Quando il cambiamento climatico viene negato

Gli effetti dell’uragano Harvey in Texas

Negli ultimi anni si sono periodicamente ripetuti eventi meteo estremi che non si possono più considerare contingenti. Ondate di calore in Europa, Asia e Australia; piogge capaci di devastare interi territori, o ancora maree distruttive con livelli in continuo aumento dal 1975.

Il riscaldamento globale sta variando la statistica degli eventi estremi e la tendenza sembra portare verso un pericoloso aumento della loro frequenza. I dati raccolti tra il 1980 e il 2010 evidenziano che le temperature massime o le piogge più intense si concentrano nel decennio 2001-2010.

Cosa ci dobbiamo aspettare nel futuro prossimo? Sicuramente un maggiore rischio di alluvioni lampo, più inondazioni costiere e maggiore erosione. Uno scenario inevitabile se non si realizzeranno opere di difesa del territorio, soprattutto in zone eccessivamente urbanizzate e cementificate.

Gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) non usano più il condizionale ma l’imperativo quando parlano degli impatti del cambiamento climatico sulla società. “Aumenterà il rischio già esistente e nasceranno nuovi rischi da non sottovalutare. I pericoli non saranno distribuiti in modo uniforme, ma colpiranno persone e comunità più vulnerabili, in ogni paese e a qualsiasi livello di sviluppo”. Dati impressionanti sono stati pubblicati nel giugno 2014 dal WMO con “The Atlas of Mortality and Economic Losses from Weather, Climate and Water Extremes 1970-2012”. Dal 1970 al 2012 ci sono stati 8835 disastri, con 1,94 milioni di morti ed una perdita economica pari a 2.000 miliardi di euro a causa di siccità, temperature estreme, alluvioni, cicloni tropicali e problemi sanitari correlati. Prevenzione, mitigazione e adattamento, con adeguati sistemi di allerta, sono le uniche politiche possibili, in grado di arginare queste calamità e limitare il numero delle vittime.

In barba ad ogni evidenza il presidente Donald Trump prosegue nel suo intento di svincolarsi dagli accordi di Parigi e, come nelle peggiori dittature, fa recapitare alla direttrice del dipartimento per la salute del suolo, Bianca Moebius-Clune, l’elenco dei termini da evitare nelle pubblicazioni ufficiali. Le parole “cambiamento climatico” devono essere sostituite con “situazioni meteorologiche estreme” e “adattamento ai cambiamenti climatici” da “adattamento agli eventi atmosferici”.

Nonostante che da ogni parte del pianeta emergano studi che non solo confermano l’origine antropica di tale cambiamento del clima ma che tracciano una situazione più grave di quanto immaginato, Trump e i suoi fedelissimi difendono la tesi delle cause naturali, senza alcuna giustificazione scientifica.

Infatti, il riscaldamento globale temporaneo causato da El Niño è terminato già un anno fa ma il clima, anche nel 2017, si sta rivelando incredibilmente caldo. Secondo la National Oceanic and atmospheric administration Usa (NOAA), la prima metà del 2017 è stato il semestre più caldo dopo quello del 2016 (con temperature, quelle sì, esacerbate da El Niño).

Solo pochi giorni fa la Banca asiatica per lo sviluppo ha pubblicato un rapporto dal titolo “A Region at Risk: the Human Dimensions of Climate Change in Asia and the Pacific” nel quale si prevede che, per i paesi asiatici e per quelli che si affacciano sul Pacifico, gli effetti dovuti al riscaldamento globale saranno devastanti: il numero di persone costrette ad abbandonare le loro case potrebbe raggiungere la cifra impressionate di un miliardo. Le temperature cresceranno di ben 6 gradi Celsius entro il 2100 e questi aumenti avranno conseguenze sui sistemi meteorologici e sulla biodiversità, quindi sull’agricoltura sulla pesca e sul commercio.

“Increasing risk over time of weather-related hazards to the European population” è uno studio che prevede da 2700 a 151.500 decessi l’anno solo per le ondate di calore. Il problema riguarderà soprattutto il Sud dell’Europa, dove già entro fine secolo sono attesi 700 decessi l’anno per milione di abitanti. L’Italia, ovviamente, è tra i paesi più a rischio.

I cambiamenti climatici non saranno il solo problema per i paesi europei. Proprio a causa dell’innalzamento delle temperature, il numero dei profughi ambientali crescerà in modo insostenibile e anche paesi ricchi e ben organizzati come la Germania potrebbero non essere in grado di far fronte ai flussi migratori.

