La Cernia bruna regina dei fondali del Mediterraneo

© Linda Pitkin – Wild Wonders of Europe

Secondo il WWF la cernia bruna, Epinephelus marginatus, è la specie simbolo del Mediterraneo, più della foca monaca, più della tartaruga di mare Caretta caretta. Ma è anche un caso unico di sostenibilità; la cernia bruna è un pesce enormemente più redditizio da vivo che esposto su un letto di ghiaccio tritato. La sua cattura per un pescatore in apnea è, per stazza, bellezza e squisitezza delle carni, un gran bel trofeo. Ma ancora di più per chi l’ammira nel suo ambiente naturale. Le Aree marine protette (AMP) di Tavolara – Capo Coda Cavallo e di Portofino, hanno deciso di quantificare il valore ricreativo di questo magnifico pesce, un grosso predatore quasi mitologico che si impone allo sguardo.

Da adulta, ma si dovrebbe dire da adulto (il perché ve lo spieghiamo tra poco) può arrivare anche ad un metro e mezzo di lunghezza. Ha una corporatura molto robusta e una livrea color bronzo scuro, con alcune macule color sabbia. È una lontana parente di Nemo, il disneyano pesce pagliaccio. Ama gli anfratti e i fondali rocciosi. Si nutre di polpi, molluschi, crostacei e piccoli pesci. È stato dimostrato che nelle aree dove non viene cacciata non mostra eccessiva diffidenza nei confronti dell’essere umano e si fa avvicinare facilmente dai subacquei. Questo ovviamente espone la cernia bruna a un rischio maggiore davanti ai bracconieri. Tre sono le AMP dove è più facile avvistarle in Italia: Portofino, Tavolara, Ustica. Oppure a Lavezzi, tra la Sardegna e la Corsica, dove vengono nutrite dai subacquei.

© naturamediterraneo.com

Secondo la IUCN, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, la cernia bruna è una specie in pericolo. Uno dei motivi è il suo accrescimento lento, raggiunge la maturità sessuale a cinque anni. Un’altra causa è il depauperamento dell’habitat. Ma la minaccia più grave è la solita, l’uomo. Tra le varie attività di pesca, quella in apnea si è dimostrata la più dannosa per questa specie. La cattura di grossi esemplari ha comportato l’eliminazione sistematica dei maschi. Ad aggravare il problema è il fatto che le cernie sono transessuali. Scientificamente si parla di proteroginia, una forma di ermafroditismo per cui gli esemplari nascono con entrambi i gameti, ma fino a una certa età sono tutti femmine, poi in età adulta cambiano sesso. In alcune popolazioni il cambiamento di sesso tra le femmine avviene a seconda del numero di maschi. Togliere dei maschi da una popolazione già adulta porta a uno squilibrio che la natura non aveva previsto e al quale fatica ad adattarsi. La sua scomparsa sarebbe una perdita per la biodiversità, ma anche per le economie intorno alle AMP. Nelle aree marine protette di Portofino e di Tavolara genera un indotto turistico stimato in rispettivamente 7 e 14 milioni di euro l’anno. Anche a 35 euro al chilo, il prezzo massimo in pescheria, per arrivare a tali cifre bisognerebbe pescarne centinaia di tonnellate all’anno.

© Giorgio Dellarovere

I dati sono il risultato di un’accurata indagine. È stato chiesto ai subacquei quale fosse la specie che ritenevano più interessante da avvistare, quali fossero i luoghi d’immersione preferiti. La maggior parte ha messo la cernia bruna e i siti dove è facile avvistarla ai primi posti. Dall’analisi degli altri dati, tra cui costo delle immersioni, spese medie per il soggiorno e per gli alimenti, sono emerse le cifre riportate: milioni di euro. Arrivarci non è difficile, basti pensare che solo nell’area di Portofino s’immergono almeno 60.000 subacquei ogni anno. Sono numeri confortanti, che ci dimostrano quanto la pesca in mare, al contrario del turismo ecologico, diventi sempre meno sostenibile.

© Alberto Altomare

Una delle storie più toccanti raccontate dal compianto Enzo Maiorca, campione d’apnea e di umanità, riguarda proprio una cernia bruna: «Quella mattina mi accadde di arpionare una cernia. Una cernia robusta, combattiva. E allora dopo aver lottato, da sconfitto, ho cercato di rendermi conto di come fosse incastrata nella tana. A quel punto la cernia ha scagliato contro il palmo della mia mano il suo cuore, ed era un cuore che io ho sentito pulsare terrorizzato. E quella volta ho capito che fino ad allora mi ero comportato da barbaro sul fondo del mare. Io non dovevo sopravvivere con quella cernia, perché il mio mangiare in superficie ce l’avevo, era soltanto il gusto balordo di arrecare morte in un ambiente che io amavo e amo immensamente, il mare». Era il 1967. Da allora Enzo Maiorca abbandonò la pesca subacquea.

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