‘CHASING CORAL’ dal Sundance a Netflix
posted by Claudio Di Manao | Luglio 15, 2017 | In Dimmi del Mare | Articolo letto 2.728 volteNon si può nemmeno descrivere. Erano i colori più accesi che avessi mai visto. Non avevo mai osservato una trasformazione più bella in natura. Il volto incredibilmente spettacolare della morte. Sembrava che i coralli ci dicessero: “Guardateci, per favore!”
Chasing Coral è un canto del cigno. Meraviglioso, struggente, commovente. Mi sono commosso io, che ho visto alcune barriere coralline morire lentamente giorno per giorno sotto i miei occhi. Le ho viste anche rinascere, ma quello che sta succedendo adesso è oltre l’umana immaginazione e, purtroppo, oltre l’attenzione dei media.
“Se tutte le foreste pluviali un giorno diventassero bianche, manderebbero subito qualcuno a controllare per capire cosa sta succedendo!”
Invece con le barrire coralline questo non succede. Se non se ne occupano NGO come The Ocean Agency e registi indipendenti. Chasing Coral ha vinto il Sundance Festival il premio del pubblico. Netflix e Sundance, grazie: senza di voi la gente non si accorgerebbe di niente. Mare e foreste producono la totalità dell’ossigeno del pianeta, il 50% per uno. Le barriere coralline sono il vivaio degli oceani, circa il 25% della vita marina dipende dalle barriere coralline. Il fabbisogno proteico di più di un miliardo di persone dipende dalle barriere coralline. Le barriere coralline sono l’unica fonte di reddito per oltre mezzo miliardo di persone.
Poco meno del 10% della popolazione mondiale, me compreso, non conta un accidente. Questa dura realtà l’ho capita da subito. Coralli = gioielli. Sembra quasi che la vita marina, la subacquea e il mondo sommerso passino indifferenti alla specie umana. Lo stato degli oceani è disastroso.
“Abbiamo bisogno degli alberi e delle barriere coralline, o pensiamo di poter vivere sulle ceneri di tutto questo?”
Una nuova, spaventosa ondata di calore sta per abbattersi nel Pacifico del sud, e di conseguenza sui coralli. Si tratta dell’ennesimo Niño, e il team di Jeff Orlowski, regista già premiato per il suo precedente lavoro, Chasing Ice, che gli ha meritato una nomination all’Oscar, si appresta a filmare sott’acqua la morte in diretta. L’intenzione è quella di piazzare delle fotocamere in time-lapse in grado di documentare la catastrofe.
Ho già un brivido. So cosa significa veder morire un reef. La morte imminente dei coralli si presentava in maniera subdola, con uno spettacolare sbiancamento. Chi non lo sa guarda un reef candido come la neve e dice: wow, che figata! È bene o è male? In realtà non sa che quel corallo è andato in panico. Ancora più subdole erano le risposte ai primi casi di sbiancamento osservati. Si pensava a una malattia. Ma dopo innumerevoli prove di laboratorio la conclusione era univoca: una temperatura dai 30° in su provocava lo sbiancamento.
Negli ultimi 30 anni abbiamo perso il 30% dei reef. Tra meno di cinquanta li perderemo tutti. Testimoniare questa morte, per chi ama il mare, o vive di mare, è devastante. Quando vedi un’alga lanuginosa sul corallo, quello è il segnale che il reef è morto. E un reef moto è uno spettacolo triste, orribile. Dove c’era vita e colore e piccole creature, c’è alga e grigiore. I pesci simbionti spariscono, restano solo alcuni erbivori. Il paesaggio diventa prima grigio, poi marroncino. La visibilità precipita per colpa dell’alga. Un requiem gigantesco, migliaia di chilometri di requiem. Il Great Barrier Reef australiano è la struttura vivente più grande del pianeta. Purtroppo ne abbiamo già perso irrimediabilmente (nulla ricrescerà sulle sue rovine) più del 50%.
