Il fiume cambia grazie al lupo

wolf-parco-di-Yellowstone-Dopo settanta anni di assenza, i lupi sono tornati nel parco di Yellowstone (Usa). Sembra incredibile ma, durante lo scorso secolo, gli allevatori e gli stessi operatori del parco cooperarono intensamente per il loro sterminio.

Dopo che l’ultimo lupo grigio fu ucciso, qualcosa, però, iniziò ad andare storto; troppi erbivori, soprattutto cervi, che hanno portato alla quasi totale distruzione della vegetazione autoctona.

Così, nel 1995, avvenne la prima reintroduzione e, in poco meno di venti anni, il ritorno del lupo ha innescato una serie di cambiamenti ecologici che gli scienziati hanno definito “cascata trofica”.

Lo scorso settembre, George Monbiot, giornalista ed ecologo britannico, ha illustrato ai microfoni del canale radio TED, come la reintroduzione del lupo grigio abbia portato enormi cambiamenti nell’ecosistema del parco, tanto da poter essere considerata anche la causa di un’evidente trasformazione della stessa struttura geografica dell’area.

Come può essere possibile? È tutto bellissimo nella sua semplicità e lo rende ancora più affascinante il video che in questi giorni sta, a buon diritto, diventando virale e che, ovviamente, vi consiglio di vedere.

Per anni, grosse popolazioni di cervi, hanno pascolato indisturbate nel grande Parco di Yellowstone; la loro pressione demografica è stata tale da ridurre ampie zone del parco a immense distese nude. I cervi hanno brucato e si sono nutriti di ogni nuovo germoglio senza preoccuparsi dell’arrivo di un predatore perché, grazie all’uomo, i lupi erano stati sterminati.

Nel 1995, il Congresso ha, finalmente, autorizzato la reintroduzione dei lupi grigi e, subito, si sono notati dei cambiamenti.

Naturalmente, la prima conseguenza, è stata l’uccisione di un certo numero di cervi ma, il loro sacrificio non è stato vano perché, da quel momento in poi, i grandi erbivori hanno iniziato a evitare alcune aree del parco, soprattutto quei luoghi, come le valli e le gole, dove potevano essere intrappolati più facilmente.

Immediatamente quegli spazi hanno iniziato a rigenerarsi; vallate ridotte a suolo nudo si sono trasformate, in poco più di sei anni, in foreste di pioppi e salici sui quali sono tornati a riprodursi gli uccelli.

Il numero dei castori è aumentato perché, si sa, adorano sgranocchiare gli alberi. Le dighe, da loro costruite, si sono rivelate nuovi habitat e sono stati presto popolati da lontre, topi muschiati anatre, pesci, rettili e anfibi.

Il numero dei coyote è iniziato a diminuire grazie alla competizione con il lupo e, di conseguenza, le popolazioni di conigli e topi si sono rinvigorite. Con una maggiore disponibilità di piccoli mammiferi anche i falchi, le donnole e le volpi sono stati avvistati con sempre maggiore frequenza e le popolazioni di corvi e aquile hanno, pure loro, beneficiato di questa rinascita grazie alla disponibilità di carogne abbandonate dai lupi e dagli altri predatori.

Persino gli orsi sono aumentati in numero, di pari passo alla ricrescita dei cespugli e alla disponibilità delle bacche di cui sono ghiotti, e hanno rinforzato l’azione dei lupi uccidendo alcuni cuccioli di cervo.

Una tale ripresa della natura era tra le speranze di chi ha favorito la reintroduzione del lupo ma, quello che è successo da questo momento in poi, supera le migliori previsioni: i lupi hanno cambiato il comportamento dei fiumi.

Le foreste, rigenerate, hanno stabilizzato il terreno; le frane sono diminuite e i fiumi hanno potuto cambiare la loro fisionomia, formando piscine e anse più ondulate e, quindi, creando nuovi habitat per la fauna selvatica.

“Quando ti fermi a riflettere, ti rendi conto che il lupo è riuscito a modificare la geografia fisica del Parco Nazionale di Yellowstone, un’area vastissima. Ci si rende conto che il mondo naturale è ancora più affascinante e complesso di quanto pensavamo.” conclude Monbiot.

Siamo di fronte ad una delle più potenti teorie conservazioniste elaborate dalla scienza negli ultimi cinquant’anni. La stessa teoria può essere applicata a tanti altri predatori, dai leoni in Africa, passando per le tigri asiatiche, fino ad arrivare agli squali (oggi minacciati) in Australia. Sono tutti animali in cima a una delicata catena alimentare e la loro presenza condiziona e regola gli equilibri degli animali e delle piante che vi appartengono.

Purtroppo questa nuova consapevolezza si accompagna alla triste realtà che i maggiori predatori del mondo stanno scomparendo e, se ciò dovesse accadere, la maggior parte degli ecosistemi cesserà di esistere e la nostra terra diventerà sempre più povera e uniforme. Ciò che è avvenuto a Yellowstone, però, ci fa ben sperare. Se restituissimo agli ecosistemi, gli elementi fondamentali che, per ignoranza o prepotenza, gli abbiamo strappato, le invisibili connessioni tra gli elementi della natura potrebbero ricrearsi e la loro capacità di rigenerarsi, com’è stato dimostrato, potrebbe rivelarsi stupefacente.

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