Gli indispensabili insetti impollinatori
Quali sono gli animali più importanti che vediamo in Primavera? La risposta è solo una: gli insetti impollinatori. Chiamati anche insetti pronubi, ovvero portatori di nozze, questi animali hanno un ruolo fondamentale nell’ecologia del mondo intero poiché sono responsabili dell’impollinazione di oltre l’80% delle piante selvatiche e, quindi, della loro sopravvivenza. Anche per le piante, la migliore forma di riproduzione è quella sessuata poiché garantisce loro una maggiore variabilità genetica; fecondare il fiore femminile della giusta specie, nel giusto periodo, con il polline della giusta pianta, non è facile, ancor meno se si tratta di individui incapaci di muoversi. Per superare tutti questi ostacoli, le piante hanno dovuto sviluppare una serie di strategie che sfruttano animali, vento o acqua; tra queste, come abbiamo detto, sono gli insetti pronubi ad essere usati maggiormente. Ora, visto che fare da piccoli corrieri del polline per assicurare la riproduzione sessuale delle piante a fiore (Angiosperme), non è un gesto altruista e disinteressato, dobbiamo aspettarci una sorta di ricompensa che motivi questi insetti. Assistiamo, quindi, ad un vero e proprio scambio di favori che in ecologia viene definito rapporto mutualistico, il tipo di relazione che in natura dà i migliori frutti, metaforicamente e, in questo caso, letteralmente parlando.
La maggior parte delle piante a fiore si assicura i servigi degli insetti offrendo loro i più gustosi nettari contenuti sul fondo dei fiori più belli, colorati, profumati e appariscenti mai visti in natura. Questa ricompensa tanto prelibata, però, è prodotta in piccole quantità in modo da non saziare gli insetti che, ormai ben sporchi di polline, si dovranno spostare su un altro fiore della stessa specie, per poter completare il pasto con il medesimo buon sapore.
Un altro tipo di ricompensa è quella che offrono alcune specie di orchidee la cui forma imita l’aspetto delle femmine dei pronubi che, invano, tentano di accoppiarvisi (una vera beffa) e, nel farlo, si ricoprono di polline utile a fecondare il successivo imbroglione. Il lungo e articolato processo di coevoluzione ha visto diverse specie di insetti e piante mutare in successione per meglio adattarsi l’una all’altra ed ha contribuito alla nascita di moltissime nuove forme vegetali ed animali. In alcuni casi, il grado di specializzazione ha raggiunto livelli così alti da rendere le due specie (pianta e insetto) specie-specifiche, ovvero reciprocamente indispensabili alla sopravvivenza per nutrimento o riproduzione. Profumi ed apparati di richiamo (o vessillari) dei fiori, quali forma, dimensione e colori, si sono quindi modificati di pari passo con gli apparati sensoriali e boccali degli insetti impollinatori, dando vita ad una vera e propria officina evolutiva che, nel tempo, ha creato le oltre 250.000 specie di Angiosperme oggi conosciute ed innumerevoli specie di insetti.
Le Angiosperme sono comparse sulla Terra circa 125 milioni di anni fa e, in pochi milioni di anni, si sono differenziati gli otto gruppi principali attualmente esistenti. Solo successivamente si verificò l’esplosione evolutiva che incrementò talmente il numero di specie da permettere una colonizzazione quasi totale delle terre emerse. Recenti studi, pubblicati sulla rivista scientifica PNAS, collegano questa importante radiazione evolutiva proprio allo stretto rapporto di coevoluzione tra le piante a fiore e gli animali impollinatori che, escluse poche eccezioni quali piccoli uccelli e pipistrelli nettarivori, sono costituiti essenzialmente da insetti pronubi.
Un gruppo di ricercatori della University of Florida e della Indiana University Southeast hanno analizzato i pollini fossili risalenti all’inizio del tardo Cretaceo (100 milioni di anni fa circa), evidenziando come il 76% di questi fosse già di tipo zoofilo, mentre solo un 26% presentava le caratteristiche tipiche di un polline anemocoro (trasportato dal vento). Al contrario di questi ultimi, piccoli e lisci, i granuli pollinici del primo tipo hanno grosse dimensioni, presentano una superficie ruvida che favorisce l’adesione all’animale e, infine, si trovano in gruppi a numerosità variabile che va dai 5 ai 100 granuli. Ciò che ne risulta, quindi, è che la diffusione pollinica per mezzo di insetti sia stata la condizione ancestrale più diffusa, la cui evoluzione anticipa di poco l’enorme radiazione adattativa che ha portato le piante a conquistare la Terra.
