Quello strano raduno degli squali bianchi in Carolina
posted by Claudio Di Manao | Marzo 27, 2020 | In Dimmi del Mare | Articolo letto 1.809 volte
Davanti alla costa orientale degli Stati Uniti c’è stato un rave di squali bianchi. Quelli di cui si conosce il nome e il sesso sono ancora nei dintorni. Pare si tratti di una vecchia abitudine, un po’ strana per una specie solitaria e molto elusiva, ma che potrebbe trovare le sue ragioni in uno dei più sorprendenti meccanismi del mare: la corrente del Golfo.
I ricercatori di Ocearch, già da gennaio avevano notato un certo movimento: i segnali delle tag satellitari di squali bianchi convergevano verso il South Carolina. Non era una novità che verso febbraio alcuni squali bianchi decidessero di soffermarsi in quella zona, ma stavolta era diverso. Rispetto agli anni precedenti, più esemplari erano stati muniti di segnalatore satellitare. L’incontro di almeno nove tra maschi e femmine muniti di tag, diventava un dato statisticamente significativo. Difficile credere che si trattasse di un’assemblea regionale del club ‘Squali Taggati’, tra loro c’erano sicuramente anche quelli che sfuggivano al voyeurismo dei ricercatori. Ma i soliti noti sono ancora nei paraggi.
I soliti noti li conosciamo tutti per nome: Miss May e Caper, due femmine di circa tre metri, e poi un esagerato numero di maschi; Shaw, Vim, Jefferson, Teazer e Sidney esemplari di almeno quattro metri. Cabot, il più piccolo e giovane tra i maschi (ma anche quello col nome più chic) se n’è andato molto più a sud, in Florida. Al momento della scrittura sembra si sia piazzato ad almeno cento miglia al largo di Mar-a-Lago. Secondo i ricercatori di OCEARCH, gli squali bianchi sembrano utilizzare la East Coast come un’autostrada che va dal Canada al Golfo del Messico. Unama’ki, una femmina di tre metri, da quando è stata taggata in Nova Scotia ha raggiunto il Golfo del Messico prima che i ricercatori si rendessero conto del suo tragitto. Ad ogni modo un raduno come quello di poche settimane fa non era mai stato registrato.
Perché tutti quegli squali bianchi avevano intrapreso un viaggio, partendo da più zone dell’Oceano Atlantico per radunarsi laggiù? E perché un fatto del genere riceve tanta attenzione mediatica?
Lo squalo bianco, Carcharodon carcharias, è il protagonista preferito di molti film horror, un filone aperto da Spielberg nel 1975 con Lo Squalo e si è arricchito di falsità scientifiche durante la loro evoluzione.
Ritenuto a lungo, erroneamente, il maggior responsabile degli attacchi all’uomo, lo squalo bianco è un pesce decisamente grande. Un maschio adulto della specie può superare i sei metri di lunghezza, e può compiere balzi fuori dall’acqua (il breaching) fino a 10 metri di altezza. Il suo segreto sta tutto nella potenza. Come i suoi parenti lamnidi, una famiglia di squali cui appartengono anche i mako e lo smeriglio, condivide molte caratteristiche con le Ferrari del mare, i tonni rossi. La pinna caudale falcata gli consente di esprimere tutta la sua potenza in velocità. Si stima che nello scatto uno squalo bianco possa raggiungere gli 80 Km/h. L’altra caratteristica che condivide con i tonni è l’endotermia regionale: la quasi totalità dei pesci è a sangue freddo (ectotermia) ma squali e tonni, in caso di necessità possono alzare la temperatura di alcuni organi per permettersi grandi prestazioni.

© Juan Oliphant/ Juansharks/ Associated Press
Al contrario di ciò che si credeva fino a non molto tempo fa, lo squalo bianco ha una buona vista. Su un senso dell’olfatto molto sviluppato non ci sono mai stati dubbi, è in grado di identificare sangue e prede a chilometri di distanza.
