Rifiuto mio, rifiuto di tutti

Sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology è stata da poco pubblicata una ricerca che evidenzia i risultati dell’analisi tossicologica del sale da cucina. Ben 36 campioni su 39 analizzati (il 92%), provenienti da diverse nazioni (Italia inclusa), contenevano frammenti di plastica inferiore ai 5 millimetri, ben noti con il nome di microplastiche. Le tipologie trovate appartengono tutte al PET, ovvero i polimeri di plastica più comunemente utilizzati per produrre imballaggi usa e getta.

Forse è colpa delle prove sempre più numerose, per la crescente attenzione di alcune fasce di persone, o forse per merito della divulgazione del problema che le cose stanno invertendo direzione. La nuova normativa europea, approvata dall’Aula con 571 voti favorevoli, 53 contrari e 34 astensioni, oltre a mettere al bando una serie di oggetti usa e getta, punta a ridurre il consumo dei prodotti in plastica (per i quali non esistono alternative) del 25% entro il 2025. Tra gli articoli messi al bando ci sono tutte le stoviglie monouso (cannucce comprese) e i contenitori alimentari; per le bottiglie da bevande, invece, si alza il tasso di raccolta differenziata al 90% entro la stessa data. Un sistema difficile da sradicare, ma non impossibile. Questo perché il business della plastica è potente (ricco) e le aziende del settore non hanno nessuna intenzione di interrompere una produzione che viene venduta facilmente; ma se questa produzione non fosse più così facile da vendere? Se gli acquirenti smettessero di scegliere la plastica? Questo ovviamente non vuol dire che dobbiamo cominciare a far deforestare il pianeta in favore della carta o del legno, bensì dobbiamo abituarci ad un sistema più duraturo, ecosostenibile, che non preveda un consumo lineare, bensì circolare. In questo senso va abolito il concetto dell’usa e getta, non solo dell’oggetto di plastica, e abbracciato quello del rifiuto zero. Al punto in cui siamo, differenziare e riciclare i rifiuti non basta più poiché ne generiamo troppi e troppo in fretta; la soluzione più razionale al problema è smettere di produrli per poterci dare il tempo di smaltire, con il riciclo, l’enorme accumulo prodotto sino ad ora. Quando provo a discutere con le persone, le risposte che sento continuamente sono: ‘solo per questa volta’, ‘che vuoi che sia, è solo un cotton fioc’, ‘uso la plastica perché lavando i piatti di coccio si spreca più acqua’, ‘è più semplice con il monodose’ e, la peggiore di tutti é ‘tanto cosa cambia se lo faccio io e tutti gli altri no?’.

Ebbene, vi dico che queste frasi fanno cadere le braccia per l’indifferenza che rivelano.

Il più grande problema è l’assuefazione al consumo che ci viene proposto dal sistema, ma ne abbiamo davvero bisogno? Nessun cambiamento soprattutto se drastico è semplice, ma neanche  impossibile perché può essere affrontato per livelli. Le cose semplici si possono cambiare subito, quelle difficili si cambiano per gradi.

Costa egiziana © Vittoria Amati

Sono molti gli oggetti che noi utilizziamo nel quotidiano che risultano incompatibili con il concetto di sostenibilità ambientale.

L’impatto che ne deriva non si limita alla somma degli utilizzi di ognuno di noi, bensì alle conseguenze che si innescano e proseguono con un effetto a catena. Il risultato: inquinare l’ambiente e il sistema che regola il Pianeta equivale ad avvelenare noi stessi .

Ora, però, non è di questo che voglio parlare, bensì dello scenario che un’inversione di rotta produrrebbe. Non possiamo certo riavvolgere il tempo e ricominciare da ZERO (ormai il danno è fatto), ma possiamo partire dal punto 0.2 (perdonate l’ironia matematica) e vedere come e quanto velocemente migliorano le cose.

Il ragionamento è estremamente logico poiché compara le proprietà emergenti del cattivo comportamento umano e quelle del buon comportamento. In pratica, se la somma delle azioni  hanno condotto a un livello di inquinamento ambientale alto, la stessa somma di azioni, questa volta più ecocompatibili, ci porterà a diminuire questo livello.

Il pregio di una comunità consapevole sta nel guidare le scelte di mercato considerato che questo è soggetto alla legge di domanda e offerta, impattante o sostenibile che sia. Avere questo grande potere, però, richiede l’impegno di ognuno di noi. Vediamo, quindi, cos’è che inquina l’ambiente e come possiamo, insieme, risolvere il problema. Per facilitare la lettura ho scelto di dividere le azioni utili da compiere in base al livello di impegno che richiedono (basso o alto) e introdurle a partire dagli “oggetti incriminati”.