Ma chi sono questi insetti impollinatori tanto importanti?
A primeggiare è sicuramente l’ordine degli Imenotteri, cui appartengono le Api, seguito dai Lepidotteri che annovera Farfalle e Falene, e dagli altri ordini quali Ditteri (Mosche, Bombi, Sirfidi), Coleotteri e Ortotteri.
Insetti molto diversi tra loro, ma tutti accomunati da caratteristiche indispensabili allo scopo, ovvero un apparato boccale succhiante o lambente-succhiante che gli permetta di prelevare il nettare ed un corpo ben rivestito di setole per imbrigliare il polline. Maggiori specializzazioni si trovano, poi, nella grande famiglia delle Api che presentano arti posteriori modificati per raccogliere e trattenere il polline. Adattamenti del genere hanno permesso alle diverse specie di Api di conquistare il titolo di impollinatori più efficienti e, di conseguenza, i più famosi insetti pronubi nel nostro immaginario. È il caso dell’Ape domestica, Apis mellifera, ampiamente sfruttata dall’uomo per la sua capacità di produrre miele, pappa reale, propoli e cera, ma anche studiata in ecologia come vero e proprio bioindicatore nel monitoraggio ambientale. Apparentemente più vulnerabili di altre specie di impollinatori, le popolazioni di Api sono in drastico declino a causa delle variazioni ambientali da inquinamento e cambiamento climatico. Per fortuna giungono buone notizie dalla University of New England in Australia che, studiando 17 coltivazioni dipendenti da impollinatori nei 5 continenti, ci rivela l’importanza degli insetti non-api. Questi, oltre ad effettuare fra il 25 e il 50% del numero di visite totali ai fiori, si sono dimostrati interessati anche a coltivazioni normalmente snobbate dalle colleghe più conosciute. Diverse specie di mosche, vespe e coleotteri diventano quindi fondamentali per coprire, quantitativamente, il lavoro di qualità fatto da un minor numero di Api.
Questo vuole dire che la maggior parte delle piante, coltivate e non, sarà ancora impollinata, ma da insetti diversi dalle Api. Che ci importa? L’importante è che qualcuno lo faccia? Non esattamente…
I ricercatori dell’Università di Zurigo hanno dimostrato come un’alterazione nella composizione degli insetti impollinatori non si ripercuote solo sul funzionamento dell’ecosistema, ma anche sull’evoluzione delle caratteristiche dei vegetali, sistema di accoppiamento compreso. Per farlo hanno osservato l’evoluzione, in sole 9 generazioni, di tre gruppi di piante di Rapa (Brassica rapa) impollinate o da Bombi (Bombus terrestris), o da Sirfidi o manualmente dall’uomo.
Mentre le piante assistite dai Bombi hanno mantenuto grosse dimensioni, fiori profumati e dai colori accesi, quelle impollinate dai Sirfidi sono diventate piccole e dai fiori poco appariscenti, presentando anche una tendenza ad autoimpollinarsi che, sul lungo periodo, ne abbatterà la variabilità genetica (il potenziale adattativo che permette la sopravvivenza in caso di variazioni ambientali). Una così rapida evoluzione, in termini globali, si tradurrebbe in un drastico cambiamento delle caratteristiche delle piante, prima, e in una notevole riduzione del numero di specie vegetali (e animali), poi.
La netta diminuzione del numero di insetti impollinatori è un problema che, ormai, affligge il mondo intero da diversi anni. Attualmente sono tante le iniziative volte a trovare una soluzione a questo problema; si va dai progetti di monitoraggio europei (European red list of bees e Status and trends of European pollinators) e mondiali (Pollinators vital to our food supply under threat) alle leggi di restrizione che regolamentano l’uso di particolari pesticidi dannosi per i pronubi (classe dei neonicotinoidi). Ricerche prudenziali si portano avanti con studi e brevetti per creare impollinatori artificiali; tra questi ci sono i RoboBees dell’Università di Harvard e i micro-droni del National institute of advanced industrial science and technology (AIST) sviluppati in Giappone o dalla multinazionale statunitense Walmart.
Riusciranno questi robottini a visitare gli stessi 7000 fiori che visita un’Ape in un solo giorno?
Per approfondire:
- https://www.slowfood.com/sloweurope/wp-content/uploads/ITA_position_paper_api_PAC_b.pdf
- http://www.treccani.it/magazine/atlante/scienze/Api_a_rischio_estinzione.html
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