La teoria della scimmia acquatica
Abbiamo da poco ripercorso la storia evolutiva di un gruppo di mammiferi che dalla terra ferma è tornato al mare nel mio ultimo articolo Il viaggio evolutivo é a doppio senso. Come loro, molte altre specie, mammiferi e non, hanno fatto lo stesso, spinti dalla necessità di trovare la loro giusta nicchia ecologica. Vi avevo lasciato citandovi l’ipotesi della scimmia acquatica, una possibile fase alternativa del nostro cammino evolutivo, che sarà ora l’oggetto della nostra riflessione. Prima di parlare dell’ipotesi di Hardy, rivista dalla Morgan, vorrei fare una breve disamina sulla teoria più accreditata del momento, quella dell’uomo cacciatore. Secondo la maggior parte degli specialisti, l’uomo discese dagli alberi per trasferirsi nelle pianure erbose ricche di prede; qui divenne un abile cacciatore in grado di maneggiare armi e, quindi, per necessità, cominciò a camminare in posizione eretta. Senza porsi troppe difficili domande, gli studiosi individuano queste nuove strabilianti capacità e, soprattutto, questi enormi cambiamenti morfologici, come conseguenze di forti pressioni ambientali o come improvvisi apprendimenti legati alla vita di caccia. Per quanto eroica sembri questa figura del nostro maschio antenato, che da quadrupede di alza su due zampe e diviene un abile cacciatore, appare troppo difficile da credere per la scarsità di dettagli e motivazioni. L’evoluzione, infatti, è lenta e graduale grazie al lavoro della selezione naturale che, impietosa, porta avanti solo gli individui che presentano adattamenti utili per quell’ambiente. Analizziamo meglio, con più oggettività, lo stato dei fatti certamente noti e proviamo per un attimo a dimenticare le leggende tarzaniane che siamo abituati a dare per vere. Molti ritrovamenti fossili ci dimostrano che diverse specie di scimmie dalla struttura generalizzata abitavano il Kenya già venti milioni di anni fa; in questo periodo, il Miocene, le condizioni climatiche erano ideali, così come le foreste lussureggianti rappresentavano l’ambiente perfetto dove proliferare in sicurezza. Con la lunga siccità del Pliocene, invece, la vita divenne difficile per tutti, si estinsero molte specie di scimmie, mentre altre rimasero isolate in zone boschive residuali fino al Pleistocene; di questo periodo buio, lungo dodici milioni di anni, non si ha alcuna traccia fossile assimilabile a forme preumane. Con la nuova epoca geologica, favorevole alla vita, ricompaiono scheletri di scimmie brachiatrici, in prossimità delle foreste, e, finalmente, le prime australopitecine in gran numero. Come avvenne per i cetacei, dopo un gap di informazioni fossili si ha una forma nuova, completamente mutata, di scimmia ominide, bipede ed intelligente. Come è successo? Un cambiamento tanto estremo non può essere avvenuto a seguito di una semplice necessità, per quanto forte potesse essere, poiché fisicamente innaturale. La storia ci ha insegnato che il ritorno all’acqua di alcuni mammiferi non è così improbabile come un tempo si credeva e che qui gli animali possono essere totalmente rivoluzionati, quindi, perché non considerarlo come una possibile fase che completi il percorso evolutivo dell’uomo?
