviva a lungo.

I più integralisti tra noi avranno difficoltà ad accogliere questa lettura ma i casi decritti tra le pagine del libro sono davvero curiosi e ben articolati.

Non abbiamo, però, difficoltà ad aderire alla tesi secondo cui gli alberi comunicano intensamente tra di loro e che il silenzio del bosco è invece un continuo e complesso chiacchiericcio che mette in comunicazione individui anche appartenenti a regni distinti, come gli alberi e i funghi. Abbiamo già affrontato questo affascinante argomento qualche anno fa nell’articolo “Di cosa parlano le piante”. Wohlleben enfatizza molto questa rete di comunicazione che chiama Wood Wide Web, aggiungendo che gli alberi, se assetati, riescono persino ad urlare. Questa richiesta d’aiuto, però, non è percepibile dalle nostre orecchie perché composta solo da ultrasuoni.

Tutti noi, in quanto esseri umani, siamo portati a visualizzare gli esseri viventi attraverso la lente della nostra esperienza. Ciò da luogo, anche tra gli scienziati, alla tendenza naturale ad antropomorfizzare le specie non umane oppure, dal lato opposto, a trascurare alcune somiglianze perché le loro vite ci sembrano del tutto diverse dalle nostre. Entrambi i tipi di errori sono stati fatti in studi relativi alle piante e, la maggior parte, in quelli sulle loro capacità percettive e sensoriali.

È difficile, osservando un albero apparentemente immobile, accettare il fatto che esso percepisca e risponda attivamente agli stimoli ambientali. D’altra parte, gli esseri umani sono sempre stati affascinati da quelle piante (come quelle carnivore) che presentano risposte quasi “animalesche” e il motivo ha radici profonde nella psicologia umana. Ciò spiega perché affermazioni fantasiose e empiricamente non supportate sulle presumibili e complesse vite interiori degli alberi hanno spesso guadagnato ampio seguito. Il momento più discutibile è forse legato a una pubblicazione del 1970 dal titolo “La vita segreta delle piante: un affascinante resoconto della fisica, relazioni emotive e spirituali tra le piante e gli uomini” di Tomkins e Bird, in cui sono riportati i risultati di una serie di test effettuati sulle piante tramite la macchina della verità da Cleve Backster, ex specialista della CIA. Nonostante l’evidente mancanza di rigore scientifico, l’opera ha ricevuto una notevole attenzione nel pubblico.

I dibattiti sulla possibilità che le piante possano mostrare un comportamento intelligente o una forma rudimentale di coscienza ritornano ciclicamente di attualità da allora.

Le piante non sono le figure emotive descritte da Cleve Backster e nemmeno gli automi inanimati descritti da Aristotele. Infatti, a differenza della maggior parte delle specie animali, che sono in grado di movimento, le piante devono adattarsi alle condizioni che caratterizzano il luogo in cui sono nate e, di conseguenza, rispondere alla variabilità ambientale attraverso la plasticità sia morfologica che fisiologica molto più efficacemente di ogni animale. Tale adattamento dipende, se vogliamo, dalla capacità critica di rilevare, o anticipare, il cambiamento delle condizioni ambientali e di rispondere di conseguenza.

Così, non sorprende che i recenti studi di biologia vegetale stiano svelando una complessità e una raffinatezza inaspettata nelle abilità percettive delle piante.

Siamo consapevoli che le risposte ai segnali chimici e meccanici analizzati in diverse pubblicazioni, non esauriscono le infinite modalità di risposta delle piante. Abbiamo appena iniziato a capire in maniera più chiara tutta la gamma dei segnali sensoriali che mediano le interazioni tra le piante, tra le piante e l’ambiente e tra le piante e gli animali o i meccanismi con cui tali segnali vengono rilevati e interpretati in una risposta. Rimane quindi ampio spazio per il dibattito su quanto i complessi sistemi percettivi vegetali siano assimilabili a quelli animali. È, tuttavia, sempre più chiaro che le piante monitorano attivamente un flusso continuo di informazioni sensoriali e vi rispondono in modi che influenzano profondamente le loro interazioni con gli altri organismi.

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