Quei gioielli fluorescenti in fondo al mare
posted by Claudio Di Manao | Ottobre 2, 2018 | In Dimmi del Mare | Articolo letto 6.307 volteFino agli anni ’50 nella cultura popolare i coralli erano un argomento da gioielleria. È stato grazie al lavoro di fotografi e cineasti subacquei come Hans Hass e Jacques Cousteau che i coralli hanno assunto la dignità che loro spettava nell’immaginario collettivo e nella nostra conoscenza dei mari. Una dignità che fatica ancora ad affrancarsi. A tutt’oggi non sono poche le persone che credono che i coralli siano delle rocce, o al massimo dei vegetali.
Ma che queste forme di vita possano addirittura brillare di luce propria è una scoperta relativamente recente. Nel 1964 René Catala, direttore dell’Aquario di Noumea, in Nuova Caledonia, con il suo libro ‘Carnaval Sus la Mer’ testimoniava per primo questo aspetto psichedelico dei coralli. Trenta anni dopo, nel 1996 Charles Mazel, del Massachusetts Institute of Technologies, uno dei maggiori esperti mondiali della bioluminescenza, affermava di non avere una risposta definitiva per questo comportamento spettacolare.
Nelle specie marine la bioluminescenza è un fenomeno molto diffuso. Riguarda un ampio spettro di organismi, che va dal fitoplancton agli ctenofori agli invertebrati, fino ai pesci. Può avere scopi difensivi, come nel fitoplancton che, se ingerito, trasmetterebbe la luminescenza al predatore rendendolo più visibile e quindi vulnerabile. Può avere scopi di avvertimento, di segnalazione, di mimetismo. Oppure, come in certe rane pescatici abissali, fungere da esca. Sono stati osservati persino squali e tartarughe bioluminescenti. La luce emanata dagli organismi marini può avere diverse origini, che vanno dagli organi preposti, come i fotofori, alla simbiosi con alghe e batteri. O, come nei coralli, da alcune proteine.
I coralli sono tra le forme di vita più complesse del pianeta. Possono essere paragonati a veri e proprio condomìni, con tanto di appartamenti e orticello. I polipi e le zooxantelle, le alghe simbionti monocellulari, convivono in uno scambio vantaggioso tra gli zuccheri prodotti dalla fotosintesi delle alghe, e l’azoto prodotto dal metabolismo dei polipi. Tutto ciò avviene al riparo di una solida struttura calcarea.
A cosa serva la fluorescenza dei coralli è una domanda che i ricercatori si sono posti per circa mezzo secolo. Una prima risposta è arrivata nel 2013 da Jörg Wiedenmann, capo del Coral Reef Laboratory dell’Università di Southampton nel Regno Unito. Ha scoperto che la fluorescenza dei pigmenti rosa e violacei dei coralli in acque poco profonde hanno lo scopo di assorbire gli ultravioletti per proteggere le zooxantelle, le alghe simbionti. In sostanza i colori agiscono da filtro solare.
Per capire come l’emissione di luce possa essere associata a uno schermo solare, bisogna entrare nel meccanismo della fluorescenza, che per definizione è l’assorbimento di una gamma delle radiazioni elettromagnetiche per restituirne un’altra. In questo caso si tratta delle radiazioni ultraviolette, che dopo essere state assorbite vengono riemesse con un’altra frequenza nello spettro visibile. Responsabili di questo stravagante effetto nei coralli sono le cromoproteine prodotte dai polipi che li abitano.

Immagine tratta da: 4Kvideo di Simon Bron
Ma nel 2015 la faccenda si è complicata. In Mar Rosso i ricercatori si sono imbattuti in coralli che emanano fluorescenza anche in profondità, dove il filtro solare non è più necessario. In Mar Rosso il colore rosso arancio compare solo nei coralli profondi più di 12 metri. Questo fenomeno, pare, ha di nuovo a che fare con le zooxantelle. La spiegazione potrebbe essere nelle diverse proprietà delle lunghezze d’onda. La luce blu, la più efficace per la fotosintesi, riesce a penetrare più in profondità nell’acqua, come del resto nell’aria, tanto che mare e cielo ci appaiono azzurri. La luce rosso arancio invece è meno efficace per la fotosintesi, ma riesce a penetrare meglio nella struttura corallina, dove si annidano le zooxantelle. Alle quote dove regna la penombra la colorazione rosso arancio provvederebbe a restituire la luce mancante riattivando il processo di fotosintesi. In un esperimento condotto in laboratorio Wiedenmann e il suo gruppo di ricercatori hanno studiato due specie di coralli di profondità, l’una bioluminescente e l’altra no, per due anni. Alla fine delle osservazioni hanno concluso che la specie bioluminescente aveva più possibilità di sopravvivenza dell’altra in date condizioni.
