Come le lobby della pesca hanno hackerato il mare e la sua immagine a discapito delle AMP

Parco di Ras Mohammed, Sinai
Nel 2009 Daniel Pauly scriveva in un articolo divenuto un manifesto che i nostri oceani erano vittime di una truffa:
“Un gigantesco schema Ponzi, perpetrato con l’insensibilità di un Bernie Madoff da parte delle industrie ittiche del mondo.”
A usare questi termini non era un attivista pronto ad incatenarsi ad una baleniera, ma uno dei più autorevoli ecologi marini del mondo sul prestigioso magazine ‘New Republic’. L’intera industria è fallimentare e sotto ipoteca da anni, afferma il dott. Daniel Pauly, ma sono il mare ed i contribuenti a pagarne gli interessi. Se questo schema è ancora in essere (lo schema Ponzi prevede che i dividendi vengano coperti non con le rendite finanziarie ma con i denari dei nuovi investitori) lo dobbiamo alle lobby della pesca che hanno ottenuto il monopolio della ricerca sul mare e continuano a influenzare l’informazione, più o meno come hanno fatto – e continuano a farlo – i signori del petrolio, con la compiacenza dei governi.
La prima volta che venni a contatto con questa ambigua realtà fu nel 1999, quando Franz, un amico ricercatore e guida subacquea mi mostrò degli studi su alcune specie marine custoditi nella biblioteca del Parco di Ras Mohammed, la prima e più importante area marina protetta in Egitto. Malgrado l’area fosse una delle più grandi attrazioni turistiche del mondo, con Sharm el Sheikh che si affaccia sulle sue acque, la maggior parte degli studi presenti in archivio erano stati condotti non da biologi o ecologi, ma da ricercatori delle varie facoltà di ittiologia. Sappiamo pochissimo sulle specie economicamente trascurabili, molto di più su quelle che occupano le celle frigorifere di supermercati e di grandi navi da pesca. Scoprii così da dove provengono la maggior parte dei finanziamenti destinati alla ricerca sul mare. Pochi però immaginano che quei soldi sono in realtà i nostri.
Ogni anno i governi erogano quasi $ 30 miliardi di sussidi – circa un terzo del valore della cattura globale – per mantenere le attività di pesca, anche se hanno sovra-sfruttato la loro base di risorse. Non solo: il 60% di questi aiuti è destinato a pratiche distruttive, come l’aumento delle catture e sconti sui carburanti, che da soli costituiscono il 15 – 30% del totale dei finanziamenti. Pratiche che secondo una stima della Banca Mondiale hanno prodotto 82 miliardi di dollari di danni al mare.
Tutto questo avviene in un pianeta dove le aree marine protette costituiscono un miserrimo 3% degli oceani e gli stanziamenti per istituirne di nuove non raggiungono la metà delle cifre devolute alla pesca. Lo sanno bene gli esperti di Governance Globale, come Dario Piselli che con le loro relazioni hanno indotto l’Unione Europea e gli stati presenti alla conferenza Our Ocean, tenutasi a Malta lo scorso ottobre, a invertire la rotta.
Ma questa situazione, afferma Daniel Pauly, è ormai distopica. Cosa ha fatto l’informazione?
L’opinione diffusa, tra gli editori in cerca di utili e non, è che l’ambiente non renda. La maggior parte dei magazine e dei quotidiani ritiene questo tipo di informazione un costo, e per cercare di renderla sostenibile ricorre alla tipica risorsa della ‘new economy’: gli sponsor. Il risultato è che tante, troppe rubriche sul mare si contendono (o condividono) lo spazio con la pesca sportiva o tradizionale. Chiunque abbia lavorato nell’informazione sull’ambiente marino ha dovuto lottare per raggiungere l’audience desiderata. Capita che i redattori si taglino autonomamente i compensi perché l’unico sponsor compatibile con quel tipo d’informazione non ce la fa a sostenere la pagina, e spesso l’alternativa è vedere una rubrica sull’ambiente tramutarsi in un’altra, una rubrica pseudo ambientalista sponsorizzata da caccia e pesca, sponsor che non hanno mai problemi di soldi. Se il binomio mare-pesca è ancora oggi ben radicalizzato nell’immaginario collettivo lo dobbiamo anche a un concerto mediatico che alimenta questa percezione.
