Coralli dei Caraibi: cosa fare davanti a una morte annunciata
posted by Claudio Di Manao | Dicembre 24, 2016 | In Dimmi del Mare, Home | Articolo letto 7.114 volteFu amore a prima vista. Avevo quasi appeso le pinne al chiodo quando le acque calde, limpide e brulicanti di vita dei Caraibi mi riportarono sott’acqua. E lo fecero con una prepotenza tale che decisi di mollare qualsiasi progetto per diventare istruttore e vivere così: in mezzo a pesci e coralli tutto il giorno. Allora i pesci pappagallo erano un po’ meno di una prelibatezza, allora abbondavano ancora i red snapper, quelli che sembrano dentici ma non lo sono. Era tempo fa ma non era l’epoca di Colombo e c’erano ancora molti ricci di mare. Quelli me ricordo bene.
Ne sono successe, da allora, in quelle acque tropicali: per esempio mai avrei immaginato che i pesci leone potessero diventare una specie infestante del Mar dei Caraibi, ma che i coralli nella zona avrebbero potuto cedere il passo all’alga loro grande antagonista, l’avrei immaginato. Anzi, l’avrei dato per certo. L’infestazione di pesci leone sono solo l’ultimo problema dei Caraibi. E nemmeno il più grave. Già negli anni ’90 ci si preoccupava dello stato di salute delle mangrovie e del lento prevalere dell’alga sui coralli. Se ne parlava da Cayman a Santo Domingo, da Cozumel a Jamaica, nei seminari sull’ambiente marino, sui giornali locali, ne parlavano gli addetti ai lavori alla radio, ai politici. Ben pochi, nella zona, presero misure in tempo per contenere quel problema annunciato: l’inesorabile avanzata dell’alga, il lento declino dei coralli.
Il risultato si vede. Secondo una recente indagine condotta dalla IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) i Caraibi hanno perso circa il 50% delle loro barriere coralline dal 1970, e tra venti anni le barrire potrebbero sparire del tutto. Parliamo del 9% delle barriere coralline del mondo, barriere che si estendono lungo 38 paesi diversi e che sono vitali per la sussistenza di oltre 43 milioni di persone, un bene che genera più di 3 miliardi di dollari ogni anno con il turismo e con la pesca e molto di più nell’indotto. Sì, perché le barriere coralline non sono soltanto un patrimonio bello da guardare cui soltanto noi ‘avventurosi’ subacquei siamo affezionati: le barriere coralline costituiscono un habitat essenziale ed insostituibile per migliaia di specie marine e quindi per la pesca, per la salute del mare.
Tra le principali cause del dissesto secondo IUCN vi è soprattutto la drastica diminuzione di due specie erbivore: il riccio di mare ed il pesce pappagallo; proprio loro, nutrendosi d’alga, ne hanno sempre contenuto l’avanzata e quindi garantito l’equilibrio delle barriere coralline. La moria di ricci di mare si deve a una misteriosa malattia propagatasi nei Caraibi durante la prima metà degli anni ’80, ma la diminuzione dei pappagallo è dovuta alla pesca intensiva, una pesca – tra l’altro – rischiosa per i pescatori stessi: l’habitat del pesce pappagallo è proprio la barriera corallina, un ambiente che dovrebbe scoraggiare l’uso delle reti. Molti corrono il rischio: la diminuzione delle specie più prelibate, la crescita della popolazione locale e le richieste sempre più insistenti dei ristoranti turistici hanno contribuito in concerto ad intensificare la pesca alla specie. Meglio un pappagallo oggi che un bel corallo domani. Finché è troppo tardi. C’è speranza per le barriere coralline dei Caraibi? Secondo la IUCN c’è ancora la possibilità di uscirne fuori e si potrebbe farlo prendendo delle misure drastiche. Il percorso indicato inizia con la sensibilizzazione delle popolazioni locali, per arrivare al divieto di pesca della specie, fino al ripopolamento. Il percorso andrebbe seguito per filo e per segno, andrebbe fatto subito: sono trenta anni che gli ecologi marini e gli ambientalisti lanciano allarmi sul declino delle barriere dei Caraibi, e da almeno venti ci indicano la causa principale da tenere sotto controllo, l’alga sta prendendo inesorabilmente il sopravvento. Da venti anni. Riusciranno i nostri eroi? Non so come andrà a finire, ho visitato quei fondali quotidianamente quand’erano ancora di una bellezza assoluta. Pensando a quei luoghi meravigliosi ho idea che probabilmente sarò ancora in grado d’immergermi nel giorno in cui spariranno del tutto e mi chiedo se quelle barriere coralline riusciranno a sopravvivermi; sostanzialmente dipende da quanto prevarrà l’indifferenza, da quali scelte saranno fatte. L’idea che le barriere coralline dei Caraibi, sistemi complessi e ultra millenari, possano morire prima di me, che già da un pezzo non ho vent’anni, è come minimo inquietante. Links utili:
- http://www.iucn.org/?16050
- http://www.theguardian.com/environment/2014/jul/02/caribbean-coral-reef-lost-fishing-pollution-report?CMP=EMCENVEML1631
- http://www.scienze-naturali.it/news-eventi/primo-piano/linvasione-dei-pesci-leone
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Claudio Di Manao
In una tipica mattinata caraibica dei primi anni '90 l’ex consulente finanziario ed immobiliare Claudio Di Manao, tra ventagli di mare blu, barracuda ed altri pescetti colorati rinasce alla subacquea. Non solo decide subito di ricominciare ad immergersi: vuole diventare istruttore, il che gli sembra un'ottima scusa per esercitare professionalmente la sua attività preferita: il vagabondaggio in paesi caldi. Dopo anni di ‘divemasterato’ in Scozia, Inghilterra, Messico e Caraibi diventa istruttore nel 1996 a Grand Cayman. Per una serie di motivi che non è mai stato in grado di spiegare, Claudio Di Manao si reca a Sharm el Sheikh, in Egitto e ci resta per ben undici anni. L'ambiente surreale di Sharm el Sheikh gli suggerisce di scrivere 'Figli di Una Shamandura', il suo primo libro che diventa un Cult. Ovviamente non l’avrebbe mai immaginato. Gli viene offerto di collaborare con importanti portali come GoRedSea. Inizia a lavorare come free-lance e non solo nella subacquea. Nel 2008 realizza Tra Cielo e Mare, rubrica per la Radio Svizzera e viene invitato a scrivere testi e sceneggiature di documentari. In questo campione della sua carriera, cioè adesso, collabora regolarmente con: AlertDiver , il magazine del DAN, Diver Alert Network, con il Corriere del Ticino, quotidiano svizzero di Lingua Italiana e con ScubaZone, il magazine subacqueo in Italiano più letto e più scaricato nella storia della subacquea e, come potete constatare, con imperialbulldog.com.
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