Isole In-Sostenibili
Gli ecosistemi insulari sono tra i più incredibili e delicati al mondo; si tratta infatti di realtà indipendenti che funzionano secondo precisi equilibri. Le naturali dinamiche ecologiche trasformano questi lembi di terra in officine di biodiversità e, quindi, in paradisi naturalistici da tutelare. L’interesse dell’uomo verso le isole ha portato alla loro colonizzazione e, col tempo, nella maggior parte dei casi, alla loro rovina. Strutture, servizi ed attività antropiche, una volta in armonia col territorio, si sono moltiplicate e rinnovate sempre più, orientandosi verso una modernità insostenibile per ambienti così limitati nello spazio e, pertanto, nelle risorse. L’uomo ha quindi, di fatto, rivoluzionato il concetto di isola, come entità autonoma e indipendente, ampliandone artificialmente la capacità portante con rifornimenti costanti di acqua, cibo, energia ed ogni altra risorsa utile a soddisfare la domanda. L’impatto locale, e globale, che questo stile di vita insulare genera sull’ambiente, però, è diventato così importante da non poter essere più ignorato. Vediamo insieme il perché.
Prendiamo ad esempio le piccole isole italiane, ed in particolare le 27 isole minori abitate che, purtroppo, rientrano nei territori ecologicamente meno virtuosi a livello nazionale. I settori maggiormente impattanti sono energia, acqua, mobilità e rifiuti, ovvero servizi essenziali la cui gestione andrebbe completamente rivoluzionata.
Cominciamo dall’acqua, bene primario che, per conformazione geologica e tipologia climatica, risulta assente su tutte le nostre piccole isole, a meno di collegamenti sottomarini con la terraferma. In passato era possibile sostentare l’esiguo numero di abitanti con vasche di raccolta delle acque meteoriche, ma oggi, vista l’elevata domanda idrica estiva, le isole sono diventate totalmente dipendenti dall’approvvigionamento di nuove risorse esterne o ricondizionate.
Le prime provengono dalla terraferma, ovvero con grandi navi, le bettoline, che trasportano acqua dolce con cadenza programmata; le acque dolci ricondizionate, invece, sono il risultato di processi di dissalazione marina. Mentre le bettoline comportano un oggettivo e notevole impatto ambientale, i dissalatori hanno un ampio margine nel calcolo dell’impronta ecologica, grazie alla continua modernizzazione delle tecnologie e degli studi di settore. Nonostante l’evidente convenienza di questi ultimi, sia in termini ecologici che economici, le isole attrezzate con un dissalatore sono pochissime. Come mai?
Probabilmente la risposta più diffusa è per la scarsa conoscenza in materia da parte delle autorità, dei locali e, talvolta, persino degli ingegneri, ma la risposta più ovvia, a parer mio, è di interesse puramente economico! Chi gestisce l’acqua, infatti, guadagna davvero, davvero tanto! Senza fare calcoli troppo complessi, è sufficiente ragionare sul costo di un servizio di trasporto marittimo e su quello di un impianto in loco. Quanti interessi in più sono coinvolti? La Marnavi, nelle isole Eolie, ha reso onore al termine “oro blu”.
Appurato ciò, per logica, andiamo alla prova del nove, con i numeri delle bollette alla mano: a Lipari si va dai 4,80 euro al metro cubo per l’acqua desalinizzata, a 7 per quella approvvigionata con autobotte, fino addirittura a 13 euro per l’acqua della nave cisterna; a Pantelleria, dove è presente un dissalatore da oltre 40 anni, la nuova gestione arriva a far pagare 60 euro per 50 quintali d’acqua desalinizzata (ovvero ben 12 euro a metro cubo), trasportata con autobotte nelle case non allacciate alla rete idrica… con quale scusa si arriva a queste cifre? Nel giro d’affari blu delle isole ci fu addirittura un colpo di scena quando, nel 2007, l’amministratore delegato di Aqua Blue di Bubesheim, tale Klaus Dieter Simon, presentò alle autorità regionali e territoriali una proposta, per così dire, indecente.
Si trattava di un progetto per la realizzazione di dissalatori di nuova generazione, ridotti nelle dimensioni e nell’impatto ambientale, su Lipari e le altre isole delle Eolie, con un costo pari a 0 per lo Stato e, solo a servizio erogato, un pagamento dai beneficiari di 1,05-1,21 euro a metro cubo d’acqua, iva esclusa. Secondo voi questa proposta è mai passata? Giusto per avere maggiore contezza, infine, vi riporto il prezzo medio in euro al metro cubo di Milano (0,67), Roma (1,38) e Napoli (1,26).
Continuiamo con l’energia, servizio simbolo del consumismo e dello stile di vita moderno. La lontananza dalla terraferma determina il grado di difficoltà nell’approvvigionamento delle risorse mancanti sulle isole; solo quelle più vicine, infatti, possono contare su condotte sottomarine per soddisfare la richiesta energetica locale. Capri, nel 2017, è stata l’ultima a rientrare nel piccolissimo gruppo delle 7 isole interconnesse con la terraferma. Le altre 20 isole, invece, producono energia con centrali elettriche a gasolio, il cui trasporto è garantito tramite apposite navi cargo altamente inquinanti, rendendo ancora più elevato l’impatto totale del servizio erogato.