Se tutti conosciamo benissimo l’ingannevole binomio cacciatore-ambientalista e l’abbiamo guardato con sospetto, il binomio pescatore-mare è qualcosa che invece abbiamo assimilato. L’industria ittica mettendoci davanti le bellissime facce grinzose dei pescatori nostrani continua a fornirci un’immagine che rispecchia solo piccole realtà tradizionali locali, di pesca sostenibile e in simbiosi con le AMP. Il quadro globale è altra cosa. Quello che succede in pieno oceano a bordo di navi da pesca fuori controllo ma capaci di catturare in un anno quello che prende una nazione insulare come Fiji, è fuori dalla nostra immaginazione e dalle telecamere. Storie di schiavitù, di marinai Rohingya gettati a mare da barconi da pesca tailandesi. Dove nessuno vede e controlla può accadere tutto l’immaginabile.
Prendiamo l’atteggiamento di molti nutrizionisti sugli Omega 3-6. Una volta sterminati i merluzzi, dai quali si estraeva il famoso olio di fegato ricco del principio attivo, le flotte si sono gettate sul krill, gamberetti delle zone artiche che costituiscono la biomassa più importante dello zooplancton, alimento alla base della rete alimentare marina.
Oggi la maggior parte delle pastiglie di Omega3-6 in commercio provengono dal krill, quando il principio attivo viene estratto con successo anche dall’alga. Ma la potente macchina del marketing continua a farci credere che solo gli animali siano l’origine di questi magnifici antiossidanti, infarcendo di poesia le spedizioni in mari glaciali alla ricerca di creature miracolose, mentre con il krill l’industria ittica mostra la stessa lungimiranza e la stessa sensibilità dei coltivatori che bruciano l’amazzonia, con milioni di ettari in fumo, habitat e cibo strappati all’ecosistema naturale. Per ottenere raccolti effimeri.
L’obiettivo mondiale – ed europeo – è quello di destinare almeno il 10% delle acque mondiali alle Aree Marine Protette entro il 2020. È stato ipotizzato che se si rinunciasse al 2,5% della spesa militare globalmente potremmo proteggere definitivamente i nostri oceani, ma è una soluzione destinata a rimanere solo un suggerimento, al massimo uno spunto di riflessione su come vengono spesi i soldi nel mondo. Allo stesso tempo trattare questioni di ambiente marino negando la pesca è altrettanto utopico. Sarebbe come prescindere dall’economia liberale quando si parla di economia. Gruppi ambientalisti come Seashepherd sono a favore della pesca artigianale. Hanno due buoni motivi: sanno quanto sia utopico e destabilizzante chiedere di smettere di pescare del tutto, sanno che proprio in chi conduce una pesca sostenibile possono trovare degli alleati contro la devastazione dei mari.
Nella stessa ottica l’Unione Europea erogherà 6,4 miliardi di Euro come sussidio alla pesca sostenibile (avete letto bene, 6,4 miliardi) con una serie di ottime intenzioni. Nelle intenzioni viene tenuto conto della distruttività della pesca intensiva, si favoriscono pescherecci di piccolo tonnellaggio e le aziende che vogliono riconvertire la flotta ad attività meno dannose e sostenibili. Il piano sull’acquacoltura anche rispecchia la volontà di incentivare gli allevamenti di specie erbivore, meno remunerative ma più sostenibili degli allevamenti di specie carnivore. Infatti gli allevamenti di specie carnivore rischiano di alimentare il debito, cioè lo ‘schema Ponzi’ di cui parla il dott. Daniel Pauly spostando il saccheggio su specie meno remunerative. Tante buone intenzioni che però rischiano di rimanere tali. Se a livello di commissioni vince la visione di esperti di global governance, quando si tratta di legiferare nello specifico o sul territorio vincono le lobby. Il parlamento UE ha da poco approvato la pesca elettrica. Un tipo di pesca devastante. Si basa sul generare convulsioni nei pesci esponendoli a un campo elettrico, per poi raccoglierli con reti a strascico mentre si alzano dal fondo del mare. A favore di questa scelta? Il risparmio di carburante da parte delle flotte e la ricerca scientifica su questo tipo di pesca, che in Olanda va avanti da almeno dieci anni. Illuminante, ed utile, è l’articolo pubblicato da greenreport:
Il 21 novembre un gruppo di europarlamentari Marco Affronte, Yannick Jadot, Karima Delli, Pascal Durand, Anja Hazekamp e Nathalie Griesbeck dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa hanno presentato in Commissione pesca del Parlamento europeo oltre 84.000 firme contro la pesca elettrica.
