Il ‘Green Nobel’ alla donna che cambiò il volto della pesca in Europa

© twitter.com/hashtag/nouvian

Del Goldman Environmental Price, il ‘Green Nobel’ come l’ha definito la Reuter, in Italia si parla poco, ma è il premio più prestigioso per chi si batte con successo per l’ambiente. Viene assegnato ogni anno a San Francisco. Quest’anno tra i vincitori, anzi le vincitrici (sono quasi tutte donne) c’è Claire Nouvian.

“Instancabile difenditrice degli oceani e della vita marina, Claire Nouvian ha condotto una documentata campagna contro la pesca a strascico di alto fondale, una pratica distruttiva, mettendo sotto pressione i giganti della grande distribuzione francese e gli armatori, imponendo loro un cambiamento nelle abitudini di pesca. La sua coalizione ha ottenuto il supporto della Francia per il divieto al ‘deep sea bottom trawling’ (pesca a strascico di alto fondale) che ha portato  la UE a un divieto più ampio.” Si legge sul sito del Goldman Environmental Prize.

Ma facciamo un passo indietro. Era il 2014 quando Claire Nouvian, ex giornalista tv, documentarista e poi fondatrice di Bloom, NGO ambientalista, davanti alla Commissione Europea sulla pesca tuonava:

“Parlare di sostenibilità della pesca a strascico è un insulto alla ragione e alla scienza.”

Aveva in mano una documentazione fittissima sui danni e sull’insostenibilità ambientale ed economica di uno dei tipi di pesca più distruttivi ancora in essere. Due paesi membri invece sostenevano il contrario. Uno era la Francia, il suo paese, l’altro la Spagna.

In quei documenti c’erano le prove scientifiche che lei aveva raccolto su quanto devastante ed economicamente fallimentare fosse arare le profondità marine. E più a fondo si andava, maggiori i danni permanenti.

“Durante una battuta di pesca mediamente di 10 giorni, i pescherecci effettuano fino a cinque passaggi al giorno, coprendo dalle 12 alle 18 miglia quadrate di fondale marino. I 10 pescherecci da traino per alto fondale francesi potrebbero distruggere un’area delle dimensioni di Parigi in due giorni. Innumerevoli pesci, squali, crostacei e invertebrati raccolti come catture accidentali vengono gettati in mare e raramente sopravvivono. Un osservatore ha paragonato la pratica a ‘eliminare una foresta per catturare alcuni uccelli.” Ha dichiarato Claire Nouvian

 

La pesca a strascico condotta sui fondali ha qualcosa di apocalittico. Zavorre e carrelli pesanti anche decine di tonnellate si avventano sul fondo per far aderire la rete. Tutto ciò che sporge, tutto ciò che offre un habitat tridimensionale e quindi protezione alle specie bentoniche, cioè agli abitanti dei fondali, viene strappato, cancellato. I sedimenti, i nutrienti e le larve vengono sollevati e ridistribuiti in un  modo innaturale. Di tutte le pratiche di pesca commerciale questa ha i tassi più elevati di catture accidentali, con un by-catch tra l’80% e il 90% del pescato. Per descrivere il suo effetto nei fondali oceanici, o sulle cime delle montagne sottomarine, che spesso ospitano ecosistemi isolati, il  termine ricorrente tra gli scienziati è ‘desertificazione’. Le specie di profondità sono più longeve, ma non è un vantaggio, questo significa che hanno un accrescimento più lento, che raggiungono la maturità sessuale più tardi. In sostanza le aree profonde distrutte da questo tipo  di pesca faticheranno anni ed anni per ripristinare la macrofauna. Al livello di microfauna le cose addirittura peggiorano. Il deep sea bottom trawlling  interferisce pesantemente con gli invertebrati e con il ciclo del carbonio.

I sedimenti oceanici giocano un ruolo importante nel ciclo globale del carbonio. Nella melma marina di profondità vivono microrganismi detti ‘meiofauna’, che si  nutrono di materiale depositato, ricco di carbonio, che è la loro risorsa primaria di energia. Le reti a strascico arano quello strato sottile e lo lanciano in sospensione, in balia di correnti che lo depositano lontano da quegli organismi che ne dipendono. Il consumo di carbonio da parte della meiofauna garantisce lo scambio di carbonio tra terra, mare ed atmosfera.

Le ricerche hanno evidenziato che i sedimenti delle aree ‘arate’ contengono l’80% di meiofauna in meno, e il 50% in meno di biodiversità rispetto alle aree non ‘arate’. La pesca a strascico impoverisce i fondali del 52% di materia organica, e infligge un 37% in meno di consumo di carbonio. Il legame dell’umanità con il ciclo del carbonio è su un filo e non sembra proprio questo il momento di interferire ulteriormente con il ciclo di quella sostanza. Eppure molti governi continuano a sostenere questo e altri tipi di pesca distruttivi ed economicamente fallimentari con i soldi dei contribuenti.