La teoria della scimmia acquatica di Hardy-Morgan fornisce risposte sensate a molti dei quesiti attualmente irrisolti dagli specialisti tarzaniani, come li definisce Elaine, tra cui: come ha fatto una scimmia generalizzata e relativamente inoffensiva a sopravvivere in ambienti tanto ostili e pieni di predatori? Come è stato possibile, fisicamente, passare alla posizione eretta per un quadrupede? Come siamo diventati scimmie pensanti in così poco tempo? Quali vantaggi evolutivi hanno portato alla perdita del pelo e a una morfologia tanto diversa? Ho riflettuto molto su tutte queste vecchie domande, ma ciò che più mi ha aiutato a chiarire le idee, e a credere fortemente in molti aspetti dell’ipotesi acquatica, è stato un semplice ragionamento: sappiamo tutti che in natura sopravvive il più adattato all’ambiente in quel momento, allora, come ha fatto una semplice scimmia a restare in vita il tempo necessario a mutare tanto da divenire un ominide adatto ed adattabile? Logicamente parlando, l’unica soluzione possibile implica un ambiente diverso da quello considerato fino ad oggi (la prateria), ovvero un ambiente con un clima più clemente, meno predatori e più risorse alimentari, proprio come la costa. Qui il numero di animali potenzialmente pericolosi per un primate era davvero esiguo, mentre il cibo commestibile era abbondante e vario, comprendendo granchi, gamberetti, ed altri artropodi, uova e diversi bivalvi; inutile spiegare il vantaggio che rappresentò lo scambio termico col mare per sfuggire alla calura e alla siccità che durarono 12 milioni di anni. Nel ‘L’origine della donna’, il primo libro della Morgan sull’argomento, si parla anche di questo, ma la caratteristica forse più accattivante è data da un’enorme novità, ovvero un ragionamento funzionale alla figura femminile della specie umana, e non più a quella trita e ritrita del maschio. Per coerenza, se le androcentriche tesi tarzaniane trattate fino ad oggi non erano maschiliste, quella della Morgan non può essere etichettata come femminista. Premesso ciò, trovo che soffermarsi sulla sopravvivenza del genere più indifeso, fisicamente e biologicamente parlando, sia l’unico modo per comprendere come la specie sia sopravvissuta, poiché senza la femmina, ovviamente, non ci sarebbe stato alcun futuro nemmeno per il maschio, prestante o no che fosse. Vorrei parlarvi dell’intero libro, ma, essendo impossibile, vi introdurrò solo ai concetti che mi hanno colpita di più, a partire dalla situazione di innesco del tutto. Immaginate una popolazione di primati che vive lungo la costa del Kenya, avvantaggiati in tutto e per tutto dalla presenza del mare e lontani dai pericoli delle praterie, se non per qualche incursione disperata di predatori affamati. Le acque basse rappresentavano un ambiente sicuro, un rifugio fresco e ricco di cibo, per cui i nostri antenati erano soliti immergervisi spesso; la galleggiabilità, inoltre, era sicuramente d’aiuto al primate che, dovendo mantenere la testa fuori per respirare, cominciò a camminare in posizione eretta senza troppe difficoltà.
La selezione naturale ha così cominciato a favorire quei tratti utili alla prolungata permanenza in acqua, come il grasso sottocutaneo, la perdita della pelliccia, l’aumento della dimensione corporea generale e, nel nostro caso, anche una postura più eretta. I vantaggi oggettivi che derivano dalla graduale acquisizione di questi caratteri sono una migliore termoregolazione e un’accresciuta acquaticità, esattamente come avvenne per gli altri mammiferi che tornarono al mare come focene, trichechi, lamantini e via dicendo. Tutti questi animali, glabri e con depositi di adipe, sono più grossi dei loro rispettivi antenati terrestri, proprio come l’australopitecina del Pleistocene a confronto con le piccole scimmie dalla struttura generalizzata del Miocene. La perdita della pelliccia in un ambiente caldo come quello della prateria non può essere davvero un vantaggio adattativo, infatti, nessun’altra specie si è evoluta in questa direzione; i mammiferi acquatici, invece, ci insegnano che le cose sono molto diverse se consideriamo la scomodità della pelliccia bagnata dopo un bagno o la migliore idrodinamicità di un corpo glabro. Nella nostra specie è stata mantenuta una certa quantità di peli in posizioni che non interferiscono con