Trump VS the green world
Caro Mr. Presidente,
Sorpresa, c’è posta per te.
Sono passati solo pochi giorni dall’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca e già ha ricevuto numerose lettere dai suoi fans italiani desiderosi di essere sorpresi da lui. Lo stesso giorno del suo insediamento, il 20 Gennaio 2017, le associazioni ambientaliste italiane riconosciute dal Ministro dell’Ambiente (tra cui LIPU – LEGAMBIENTE – WWF ITALIA – EARTHDAY ITALIA – RANGERS ITALIA – MAREVIVO – ASOIM) si sono riunite a Roma per spedire la famosa missiva dal titolo “Surprise us, President Trump”. È stato chiesto al neopresidente degli Stati Uniti d’America di mantenere la promessa fatta in campagna elettorale di avere cura del benessere dei suoi concittadini, benessere che passa necessariamente per la condizione ambientale del nostro Pianeta. Gli si ricorda l’opinione della comunità scientifica secondo cui, entro poche decadi, la vita di milioni di persone sarà a rischio, a meno di notevoli cambiamenti nelle scelte ambientali dei Paesi industrializzati, Stati Uniti in primis. Invertire la rotta annunciata durante la campagna elettorale, incoraggiando l’uso delle energie rinnovabili e contenendo l’immissione di gas nocivi nell’atmosfera per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici, sarebbe sicuramente la più bella e significativa sorpresa da fare ai mittenti delle lettere, con ripercussioni positive sulle risorse che il mondo intero condivide.
Sappiamo tutti che credere di poter cambiare le intenzioni di Trump con qualche lettera è sinceramente da ingenui, tuttavia farsi sentire, comunicando il proprio punto di vista, è fondamentale per non restare passivi e dare almeno una parvenza di libero pensiero.
Proprio per questo motivo, a partire dalle ore 11.00 a.m. dello stesso giorno, è stata data l’opportunità ad ogni cittadino del mondo di scaricare dal sito www.surpriseuspresidenttrump.com la suddetta lettera in italiano, inglese o spagnolo, per poterla firmare e imbucare personalmente. Una forma di comunicazione pacifica e costruttiva in linea con le tante dichiarazioni rilasciate, tra cui quella di Danilo Selvaggi, direttore generale della LIPU e componente fondamentale della ristretta delegazione che ha incontrato nella sede dell’Ambasciata americana a Roma, la signora Caron De Mars, Environment, Science, Technology & Health Counselor, in rappresentanza dell’ambasciatore statunitense in Italia. <<E’ una fase molto difficile per il nostro pianeta, ma è proprio in circostanze come queste, in cui le crisi economiche e sociali si aggravano e sembrano esplodere, che l’opzione ambientale dimostra la sua forza. Il mondo è piccolo e fragile: andare d’accordo è molto più conveniente che confliggere, curare le risorse naturali è molto meglio che distruggerle. Continueremo a sostenere queste verità, le verità dell’ecologismo e della convivenza, e anzi le sosterremo con ancora più forza>>.
In questo idillio di attenzioni verso la sua politica ambientale, il neopresidente eletto ci sta sorprendendo e come, ma, ovviamente, non lo sta facendo nel modo giusto.
Mi sembra abbastanza chiaro che cambiare le tende da rosse a oro non era il tipo di sorpresa che ci aspettavamo! Davvero deludente è stato assistere alla cancellazione delle pagine dedicate al cambiamento climatico dal sito internet della White House a solo pochi minuti dal giuramento presidenziale. Al loro posto c’è ora la sezione “An American First Energy Plan” in cui l’unico riferimento al clima consiste nella promessa di Trump di alterare completamente le politiche del suo predecessore come il Climate Action Plan, da lui definito <<non necessario e dannoso>>. La reazione è stata immediata con il duro commento di Michael Brun, direttore del Sierra Club, la più grande associazione ambientalista degli Stati Uniti: <<Quello che Trump ha pubblicato non è un piano, ma piuttosto una lista dei desideri degli inquinatori che renderà la nostra aria e la nostra acqua più sporche, il nostro clima e le nostre relazioni internazionali più instabili e i nostri bambini più malati>>. Altre voci si fanno sentire, tutte preoccupate che la nuova amministrazione possa cancellare importanti dati raccolti dal governo degli Stati Uniti; per questo motivo sono ora all’opera 50 scienziati che, dai server di diverse università americane, stanno memorizzando i dati governativi presenti sui siti di varie agenzie federali che raccolgono informazioni sui cambiamenti di temperatura, le emissioni dei gas serra, le maree e quant’altro (fenomeno definito guerrilla archiving). <<Cosa vi aspettavate? La nuova amministrazione ha una visione del mondo molto diversa>>, ha spiegato Chris Warren, portavoce dell’Istituto per le ricerche energetiche, al New York Times <<Vuole aumentare la produzione di petrolio e gas e aumentare i salari>>.