Non tutti gli scienziati però sono d’accordo che la fluorescenza dei coralli di profondità abbia lo scopo di portare la luce dove scarseggia. Per Mikhail Matz, della University of Texas queste osservazioni potrebbero essere fuorviate dal nostro modo di percepire il mondo esterno. Come umani, sostiene Matz, siamo portati a privilegiare la vista, quindi tendiamo a concentrare la nostra attenzione sui colori come fenomeno importante. Sappiamo che la bioluminescenza dei coralli è data da proteine, quindi, secondo Matz, potrebbe essere solo un risultato del tutto casuale del processo metabolico.
Un altro effetto spettacolare ma ben più allarmante è la fluorescenza dei coralli per surriscaldamento. Nel documentario Chasing Coral, l’evento è stato filmato con immagini superlative. Si tratterebbe di una reazione parossistica dei coralli che esposti a temperature troppo alte, dopo aver espulso il simbionte (la zooxantella) intensificherebbero la produzione dei filtri per proteggere loro stessi. Regalandoci uno spettacolo magnifico quanto struggente, spettacolo che nel documentario è stato definito ‘un canto del cigno’. Le immagini successive ritraevano gli stessi coralli morti, ormai incolori.
Ma le attenzioni degli scienziati per la bioluminescenza marina non si fermano alla comprensione e alla conservazione degli oceani. Proteine responsabili di questo effetto psichedelico sono al centro di importantissime ricerche sulla salute umana. Una cromoproteina simile a quella dei coralli è prodotta da una loro parente, la Aequorea victoria che, essendo una medusa, appartiene come i coralli allo stesso phylum, quello degli cnidari. La scoperta della GFP, o proteina fluorescente verde, ha offerto agli scienziati uno strumento di estrema utilità nella ricerca sul cancro e sull’HIV. La GFP è stata impiegata come marcatore nelle cellule umane per la diagnosi dell’HIV e per confermare la presenza di cellule cancerose. Nel 2008, Martin Chalfie, Osamu Shimomura e Roger Tsien hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica grazie alla scoperta e allo sviluppo di questa proteina, da loro isolata nella medusa Aequorea victoria. La GFP ha tuttavia i suoi limiti, per cui la scienza continua a cercare proprio in mare nuove forme che potrebbero essere utili nella ricerca medica.
I coralli sono gioielli viventi che non finiscono mai di stupirci, di offrirci nuovi orizzonti nel panorama scientifico a tutto campo. Ma l’idea di lasciarli dove sono e di proteggerli dai cambiamenti climatici è una idea molto recente nella storia moderna. Le azioni intraprese sono spesso arrivate in modo tardivo. Dalle barriere coralline non proviene solo la bellezza che possiamo osservare, ma anche il sostentamento di quasi un quarto della vita negli oceani. Purtroppo, più guardiamo alla storia del nostro rapporto di esseri umani col mare, più sembra di leggervi la storia di una immensa, irresponsabile ingratitudine.
Fonti e riferimenti
In Inglese:
- https://www.nightsea.com/articles/underwater-fluorescence-history/
- southampton.research/facilities/corals
- royalsociety deepwater corals glow in the dark to survive
- royalsociety glowing corals
- sciencedaily How the purple and pink sunscreens of reef corals work
- popular science why deep sea coral glow
- nobelprize.org/chemistry/2008
- southampton university staff
- wikipedia Mikhail Matz
- national geographic glowing shark
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Claudio Di Manao
In una tipica mattinata caraibica dei primi anni '90 l’ex consulente finanziario ed immobiliare Claudio Di Manao, tra ventagli di mare blu, barracuda ed altri pescetti colorati rinasce alla subacquea. Non solo decide subito di ricominciare ad immergersi: vuole diventare istruttore, il che gli sembra un'ottima scusa per esercitare professionalmente la sua attività preferita: il vagabondaggio in paesi caldi. Dopo anni di ‘divemasterato’ in Scozia, Inghilterra, Messico e Caraibi diventa istruttore nel 1996 a Grand Cayman. Per una serie di motivi che non è mai stato in grado di spiegare, Claudio Di Manao si reca a Sharm el Sheikh, in Egitto e ci resta per ben undici anni. L'ambiente surreale di Sharm el Sheikh gli suggerisce di scrivere 'Figli di Una Shamandura', il suo primo libro che diventa un Cult. Ovviamente non l’avrebbe mai immaginato. Gli viene offerto di collaborare con importanti portali come GoRedSea. Inizia a lavorare come free-lance e non solo nella subacquea. Nel 2008 realizza Tra Cielo e Mare, rubrica per la Radio Svizzera e viene invitato a scrivere testi e sceneggiature di documentari. In questo campione della sua carriera, cioè adesso, collabora regolarmente con: AlertDiver , il magazine del DAN, Diver Alert Network, con il Corriere del Ticino, quotidiano svizzero di Lingua Italiana e con ScubaZone, il magazine subacqueo in Italiano più letto e più scaricato nella storia della subacquea e, come potete constatare, con imperialbulldog.com.
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