Ma lo stesso giorno, in sole due ore, i 27 eurodeputati * della Commissione pesca hanno votato i 750 emendamenti a favore. Bloom è una ONG che si batte contro i sistemi di pesca distruttiva e che continua a raccogliere firme. Secondo Claire Nouvian, la presidente, “27 eurodeputati hanno accettato il rullo compressore del lobbying industriale”. *(vedi aggiornamento in fondo all’articolo e commenti)
Se per sostenere la pesca l’Unione Europea stanzia 6,5 miliardi di Euro, gli oneri delle AMP, la loro gestione e controllo, ricadono sostanzialmente sui governi locali. Se la pesca riguarda tutta la UE, la protezione dei mari con la istituzione di AMP riguarda solo i paesi che si affacciano sul mare. A livello locale piccoli gruppi di pressione di pescatori sportivi che si oppongono all’istituzione delle AMP riescono ad influenzare sindaci e opinione pubblica anche con una forza limitata.
Sono cresciuto vedendo canne e fucili da pesca nello stesso negozio dove si vendevano attrezzature subacquee. Erano tempi poco sospetti, era normale. Col tempo le due attività, e così gli articoli presenti nei negozi, hanno iniziato a separarsi. C’erano negozi per chi in mare andava a prendere e per chi andava solo a guardare: al posto delle canne da pesca e dei fucili vedevi spuntare custodie e scafandri per le videocamere o per le macchine fotografiche. Ma ultimamente ho notato un’inversione di rotta. Chi guarda e basta fatica a campare. Esattamente come le rubriche ambientaliste.
*Dei 27 eurodeputati 5 hanno votato contro, e la votazione deve ancora passare la plenaria – vedi commento di Marco Affronte.
- Per approfondire:
- https://newrepublic.com/article/69712/aquacalypse-now
- https://en.wikipedia.org/wiki/Daniel_Pauly
- https://www.wwf.ch/it/vivere-sostenibile/guida-pesci-e-frutti-di-mare
- http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2015/05/29/news/l_odissea_dei_rohingya_gli_schiavi_dei_barconi_scappati_da_fame_e_violenze_etniche-115531471/
- https://www.ourocean2017.org/
- http://www.bloomassociation.org/en/
- https://www.greenme.it/mangiare/vegetariano-a-vegano/1483-non-solo-pesce-le-5-fonti-vegetali-di-omega-3
- http://www.seashepherd.it/news-and-media/tre-pescherecci-fermati-in-unoperazione-sotto-copertura-attuata-da-sea-shepherd-global-e-dal-ministero-liberiano-della-difesa-per-fermare-la-pesca-illegale.html
- https://dariopiselli.com/tag/sussidi-alla-pesca/
- http://www.marcoaffronte.it/
- http://www.protectplanetocean.org/official_mpa_map
- http://www.europarl.europa.eu/ftu/pdf/it/FTU_5.3.4.pdf
- http://www.greenreport.it/pesca-e-allevamenti/commissione-pesca-ue-via-libera-alla-pesca-elettrica-bloom-disastroso-mantenere-divieto-ue-video/
Articolo molto bello e che contiene tante verità. Un paio di precisazioni. Non tutti i 27 membri della Commissione Pesca hanno votato a favore della proposta che contiene, fra le altre cose, anche gli emendamenti sulla pesca elettrica (pulse trawling). 5 hanno votato contro, e cioè i tre deputati Verdi (tra i quali anche io) e i due deputati inglesi dell’Ukip (ma loro votano contro a prescindere e su qualunque cosa). La’ltra precisazione è che non possiamo ancora dire, per fortuna, che “Il parlamento UE ha da poco approvato la pesca elettrica”. Il file, infatti, deve ancora passare per la plenaria (a febbraio, credo) e lì le cose possono cambiare. Noi ci proviamo.
Grazie per avere aggiunto le sue precisazioni. Molto utili. Come utile, prezioso e incredibilmente necessario il suo intervento in sede legislativa.
Salve Marco!
Grazie per il commento e le precisazioni. Ho provato ad aggiungere una postilla all’articolo ma a quanto pare il programma di web editing non mi consente rettifiche.
Mi ero basato su articoli trovati in rete (greenreport soprattutto) lei i conferma che avere notizie di prima mano dagli addetti ai lavori è un privilegio. Ho visto il suo video sull’Italia zero in pagella al meeting Our Ocean. Due settimane fa un’altra persona presente a Malta m’aveva appena accennato a qualcosa del genere. Purtroppo non c’è stato il tempo di approfondire l’argomento. Penso che varrebbe la pena farlo, perché voci e posizioni come la sua sono in linea con ciò che abbiamo più a cuore, meritano attenzione e sostegno. Ci siamo già incontrati qualche anno fa a Palazzo Isimbardi a Milano, ci’erano anche Boyer e Seashepherd. Ancora ricordo la tigre sul divano nella sua PPP.
Un piacere ritrovarla sul nostro webzine.
Grazie e buon lavoro
Claudio di Manao