Insomma, per fortuna, ad ogni azione corrisponde una reazione del pubblico pensante e questo si è visto già a partire dalle discutibili nomine del nuovo gabinetto di Trump. L’ormai noto pool di Paperoni (gli one-percenters) di cui si è circondato ha un patrimonio economico che, se sommato, supera il PIL delle ultime 120 nazioni; d’altronde, si sa, i ricchi stanno con i ricchi. Ma i soldi non sono le uniche cose che hanno in comune questi grandi uomini d’affari; essi, infatti, la pensano allo stesso modo riguardo molte questioni ambientali e si battono per le medesime cause secondo una stessa scala di priorità e valori dove il business conta assai più del clima del pianeta.
Già con le prime sconsiderate affermazioni di Trump sul Global Warming sono iniziati dei fermenti che sono poi sfociati in aperte proteste a seguito della sua magistrale nomina di Scott Pruitt a capo dell’Epa (Enviromental Protection Agency) per avere un controllo totale in materia ambientale. Con le sue minacce di venir meno all’accordo di Parigi, firmato da Obama in occasione del COP21 ed entrato in vigore il 4 Novembre 2016, e il rilancio dell’industria petrolifera e di altri combustibili fossili, il Presidente USA ha scatenato reazioni di ogni portata. Dall’infruttuoso incontro alla Trump Tower con Leonardo di Caprio, accanito sostenitore della lotta al cambiamento climatico, alle audaci dichiarazioni di Jerry Brown, governatore democratico della California che, intervistato dal NYT, ha promesso di voler difendere le politiche ambientali a sostegno dell’Accordo di Parigi: <<Noi continueremo a dare l’esempio e qualunque cosa pensi di fare Washington, la California è il futuro >> e, senza paura, ha sfidato il suo presidente <<abbiamo gli scienziati, abbiamo gli avvocati e combatteremo. Siamo pronti alla difesa, la California non è estranea a questa lotta>>. Altri stati ribelli in materia ambientale si uniscono alla California dal Massachusetts a New York, dalle Hawaii all’Illinois, con le amministrazioni che hanno fissato obiettivi molto ambiziosi di crescita delle rinnovabili e di riduzione delle emissioni. Ma è Brown l’alleato statale più prezioso alla lotta al cambiamento climatico, vantando una costante diminuzione di CO2 emessa, contemporanea ad una crescita del PIL e della tendenza demografica, proprio a riprova del fatto che ridurre l’uso dei combustibili fossili in favore di energia pulita non impoverisce l’economia. Ai vertici della difesa ambientale si è riconfermato anche l’attuale ex presidente Obama che, poco prima del termine del suo mandato, ha vietato le trivellazioni offshore per gas e petrolio nelle regioni artiche del Pacifico e dell’Atlantico settentrionale. Questo atto glaciale non solo è inedito, ma, soprattutto, permanente poiché fa leva su una vecchia legislazione del 1953, l’Outer Continental Shelf Lands Act, che gli ha dato il potere di tutelare gli ecosistemi dei fondali marini dal Maine alla Virginia a oriente, e lungo gran parte dell’Alaska a occidente. A integrare le zone da proteggere ci ha pensato il governo canadese con un ordine del primo ministro progressista Justin Trudeau di vietare nuove trivellazioni nelle acque canadesi. Una partita accesa, ma lontana dall’essere al termine. Inoltre, per evitare di veder calpestare la sua eredità ambientale, Obama, tre giorni prima di lasciare l’ufficio, ha trasferito altri 500 milioni di dollari al Green Climate Fund; con questa seconda tranche si è arrivati, purtroppo, a meno della metà della quota americana stabilita (3 miliardi) in occasione dell’Accordo di Parigi per combattere il global warming. Questi importanti fondi sono necessari per scongiurare l’attesa inadempienza di Trump a saldare i debiti verdi.
Persino Europa e Asia, con la Cina in particolare, si alzano in piedi davanti le intenzioni di Trump, affermando di voler perseguire in ogni caso i loro ambiziosi, e quanto mai essenziali, progetti verdi. Non ci stupisce il fervore cinese il cui Paese è già riconosciuto come leader mondiale nelle energie rinnovabili con investimenti verdi che, a detta del presidente Xi Jinping, <<sono molto redditizi in tutta la nazione >>.
Caro Presidente Trump, invece di immaginare stupidi complotti cinesi, si faccia due conti e si renda conto che puntare sulle energie rinnovabili (e lo dice stesso il nome) è l’unico modo che ha per fare dell’America un Grande Paese! Quando i combustibili fossili finiranno non rimarrà altro che un mondo irreversibilmente inquinato.
Pensi al futuro, guardi lontano e punti sulla California che, da sola, già attrae investimenti da venture capital superiori a quelli mobilitati dai mercati europeo e cinese messi insieme.
Be Smart, be Green!
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