Il mercato nero delle Piante

Cactus di roccia vivente (Ariocarpus fissuratus)

Il commercio illegale di animali e piante esiste da molto tempo, ma solo negli ultimi anni è stato riconosciuto come una grave minaccia per la biodiversità del Pianeta. Le stime sulla quantità di scambi internazionali posizionano questo tipo di contrabbando al quarto posto, dopo droga, armi e tratta di esseri umani. Parliamo, quindi, di un traffico ben radicato poiché, purtroppo, è stato a lungo sottovalutato. Eppure, il giro d’affari annuale supera i 90 miliardi di euro, con danni ecologici incalcolabili.

Mentre, nel tempo, la voce degli animalisti ha puntato l’attenzione sul mercato nero di animali selvatici, il contrabbando di piante è sempre stato associato, e quindi inglobato, con quello della droga, portandoci a non considerare il problema nella sua interezza. Molte delle specie vegetali che vengono sequestrate hanno proprietà allucinogene o medicamentose, molte altre, invece, sono apprezzate per la loro bellezza dai collezionisti, mentre altre ancora, quelle legnose, sono ambite per la realizzazione di mobili pregiati o altri elementi di arredo.

Persino con le vicissitudini del COVID-19, il contrabbando vegetale continua in tutto il mondo, ed in particolare tra Stati Uniti e Messico, dove è stato finalmente smascherato il traffico dei “Cactus di roccia vivente”. L’Ariocarpus fissuratus è una pianta succulenta che cresce solo nelle aride pianure del Parco Nazionale di Big Bend in Texas; nonostante le sue proprietà allucinogene, però, è molto richiesto tra i vivaisti dell’Europa e dell’Asia per la bellezza dei suoi fiori tardivi. Per far fronte alla richiesta del mercato nero, la criminalità organizzata ne sradica decine di migliaia ogni anno, mettendo in serio rischio la sopravvivenza della specie e dell’ecosistema di cui fanno parte. Tecnologie avanzate, acquisto di terreni, scavi notturni e spedizioni camuffate da giocattoli sono il pane quotidiano dei bracconieri che smerciano un bene di lusso tanto improbabile quanto prezioso.

Parco Nazionale di Big Bend, Texas

Purtroppo, questo tipo di mercato altamente redditizio può arrivare a complicarsi, intrecciandosi con altri problemi. È il caso del contrabbando di legno di Palissandro che, secondo un recente scandalo internazionale, lega a doppio filo Senegal, Gambia e Cina, coinvolgendo gruppi armati, autorità governative e compratori esteri. Si tratta di un tipo di legno ricavato da alcune specie arboree presenti in Africa; è il più contrabbandato al mondo, per un giro d’affari complessivo annuale di un miliardo di dollari. Basti pensare che questo commercio, da solo, supera quello di avorio, pangolini, rinoceronti, leoni e tigri messi insieme! Dal 2012, in Gambia, è stato dichiarato in via d’estinzione, e per questo tutelato da numerose leggi nazionali e internazionali; eppure il Paese africano continua a esportarlo illegalmente, con la tacita collaborazione delle sue stesse autorità. Gli alberi vengono abbattuti in Senegal e venduti al Gambia per finanziare la guerra armata nell’Africa occidentale; il Gambia, poi, lo rivende a prezzo maggiorato alla Cina, dove è molto richiesto per il suo tipico colore rosso sangue. Questo commercio sanguinoso, inoltre, sta distruggendo le poche foreste primarie rimaste, accelerando i processi di desertificazione e degrado del suolo, già ben avviati con il cambiamento climatico e responsabili delle ondate di migranti senza più una terra dove poter vivere.

Rosewood tree tagliato illegalmente nel Parco Nazionale di Masoala, Madagascar / © naturepl.com – Nick Garbutt – WWF

L’Italia non è assolutamente esclusa da questo tipo di commercio illegale, essendo punto di arrivo, di partenza ed anche solo di transito, di moltissimi colli di contrabbando. Le aree cargo dei nostri principali aeroporti sono costantemente controllate dalla Guardia di finanza per trovare e sequestrare specie tropicali, protette e/o in via di estinzione, sprovviste di permesso. Spesso i destinatari sono privati o negozi e i colli possono arrivare da ogni paese, con diverse tappe intermedie per depistare o eludere i controlli.