Come molti altri suoi parenti squali il Carcharodon carcharias ha l’epidermide cosparsa di sensori in grado di percepire le vibrazioni e le onde elettromagnetiche. È in grado di rinnovare continuamente la sua dentatura. Vive praticamente in tutte le acque al di sopra dei 5°C e al di sotto dei 24°C. Nel suo rapporto con gli umani più che un assassino è un animale da circo. Con la differenza che per osservare il ‘bianco’ in gabbia ci dobbiamo entrare noi. Il cage diving, una pratica per cui lo squalo bianco viene attirato ed eccitato con delle esche, per il thrill dei subacquei, ha alterato le abitudini di molti esemplari. A volte con esiti letali per lo squalo come è accaduto in Messico pochi mesi fa. La IUCN lo annovera nella lista delle specie Vulnerabili.
Da quando i ricercatori di OCEARCH, nel 2008 hanno iniziato a taggare gli squali, hanno notato che quasi tutti i grandi squali bianchi monitorati trascorrevano parte delle loro migrazioni, molto spesso in inverno, in una certa zona dell’Oceano Atlantico. Una zona che gli amanti degli acronimi chiamano NASFA, Northwest Atlantic Share Foraging Area, un’area di nutrimento al largo delle coste degli Stati Uniti, e quindi nell’Ovest dell’Atlantico.
In quel punto la natura ha messo in moto una delle tante macchine che alimentano la vita marina. Lì, la corrente del Golfo, una gigantesca massa di acque più calde e ricche di plancton, nel suo viaggio verso l’Europa del nord lambisce la piattaforma continentale americana. Le acque profonde e fredde, ma ricche di nutrienti, si mescolano con quelle superficiali provenienti da quel gran calderone che è il Golfo del Messico. È la condizione ideale per la fioritura del plancton e per il pascolo di innumerevoli specie ittiche. Al banchetto si presentano gli squali. Il calo della visibilità li favorisce. Il plancton e la differenza di densità offuscano le acque. E gli squali, che per intercettare le prede si affidano più ai loro raffinati sensori che alla vista, si trovano avvantaggiati.
Ma questa è solo una delle ipotesi sul misterioso rave degli squali bianchi. L’altra è quella dell’accoppiamento. Riproduzione e alimentazione dominano le migrazioni animali. In misura minore le nostre. Purtroppo per la ricerca, non per loro, le tag satellitari non sono ancora abbastanza indiscrete per dirci con certezza cosa succede mentre gli squali sono in immersione. Né cosa si dicono. Il Grande Fratello degli squali si limita a registrare la loro posizione ogni volta che una pinna dorsale sfora la superficie marina lanciando un segnale al satellite.
Gli squali non hanno bisogno di respirare, come delfini e balene, gli squali se ne stanno a lungo sott’acqua. A fare quello che vogliono senza una gran voglia di raccontarcelo. Come quelli di noi che usano poco i social, internet, e le app tipo Siri e Alexa.
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Claudio Di Manao
In una tipica mattinata caraibica dei primi anni '90 l’ex consulente finanziario ed immobiliare Claudio Di Manao, tra ventagli di mare blu, barracuda ed altri pescetti colorati rinasce alla subacquea. Non solo decide subito di ricominciare ad immergersi: vuole diventare istruttore, il che gli sembra un'ottima scusa per esercitare professionalmente la sua attività preferita: il vagabondaggio in paesi caldi. Dopo anni di ‘divemasterato’ in Scozia, Inghilterra, Messico e Caraibi diventa istruttore nel 1996 a Grand Cayman. Per una serie di motivi che non è mai stato in grado di spiegare, Claudio Di Manao si reca a Sharm el Sheikh, in Egitto e ci resta per ben undici anni. L'ambiente surreale di Sharm el Sheikh gli suggerisce di scrivere 'Figli di Una Shamandura', il suo primo libro che diventa un Cult. Ovviamente non l’avrebbe mai immaginato. Gli viene offerto di collaborare con importanti portali come GoRedSea. Inizia a lavorare come free-lance e non solo nella subacquea. Nel 2008 realizza Tra Cielo e Mare, rubrica per la Radio Svizzera e viene invitato a scrivere testi e sceneggiature di documentari. In questo campione della sua carriera, cioè adesso, collabora regolarmente con: AlertDiver , il magazine del DAN, Diver Alert Network, con il Corriere del Ticino, quotidiano svizzero di Lingua Italiana e con ScubaZone, il magazine subacqueo in Italiano più letto e più scaricato nella storia della subacquea e, come potete constatare, con imperialbulldog.com.
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Nel titolo è scritto California, invece è Carolina
Grazie per il suo messaggio…titolo corretto..