il nuoto, ed in particolare sul capo delle femmine; questo dimorfismo sessuale è sempre stato superficialmente catalogato come carattere attrattivo per il maschio, così come è stato fatto per glutei, seni, labbra e qualsiasi altra forma oggi considerata sexy in una donna. Ma è credibile? Le femmine di molte specie di uccelli selezionano il maschio più colorato, col becco più lungo e via dicendo, ma non perché lo consideri bello nella sua accezione più estetica, piuttosto perché sono fenotipi che denotano un buon patrimonio genetico trasmissibile alla prole. Quindi perché la femmina umana avrebbe subito tali notevoli modifiche solo per sembrare più attraente per il maschio? La verità è che ci sono sicuramente altre motivazioni adattative come la maggiore facilità di gestione del cucciolo o, egoisticamente parlando, la comodità della femmina nella sua vita quotidiana. La posizione più eretta ha portato a una serie di sconvolgimenti interni come la disposizione degli organi e degli apparati riproduttivo ed escretore; come sempre è stato nella biologia animale dei mammiferi, queste modifiche risultano molto più complesse e problematiche nel corpo della femmina poiché essa deve anche tenere conto dello spazio necessario alla gestazione del suo piccolo. La selezione ha favorito la graduale migrazione frontale degli apparati riproduttore ed escretore femminili e protetto le mucose con due comode natiche adipose che le distanziassero dai ciottoli scomodi e roventi. Da qui in poi la scimmia acquatica si è unita all’unico gruppo di animali che pratica il sesso ventro-ventrale, ovvero, guarda caso, quello dei mammiferi marini. Per comprendere le modifiche avvenute ai seni dobbiamo ragionare, logicamente, sulla loro funzione, ovvero quella di allattare più comodamente un piccolo glabro scimmiotto che non aveva più alcun pelo materno a cui aggrapparsi per portarsi alla fonte di nutrimento; così le mammelle delle nostre antenate si sono allungate e ammorbidite per facilitarne la presa e il direzionamento da parte di junior. Successe la stessa cosa ai peli del capo che, galleggiando intorno la femmina per una certa distanza, risultarono un ottimo appiglio per il nuovo piccolo nuotatore.
Così come le numerose trasformazioni corporee sono state spinte dal rapporto madre-cucciolo, è probabile che anche i rapporti sociali abbiano avuto questa origine, ma lo spazio è terminato e, nel consigliarvi di leggere questo libro illuminante, vi lascio con un’ultima riflessione: per anni il mondo scientifico ha deriso l’ipotesi della selezione sessuale, oggi considerata come il motore dell’evoluzione, perché allora non accelerare i tempi e rivalutare delle teorie nebulose e marginali in funzione della figura femminile?
Non pensate sia femminismo, perché questo non è altro che raziocinio.
Per approfondire:
- L’origine della donna – Elaine Morgan
- Hardy, A. (1960). Was Man More Aquatic in the Past? New Scientist, 7, 642-645.
- https://www.imperialbulldog.com/2019/06/13/il-viaggio-evolutivo-e-a-doppio-senso/
- https://www.imperialbulldog.com/2018/03/13/levoluzione-e-femmina/
Questo articolo sulla BBC news avvalora alcune tesi trattate!:
https://www.bbc.com/future/article/20220620-why-humans-evolved-to-have-fingers-that-wrinkle-in-the-bath
Molto interessante!
Ho riaperto, per una lettura, il suo articolo e solo ora mi sono accorto della sua gentile risposta !! Mi scuso veramente ..
La domanda : non sono riuscito ad oggi a sapere se gli scimpanzé e gli altri primati hanno , come la maggior parte dei mammiferi, ghiandole anali . Se si ,la mancanza nell’uomo e nei suoi predecessori sarebbe stata un’ulteriore adattamento all’ambiente acquatico venendo meno la marcatura olfattiva del territorio?
Interessante lo schema riassuntivo presentato che non conoscevo che contiene anche l’intuizione del medico francese sulla presenza della vernice caseosa sul feto . Ho avuto la fortuna e di conoscere e condividere con Chiarelli Brunetto i contenuti del suo ultimo libro alcuni anni fa. Intrigato dalla teoria di Sir Hardy volevo poterle chiederle di un’altro aspetto circa la marcatura del territorio…
La ringrazio per l’interesse dimostrato, fa sempre piacere leggere commenti positivi. Spero di saper rispondere alla sua domanda, e, in ogni caso, sarò felice di poterci ragionare su insieme.