Smascherare questi traffici illegali è sempre più difficile, rendendo praticamente impossibile una reale quantificazione del problema. Nel 2016 l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e la prevenzione del Crimine (UNDOC) ha pubblicato il primo report mondiale sui traffici delle specie selvatiche: il World Wildlife Seizures raccoglie tutti i dati conosciuti dal 2004 al 2015. I Paesi coinvolti in almeno una fase dello spaccio sono ben 120! Un numero incredibile che può essere spiegato solo dalla semplicità con cui è possibile delinquere nel settore. Si tratta infatti di un mercato molto ampio e redditizio, proporzionalmente poco controllato e, soprattutto, governato da normative inadeguate e sanzioni irrisorie. In poche parole: il gioco vale la candela. Considerando che ormai esistono realtà criminali specializzate solo in questo tipo di traffici, è necessario e urgente aggiornare le armi legislative che consentono agli Stati di perseguire come si deve chi delinque.

Parco Nazionale di Masoala, Madagascar / © Toby Smith-Contributor-Getty

Oggi la quasi totalità delle leggi nazionali e internazionali di tutela delle specie si basa sulle categorie di conservazione della International Union for Conservation of Nature (IUCN), ma alcune specie possono essere aggiunte o, ahimè, tolte a discrezione dei singoli Paesi. Gli accordi internazionali sono discussi nel corso di conferenze e diventano operativi quando approvati da un certo numero di Stati, spesso sotto la supervisione di enti specializzati e ONG quali il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), la FAO e la IUCN. Uno dei principali trattati per la protezione delle specie è la Convention on International Trade in Endangered Species (CITES), attualmente sottoscritto da 175 Paesi e messa in atto con l’aiuto del TRAFFIC, il consorzio WWF – IUCN – UNEP. Altri accordi internazionali sono, ad esempio, la Convenzione di Bonn (per le specie selvatiche migratrici) o quella di Ramsar (per le Zone Umide), entrambe complementari alla CITES. La principale debolezza dei trattati internazionali, però, è che essi operano per consenso e non per obbligo, porgendo il fianco ad occasionali preferenze economiche su quelle ecologiche. La pressione dell’opinione pubblica resta quindi il mezzo principale per indurre i Paesi ad aderire e mettere in atto i programmi di tutela delle specie selvatiche, in modo da preservare specie ed ecosistemi.

A questo punto, però, sorge spontanea una domanda: è possibile detenere e/o commerciare legalmente specie animali e vegetali selvatiche? La risposta semplice è: no, se non con permessi speciali. La verità è un po’ più complessa, poiché ogni possesso e scambio deve essere dichiarato ed autorizzato con procedure variabili in funzione della specie in questione, ovvero della lista in cui si trova. Esistono liste di specie il cui commercio è consentito previo dichiarazione, altre che necessitano di controlli ed altre ancora, quelle protette, il cui commercio è tassativamente vietato se non per scopi di ricerca e conservazione genetica. Giardini botanici e zoologici, Parchi e Riserve, infatti, sono spesso il punto di arrivo di piante ed animali da tutelare secondo precisi protocolli, ma questa è un’altra storia.

I privati che hanno la passione per il mondo vegetale possono facilmente consultare l’elenco delle specie protette, in modo da evitare di contribuire alla distruzione loro e dell’habitat naturale in cui vivono. Il vero appassionato rispetta la Natura e la lascia dov’è, ma è condivisibile la soddisfazione del coltivare piante meravigliose, purché nel pieno rispetto delle leggi nazionali e internazionali. Sono tantissime le specie vegetali la cui coltivazione è consentita, anzi, incoraggiata se rappresentata da piante autoctone (locali); è possibile ampliare la propria collezione di piante con l’acquisto in vivai autorizzati e con lo scambio di specie e varietà da altri appassionati attraverso i semi, le talee, i germogli o l’intera pianta. Durante il lockdown, con la chiusura di vivai e fiorai, si sono organizzati molti gruppi di quartiere, o addirittura comunali, per lo scambio di piante ornamentali da giardino e da appartamento. Tutt’oggi è possibile trovarne di attivi sulle piattaforme social, dove si riuniscono appassionati del verde casalingo. Se, invece, volete vedere specie esotiche protette, andate a trovarle nel loro ambiente naturale, così da poterne apprezzare la vera essenza e, soprattutto, da evitarne il declino numerico e genetico a causa del prelievo illegale.

Ricordiamoci tutti che la biodiversità e l’ambiente naturale sono beni ormai così rari da essere inestimabili. Non esiste moneta, giacimento di petrolio o miniera di diamanti, né riserva aurea tanto vasta da eguagliare il valore reale della Natura. Distruggerla, quindi, per ottenere un piccolo bene di lusso, o per lucro, è un atto tanto stupido quanto egoista.

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