La battaglia di Claire Nouvian è iniziata molto tempo fa. Seicento quaranta anni fa. Possiamo datare la pesca a strascico anche da una denuncia presentata al Parlamento Britannico nel 1376, sotto il regno di Edoardo III, che chiedeva la proibizione di questa pesca non selettiva, dannosa per i piccoli pesci che poi ‘venivano dati ai porci’. Una pratica già considerata pericolosa con i mezzi di allora. Dopo il passaggio di una rete a strascico, per un certo periodo i pescatori non trovavano più nulla.

George Monbiot, nel suo saggio ‘Selvaggi’ (Rewilding) indica la pesca a strascico tra le cause che hanno imposto la riscrittura di carte nautiche. Dal ‘600 a oggi intere colonie di molluschi filtratori, come le ostriche, sono state spazzate via esponendo le coste all’erosione e imponendo al panorama acque sempre  più torbide.

All’epoca la causa era solo una, la pesca. Non c’erano in giro né fertilizzanti chimici, né sversamenti di petrolio. Le temperature erano stabili. Quella dei pescatori odierni è una solfa ritrita: l’inquinamento. In realtà il danno più grande alle risorse del mare continua a farlo la pesca, più del riscaldamento globale, più della microplastica, degli sversamenti.

Il Governo di Palau, nazione insulare della Micronesia, è stato il primo a chiedere una moratoria globale sulla pesca a strascico presso le Nazioni Unite, ma senza successo. In giro per il mondo, dagli USA all’Italia sono stati adottati dei provvedimenti già da tempo, vietandola sotto costa e sopra i 50 metri, ma sempre con un occhio benevolo a quella cara industria che fagocita più soldi di quanti ne produca. Senza parlare delle nazioni africane che consentono alle flotte cinesi di devastare i loro mari, più o meno impunemente, spesso con la complicità di amministratori corrotti.

@ Olivier Blaise/ Getty Images

Ma nel 2016 Claire Nouvian la spunta con la Commessione Europea. La spunta con Bloom, una NGO il cui motto ne riassume il programma.

“Un’organizzazione determinata a combattere la distruzione degli oceani, una piccola, potente ed esperta NGO il cui unico appagamento è il risultato.”

No, Bloom non scherza, e di risultati ne ha ottenuti. La strategia di successo di Claire Nouvian viene dal giornalismo investigativo. Per prima cosa Claire ha identificato il problema, poi ne ha esaminato le cause, ha consultato gli innumerevoli dati dei ricercatori e ha intervistato gli attori principali. Per poi denunciare il paradosso ecologico/economico di quell’industria.

Inizialmente Nouvian ha focalizzato l’attenzione su una flotta da pesca di proprietà di Intermarché , una catena di supermercati francese. Bloom, la sua associazione, ha frugato nei bilanci e ha scoperto che la flotta era cronicamente senza reddito nonostante i sussidi pubblici. Con altre ONG Bloom ha intervistato ex pescatori in Francia e nel Regno Unito per testimoniare come intere comunità portuali sono state messe sul lastrico dalla pesca industriale.

Il passo successivo è stato una petizione che chiedeva al governo di vietare una pratica distruttiva dal punto di vista ambientale ed economicamente fallimentare. Con l’aiuto di Pénélope Bagieu, una famosa illustratrice francese, è stato prodotto un video divenuto virale

Successivamente ha costretto il gruppo Intermarché, poi i governi di Francia e Regno Unito, poi il Parlamento europeo ad accettare le restrizioni sulla pesca a strascico in profondità. Dal giugno 2016, con il sostegno dei rappresentanti parlamentari le flotte europee non possono più pescare a strascico oltre gli 800 m di profondità.

“Ci sono troppe, troppe grandi navi da pesca e vengono mantenute a galla con sussidi pubblici. Ma ci sono meno pesci, quindi devono andare oltre, pescare in acque più profonde e prendere altre specie “, ha detto Claire Nouvian. A The Guardian prima di ricevere il premio “Abbiamo i mezzi per spazzare via le altre specie e noi con loro, ma solo perché possiamo farlo non significa che dobbiamo.”

Ora Claire Nouvian, che nel frattempo si è battuta contro la pesca elettrica, si sta occupando del commercio di prodotti di squalo in oriente. E pensare che tutta la faccenda iniziò nell’acquario di Monterrey, in California, dove Claire stava conducendo un approfondimento sulle specie marine per conto di una rete Tv. Lì s’innamorò del calamaro vampiro, un fragile abitante delle profondità, e iniziò a studiare i fondali oceanici e tutto ciò che li minacciava. Oggi se c’è un’altra donna che può fregiarsi del titolo di ‘Her Deepness’ (Sua profondità) come Sylvia Earle, è proprio Claire Nouvian.

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