il mare tra 10 anni

Pesce pagliaccio – Mar Rosso
Era il 1978 quando nelle desolate altitudini andine il glaciologo Lonnie Thompson e altri scienziati scoprivano i primi segni di un disastro imminente. Ci vollero quasi 30 anni. Nel 2006 Thompson era tra i protagonisti di ‘Una Scomoda Verità’, il documentario prodotto da Al Gore sul cambiamento climatico e le sue vere cause.
Tutto il pianeta stava già dando dei segnali preoccupanti. Solo un anno prima, nel 2005 dei sottomarini della Marina di Sua Maestà Britannica (non un gruppo di ‘faziosi’ ambientalisti) avevano registrato il primo consistente rallentamento della Corrente del Golfo. Oggi sappiamo con certezza che quel rallentamento è dovuto allo scioglimento della calotta polare. Nello stesso anno si verificò il primo sbiancamento di massa dei coralli nei Caraibi, e nel 2007 ci si chiedeva già se i coralli del nostro pianeta sarebbero sopravvissuti fino alla fine del secolo. Nel 2008 uno studio dell’Università di Honolulu confermava una inquietante sinergia tra CO2 e riscaldamento globale. La prospettiva era una graduale, inesorabile distruzione di quelle specie coralline che costituivano la struttura delle barriere: i così detti reef builders.
In quegli anni usciva Climate Change 2007: ‘Impatto, adattamento e vulnerabilità’, il più grande e comprensivo studio sul cambiamento climatico condotto dallo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e la World Meteorological Organization, per lo United Nations Environment Programme.
Da allora sono passati dieci anni, durante i quali la più grande opera della natura sul nostro pianeta, il Great Barrier Reef, ha perduto il 30% dei suoi coralli ed è danneggiata irreparabilmente per il 50%. Dal 2007 abbiamo perso globalmente almeno 20% dei coralli e gran parte della fauna che ruota intorno a quel complesso sistema. Malgrado gli allarmi FAO e UN sulla pesca eccessiva abbiamo continuato ad intaccare in modo significativo lo stock ittico planetario. La produzione globale di CO2 e altri gas serra è aumentata. In sostanza, non abbiamo fatto niente per impedire il disastro.
“Malgrado la gravità e l’urgenza di quelle scoperte, l’allarme degli scienziati cadde nel vuoto per anni”scrive Sciencenews
Uno dei problemi è che le previsioni scientifiche sono quasi tutti su scale temporali di 50 o 100 anni, scale inadeguate ad attirare l’attenzione degli esseri umani e dei politici, abituati a fare i conti con l’immediato. Inoltre la correttezza, la cautela ed il rigore degli scienziati hanno spesso lasciato spazio alla diffusione di notizie false, di studi pilotati, di risultati di ricerche finanziate da chi aveva ben altri interessi. Di questo avviso è James Hansen, un astrofisico e climatologo americano che ha denunciato il Governo Federale degli Stati Uniti per il riscaldamento globale. Hansen è perfettamente consapevole che uno dei problemi sta nella corretta percezione del pericolo: se la grande inerzia del sistema climatico, del quale fanno parte gli oceani, da un lato ritarda le risposte evidenti alle nostre azioni, dall’altro accumula silenziosamente un potenziale molto pericoloso, sempre più pericoloso.
Gli scienziati dovrebbero uscire dai loro schemi ‘politically correct’ e usare parole dure, concrete, sostiene Hansen.
Come sarà il mare tra dieci anni? Beh, per rispondere a questa domanda dovremmo dimenticare per un po’ il rigore degli scienziati, e dovremmo usare l’immaginazione sulle basi da loro fornite. Senza sforzarci troppo potremmo dire che il degrado delle barriere coralline raddoppierà. Molto probabilmente sparirà l’80% coralli nella fascia equatoriale, dove le acque sono più calde, soprattutto nelle soggette al fenomeno del Niño. In supericie ci sarà difficile percorrere meno di un miglio nautico in qualunque mare senza incontrare un gran numero di relitti di plastica. Possiamo immaginare che il pesce scarseggerà tanto da diventare un bene ancora più prezioso. Potrebbero facilmente sparire o venire ridotte al lumicino alcune specie di cernie, il nasello, il branzino e il tonno rosso. Possiamo immaginare che le flotte da pesca industriali continueranno ad avere gli stessi introiti ma forse con meno sforzo, proprio grazie all’aumento del prezzo del pesce, e grazie anche ai droni e alla tecnologia satellitare che migliora giorno dopo giorno le sue capacità di individuare banchi di pesce dall’alto.