Se un corallo muore è solo colpa tua… dice Zackery Rago, biologo evoluzionista e allevatore di coralli. Lui è uno di quelli che si sono fatti decine di immersioni al giorno per poter documentare questa perdita spaventosa. Accaduta in soli quattro mesi. Ma un film non può finire con un requiem. Io non so chi abbia scritto questa regola, ma a quanto apre se non finisce con qualche speranza non ti considerano neanche il soggetto. La regola non scritta dice che non puoi far uscire dalle sale spettatori disperati: devi dare delle soluzioni. E allora il film finisce con i bambini. I bambini sono curiosi, sono tutti dei piccoli scienziati. Abbiamo ancora una possibilità? Proprio una manciata di ore fa un mio lettore scrive sul blog del mio nuovo libro, che con il film ha in comune parecchi spunti, una bella parafrasi di un oroscopo di Brezsny:
“Saresti pronto a cambiare te stesso e le tue abitudini per salvare il mare?”
Il film era del 2016. Nel 2017 gli scienziati hanno annunciato che non c’è più niente da fare. Era già difficile prima, quando tutti i paesi s’erano accordati per limitare le emissioni, cioè con i buoi già scappati… Era già tardi allora e le misure erano già insufficienti. Oggi che lo scetticismo arriva ad occupare la Casa Bianca, beh rassegniamoci: non c’è più nessuna speranza di rivedere le barrire coralline come le abbiamo viste, come le ricordiamo, come le abbiamo fotografate. Dobbiamo concentrarci sui coralli in grado di sopravvivere, dicono gli scienziati. Sì, quell’impareggiabile bellezza della quale sono testimone innamorato e beneficiario non ci sarà più. Se resisterà sarà una bellezza diversa, niente di ciò che conosciamo. Come del resto il pianeta intero.
Per approfondire:
- http://www.latimes.com/entertainment/movies/la-et-mn-chasing-coral-movie-20170714-story.html
- https://www.chasingcoral.com
- http://iosonoilmare.blogspot.com/search/label/commenti
- https://www.sundance.org/projects/chasing-coral
- http://news.nationalgeographic.com/2017/06/coral-reef-bleaching-global-warming-unesco-sites/
- http://voices.nationalgeographic.com/author/rvevers/
aggiornamento:
Lo straordinario film CHASING CORAL di Jeff Orlowski a EUDI 2018
Lo straordinario film CHASING CORAL di Jeff Orlowski a EUDI 2018
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Claudio Di Manao
In una tipica mattinata caraibica dei primi anni '90 l’ex consulente finanziario ed immobiliare Claudio Di Manao, tra ventagli di mare blu, barracuda ed altri pescetti colorati rinasce alla subacquea. Non solo decide subito di ricominciare ad immergersi: vuole diventare istruttore, il che gli sembra un'ottima scusa per esercitare professionalmente la sua attività preferita: il vagabondaggio in paesi caldi. Dopo anni di ‘divemasterato’ in Scozia, Inghilterra, Messico e Caraibi diventa istruttore nel 1996 a Grand Cayman. Per una serie di motivi che non è mai stato in grado di spiegare, Claudio Di Manao si reca a Sharm el Sheikh, in Egitto e ci resta per ben undici anni. L'ambiente surreale di Sharm el Sheikh gli suggerisce di scrivere 'Figli di Una Shamandura', il suo primo libro che diventa un Cult. Ovviamente non l’avrebbe mai immaginato. Gli viene offerto di collaborare con importanti portali come GoRedSea. Inizia a lavorare come free-lance e non solo nella subacquea. Nel 2008 realizza Tra Cielo e Mare, rubrica per la Radio Svizzera e viene invitato a scrivere testi e sceneggiature di documentari. In questo campione della sua carriera, cioè adesso, collabora regolarmente con: AlertDiver , il magazine del DAN, Diver Alert Network, con il Corriere del Ticino, quotidiano svizzero di Lingua Italiana e con ScubaZone, il magazine subacqueo in Italiano più letto e più scaricato nella storia della subacquea e, come potete constatare, con imperialbulldog.com.
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