E le fonti rinnovabili? Nonostante le numerose possibili applicazioni di energia verde, il settore rinnovabile è pochissimo sviluppato, non arrivando a coprire nemmeno il 5% del fabbisogno elettrico (Ventotene registra il valore massimo con il 4,91%, seguita dalle Egadi con il 2,44%). Il solare fotovoltaico risulta essere la fonte rinnovabile più diffusa, seguita da installazioni di micro-eolico sulle sole isole di Pantelleria e Sant’Antioco; un’eccezione infine, è rappresentata dall’isola di Capraia, l’unica a vantare un impianto a biodiesel.
Passiamo al settore dei rifiuti, ovvero una delle voci più elevate nel bilancio delle amministrazioni locali; al normale costo di smaltimento, infatti, va aggiunto quello del trasporto via mare dei rifiuti indifferenziati verso gli impianti della terraferma. Sebbene la percentuale di differenziata sia cresciuta nel tempo, c’è ancora un forte divario tra l’isola più virtuosa (Sant’Antioco con il 79%) e la maggior parte delle altre, con addirittura dei peggioramenti per Ustica e Ponza che passano, rispettivamente dal 9,7 al 4,5% e dal 6,3 al 3,5%. Un’altra problematica poco affrontata, seppur molto grave, è la totale assenza, o inefficienza, di sistemi per la depurazione delle acque reflue, soprattutto in virtù dell’importante delta di carico tra i mesi estivi ed il resto dell’anno.
Chiudiamo la lista con il tema della mobilità che comprende tanto i trasporti interni, quanto i collegamenti esterni, ovvero quelli marittimi. Se da un lato la questione sull’inquinamento atmosferico dato dalle automobili è abbastanza ben conosciuto e discusso, quello dei trasporti per mare è spesso sottaciuto. Ridurre la circolazione dei veicoli sulle isole rientra sicuramente nei normali, seppur lentissimi, obiettivi verdi, e questo va benissimo, ma perché nessuno pensa a ridurre i trasporti navali? Questi ultimi, infatti, sono i più impattanti in assoluto, con un impiego energetico (calcolato in Tonnellate equivalenti di petrolio – Tep) pari a circa cinque volte quello relativo alla mobilità interna. Direte voi: “non si può tagliar fuori un’isola”, ed in parte avete ragione, ma azzerare gli sprechi non toglierebbe niente a nessuno.
Con sprechi non intendo solo tratte di traghetti vuoti, ma anche il numero di viaggi totali necessari per portare il giusto numero di risorse e merci (acqua, gasolio, oggetti). Ridurre i consumi è il primo passo per ridimensionare i collegamenti marittimi e, quindi, l’impatto ambientale. È importante sapere, infine, che l’enorme quantità di carburante economico utilizzato dalle navi, è un gasolio con alte percentuali di zolfo e residui catramosi, così fortemente inquinante da essere vietato per le auto. Nel 2016, l’Organizzazione Marittima Internazionale decise di anticipare al 2020 l’obbligo di utilizzo del Diesel a basso contenuto di zolfo, passando dal 3,5% allo 0,5%, (lo stesso delle auto); chissà se oggi è davvero così.

Isola di Filicudi © Vitoria Amati
Il quadro d’insieme, ammettiamolo, non è molto incoraggiante, ancor meno se pensiamo che alcune azioni illecite vanno a peggiorare ulteriormente la situazione. Ad esempio le inchieste aperte nei confronti di Marnavi che denunciano, tra le altre cose, il puntuale sversamento in mare dell’acqua dolce che, una volta trasportata a Filicudi, risulta in eccesso rispetto alla richiesta. Un problema, ben conosciuto dai locali, che va avanti dal 2008 e, ad oggi, non è ancora stato risolto per gli evidenti ritorni economici di pochi.
Ritornando sul concetto ecologico di isola, ovvero un’entità che si differenzia dal contesto in cui è immersa per caratteristiche ambientali, possiamo considerare l’intero pianeta Terra una piccola isola nel mare di stelle e corpi celesti che ci circondano. Su un’isola minore, quando finiscono le risorse, possiamo trasportarle, seppur a caro prezzo, dalla terraferma; ma, quando a finire sono le risorse presenti sull’isola Terra, da dove le potrà mai importare l’uomo? Oggi, che ancora non sono finite le risorse, ci avvaliamo di quelle destinate alle generazioni future, anticipando sempre più l’Overshoot day, ovvero il giorno in cui l’umanità consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno, andando a debito.
In quest’ottica, già ampiamente accreditata dal mondo scientifico, è possibile guardare alle isole come dei laboratori perfetti per sperimentare nuove politiche di gestione basate sull’economia circolare e le fonti rinnovabili. Nel prossimo articolo approfondiremo i modelli green di alcune isole già sostenibili ed i programmi di transizione di tante altre.
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