In compenso cresceranno gli allevamenti ittici e la tecnologia che li sostiene, aumenterà considerevolmente il consumo alimentare umano di alghe e di meduse. Forse finalmente (per qualcuno) si aprirà un passaggio a Nordovest per via dello scioglimento di ghiacci, così in barba alla moratoria internazionale petroliere e piattaforme di trivellazione potranno finalmente estrarre e trasportare altro petrolio avanti e indietro per l’artico durante tutto l’anno, senza quella grossa rottura di balle dei ghiacci. Vorrei illudermi che i coralli non scompariranno del tutto. Ma in certe zone alcune specie spariranno completamente. Sotto la superficie il mare tra dieci anni non sarà come quello che vediamo oggi.
Sarà ancora blu, ma più spesso verde. Dipenderà dalle zone e dal fitoplancton. No, il mare, non morirà. Batteri, alghe e meduse sono già pronti a prendere il sopravvento, lo stanno già facendo sotto i nostri occhi costernati. Siamo davanti all’ennesima estinzione di massa. Qualunque sia la nostra data di nascita quel che vedremo sotto la sua superficie non sarà come l’abbiamo visto nella nostra infanzia. Dove c’era (e c’è ancora) colore troveremo probabilmente alghe. Sopravvivranno le specie erbivore,come i pesci pappagallo, ma inizieranno sparire le specie simbiotiche dei coralli, come per esempio i pesci pagliaccio, i celebratissimi ‘Nemo’ disneyani, tanto per nominare una specie che conoscono tutti, gli anthias, e le cernie dei coralli. Un’altra preoccupazione è legata all’erosione delle barriere già morte che già iniziano a cedere, a traformarsi in sabbia, favorendo l’erosione di immensi tratti di costa. Il 25% delle specie marine, quelle che passano l’infanzia nell’ambiente protetto delle barriere si troverà per la metà senza una casa.
Speranze. Gli scienziati hanno scoperto alcuni coralli resistenti al riscaldamento globale. Questa sembra una buona notizia. Si potrebbe ripartire da alcune specie resistenti per poter studiare come salvare le barriere. Un’altra buona notizia è che ormai mangiamo più pesce d’allevamento che di cattura, che le alghe si sono dimostrate una fonte sostenibile di Omega3, e che stanno piano piano entrando nella dieta mondiale. Sicuramente dovremmo ridurre drasticamente il consumo di pesce selvatico, di plastica e le emissioni. Ma la cosa più urgente resta cercare di mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2 C°, anche se molti scienziati confutano questo limite al ribasso.
Dobbiamo però fare i conti con una umanità che preferisce farsi terrorizzare dagli asteroidi piuttosto che dalle news sull’ambiente, che preferisce vivere in città piuttosto che a contatto con la natura, che ha saputo rinunciare al nucleare ma non al petrolio, e che tutto sommato è impotente davanti a un packaging inesorabilmente di plastica, davanti a dati discordanti di studi ambientali spesso ad hoc, commissionati dalle multinazionali della pesca e dei combustibili fossili. Dobbiamo fare i conti con una umanità sempre peggio informata proprio per via dei social media, della ridondanza delle notizie, per lo più non verificabili. Nessuno, però, può permettersi di perdere ancora tempo. Eppure ne abbiamo avuto tantissimo, di tempo.
Ricordo come fosse adesso quando lessi dell’effetto serra per la prima volta, alle elementari. Era, pensate un po’, menzionato dal sussidiario. Era ben prima del 1978, e la crisi con l’OPEC era appena sotto l’orizzonte.
Fonti e approfondimenti:
https://www.sciencenews.org/article/changing-climate-10-years-after-inconvenient-truth
https://it.wikipedia.org/wiki/Una_scomoda_verit%C3%A0
http://edition.cnn.com/2005/TECH/science/05/10/gulfstream/index.html
https://www.theguardian.com/environment/2005/dec/01/science.climatechange
https://phys.org/news/2017-06-climate-gulf-stream.html
http://www.pnas.org/content/104/13/5259.full.pdf
http://www.pnas.org/content/105/45/17442.short
https://www.ipcc.ch/pdf/assessment-report/ar4/wg2/ar4_wg2_full_report.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/James_Hansen
https://www.ipcc.ch/publications_and_data/ar4/wg2/en/xccsc2-2-3.html
https://www.nature.com/articles/srep44586
https://www.sciencedaily.com/releases/2017/05/170502112528.htm
Lascia un commento