Problemi di dimensioni mai viste ma che, evidentemente, non interessano molto a chi lo scorso anno ha basato la propria campagna elettorale sulle promesse alle imprese del petrolio e del carbone. Per convincere Trump e la sua amministrazione basterà la scia di morti e devastazione lasciata dagli uragani Harvey e Irma?

Normalmente la stagione degli uragani nell’Atlantico si svolge tra il primo giugno e il 30 novembre e produce 12 tempeste tropicali, di cui 6 raggiungono la forza dell’uragano (con venti che viaggiano oltre i 73 km/h). Quest’anno si sono già verificate 11 tempeste, tra cui sei uragani. La NOAA ha previsto per l’anno in corso almeno altre 7 tempeste e, probabilmente, altri 3 uragani. Un record è stato già battuto; Irma è l’uragano più violento con venti che hanno raggiunto la velocità di 300 km/h.

Anche se ogni uragano ha una storia unica e le cause della sua nascita sono da ricercare in diversi fattori, le aumentate temperature superficiali dell’acqua oceanica contribuiscono alla violenza del fenomeno mentre, la temperatura atmosferica maggiore è la principale ragione dell’inusuale portata delle piogge.

Tuttavia, è chiaro che le vite e i mezzi di sussistenza di milioni di americani saranno a rischio se Trump e la sua amministrazione continueranno a negare l’esistenza del cambiamento climatico. Ironia vuole che pochi giorni prima che l’uragano Harvey si formasse nell’Atlantico, Trump ha firmato un ordine esecutivo per rovesciare una politica, introdotta da Barack Obama, in aiuto alle comunità americane e alle imprese per migliorare la loro capacità di resilienza alle inondazioni.

I costi di tale miopia li stanno pagando i cittadini americani (costretti a pagare un volo da Miami anche $30.000), le imprese che hanno dovuto bloccare la loro attività, per non parlare dei costi di ricostruzione post-uragano.

Moody’s calcola che i danni provocati dagli uragani Harvey e Irma potrebbero ammontare dai 150 ai 200 miliardi di dollari e stima una perdita economica per 20-30 miliardi. Per questo motivo l’agenzia di rating ha tagliato di mezzo punto percentuale le stime di crescita del terzo trimestre del Pil statunitense.

I fattori cruciali nel determinare l’impatto economico dei due uragani sono legati alla velocità con cui il settore della raffinazione a Houston e quello del turismo in Florida si riprenderanno. La fase di recupero è anche il momento opportuno per parlare di come ricostruire le città e di quali modelli di sviluppo seguire, spiega Sandra Knight ingegnere e ricercatrice a Houston.

Dopo Katrina, New Orleans ha la barriera alluvionale più grande del mondo e sette infrastrutture verdi, dei grandi parchi in grado di assorbire l’acqua delle alluvioni. La città ha in programma di spendere altri 220 milioni di dollari in aree simili.

Certo la resistenza del governo federale non sarà d’aiuto né per guidare le delicate fasi di ricostruzione né per la messa a disposizione dei fondi necessari.

Se gli abitanti degli Stati Uniti sono obbligati a scontrarsi contro il muro di gomma del negazionismo trumpiano noi italiani siamo spettatori inermi di un’Italia che si allaga e frana nonostante i soldi siano stati stanziati dall’Europa e, a parole, il governo si dichiari impegnato nella sua missione contro il dissesto idrogeologico.

Automobili sepolte dall’acqua a Livorno

A leggere i dati forniti dalla presidenza del consiglio, avremmo a disposizione 7,7 miliardi da spendere entro il 2023 per fare tutti quei lavori che avrebbero evitato le stragi dei nubifragi passati e forse anche quella di Livorno. Poi, però, andando a vedere cosa è stato realmente impiegato nel territorio ci si rende conto che ne sono stati spesi solo 114 milioni, meno dell’1,5% messo a disposizione dall’UE.

Finora il denaro utilizzato è stato trasferito dallo Stato alle Regioni ed è servito ad aprire alcuni cantieri nelle città metropolitane (Genova e Firenze tra le altre) ma, sfogliando gli 8.926 interventi segnalati dalle Regioni come “necessari e prioritari” quando fu lanciato il Piano Italiasicura, si nota che pochissimi sono corredati di un progetto esecutivo e, quando il progetto c’è, è bloccato dalla solita, italica burocrazia.

I cambiamenti climatici sono in corso e le tragiche conseguenze sono già sotto gli occhi di tutti. È possibile che l’ipocrisia dell’uomo sia tale da mettere a repentaglio milioni di vite piuttosto che riconoscere che ci troviamo di fronte alla più grande emergenza di tutti i tempi?

Per approfondire:

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