Base level: eliminare, o sostituire con gli equivalenti biodegradabili e compostabili, palloncini, cannucce, cotton fioc e spazzolini. Tartarughe, pesci, cetacei ed anche uccelli muoiono soffocati o strozzati a causa dei palloncini poiché il lattice con cui vengono realizzati può durare fino a quattro anni nell’ambiente marino. Molte città e governi li hanno vietati con il “#BalloonsBan”, in favore di iniziative più ecosostenibili. Se proprio non riuscite a privarvi di oggetti così superflui, cominciate almeno ad acquistare quelli 100% biodegradabili e compostabili a base di lattice naturale. Un altro oggetto davvero inutile sono le cannucce, eppure secondo la Plastic Pollution Coalition, oltre 500 milioni di cannucce di plastica vengono utilizzate quotidianamente solo negli Stati Uniti.

Cannucce ecologiche in bambù, carta ed edibili

Non è un caso, quindi, che siano tra gli elementi più ritrovati nei nostri mari, compresi gli stomaci di molte specie marine. Non ci costa nulla dire di No alle cannucce (anche nei locali!), ma, se ancora una volta lo sforzo vi sembra troppo, esistono in commercio le alternative ecosostenibili. Un’altra delle fonti inquinanti maggiormente presenti sulle spiagge sono i cotton fioc, composti in gran parte da polipropilene di plastica e troppo spesso buttati nel water invece che nel cestino. Considerando che da anni gli esperti ne sconsigliano l’uso, perché non li aboliamo dalla nostra routine quotidiana? Arriviamo ad un oggetto indispensabile per la nostra igiene orale, ma impattante sull’ambiente per il materiale di cui è costituito: lo spazzolino da denti. Che sia classico o elettrico, il problema permane; da poco ho scoperto l’esistenza di spazzolini 100% compostabili poiché realizzati con materiali naturali, packaging minimo incluso. Questi, così come tutti i summenzionati oggetti incriminati, sono facilmente reperibili nei negozi bio attenti all’ambiente o, se avete difficoltà a raggiungerli, li potete ordinare online.

Medium level: possibili risoluzioni che richiedono diversi livelli di impegno personale e, come tali, si andranno a catalogare soggettivamente nella prima o nella seconda categoria. Gli oggetti che ho inserito sono buste e bottiglie di plastica, packaging di saponi e detersivi, vestiti. Inutile spiegare quanto sia dannosa l’enorme quantità di plastica prodotta, usata e gettata da 7,5 miliardi di persone, quindi quello che farò è dirvi il numero di tonnellate di plastica che raggiungono l’oceano ogni giorno: 22.000. Ognuno di noi ha il dovere di ridurlo e il diritto di pretendere che gli altri facciano lo stesso. Le risorse del pianeta non riescono più a tenere il passo con i nostri straconsumi e, allo stesso modo, la sua salute (e la nostra) non dureranno ancora a lungo. Ridurre o, ancora meglio, eliminare la plastica superflua può essere più semplice di ciò che sembra: basta bottiglie alimentari di plastica, basta confezioni monodose, basta porzioni pronte, basta sacchetti e buste usa e getta; preferite le confezioni convenienza, il packaging ridotto all’essenziale e compostabile. Per chi volesse impegnarsi di più è possibile recarsi nei negozi alla spina, qui è possibile acquistare pressoché ogni articolo senza imballaggi, portandosi i propri contenitori. In fondo alla pagina allego i riferimenti utili a trovare il negozio alla spina più vicino a casa vostra. La riduzione del consumismo, applicata alla moda, può dare risultati altrettanto importanti poiché si è arrivati a una produzione pari a quella dell’usa e getta. Sempre più vestiti sono fabbricati con tessuti sintetici di microfibre (combinazione di poliestere e poliammide) e colorati artificialmente. Ad ogni lavaggio questi indumenti rilasciano 1,7 grammi di frammenti di tessuto, di cui il 40% finisce in mare. Scegliere abiti in tessuto naturale o green è il primo passo, ma è importante ridurre l’acquisto compulsivo che il sistema ci propina, preferendo la qualità duratura.

High level: le ultime azioni di riduzione possono considerarsi ad impegno più elevato e coinvolgono un tipo di rifiuto molto comune in mare che impiega circa 450 anni a degradarsi, ovvero pannoliniassorbenti. La buona notizia è che esistono delle alternative ecosostenibili anche in questo caso. La soluzione più semplice è acquistare i medesimi prodotti fabbricati con materiali biodegradabili, mentre quella più impegnativa, ed anche più ecofriendly, ricade sul lavabile. Esistono molte marche di pannolini che permettono una scelta relativamente ampia e più economica, così come per gli assorbenti femminili c’è l’alternativa della coppetta in silicone (the cup) che riduce a zero la produzione di rifiuti.

Volendo concentrare tutta la nostra attenzione su di un’unica azione, scelgo quella che racchiude tutte le precedenti, ovvero andare a fare la spesa. È proprio questo il momento più cruciale poiché consiste in una serie di scelte importantissime che condizionano il mercato in una volta sola. In generale le regole sono poche: prodotti freschi non confezionati, stagionali, locali, con poco o zero packaging. Per rendere le cose più realistiche e concrete, ho copiato dei link a un interessante simulatore che calcolerà per voi l’impronta ecologica lasciata dalla vostra spesa settimanale e un altro sul vostro stile di vita. Qual è il vostro punteggio

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